Ieri, 11 ottobre, era la PRIMA giornata Internazionale dedicata dall'ONU alle Bambine .
Visto l'inefficienza e la sfiga che ormai porta questa vacua istituzione, non so se sia una cosa vantaggiosa per le piccole, però sicuramente la denuncia fatta colpisce (in attesa di dedicarne un'altra ai bambinI, che pure questi da quelle parti non se la passano bene).
Certo, noi pasciuti e civilizzati occidentali parliamo di emancipazione femminile ancora da raggiungere migliorare, di quote rosa (io contrario, tutta la vita ) , di violenza sulle donne (in Italia in effetti i numeri non sono belli) . Per carità, al meglio, come al peggio, non c'è mai fine.
Però leggere che 400 milioni di ragazzine si sposano a meno di 18 anni, e non per scelta, fa girare un po' la testa.
Le ragioni di questa precocità, in paesi tra l'altro molto poveri ( l'India sarà pure una delle tigri asiatiche, ma quelli in miseria sono decine e decine di milioni) è data dal fatto che una figlia in casa costa, mentre se si sposa porta una dote. In più se le nozze vengono celebrate presto, non si corre il rischio che perda la verginità ( qui mi taccio perché l'argomento è serio....) o addirittura di una gravidanza.
Ci sono storie da brividi, dove il concetto di donna come proprietà è assoluto.
Il padre che vende la figlia di 11 anni ad un uomo di 60 per una dose di eroina.
Una moglie bambina , in Afghanistan, fu portata in ospedale perché pugnalata dal marito. La colpa ? Voleva tornare dalla madre. Punizione all'uomo ? Nessuna.
Chi raccontava questo era una donna ufficiale di polizia a Kandhaar. Nonostante la presenza degli occidentali, la cultura (??) per cui l'uomo è re dominava ugualmente. Ah, la donna ufficiale, cioè che lavorava, è stata uccisa dai Talebani nel 2008. Probabilmente più perché osava avere un lavoro che non perché fosse della polizia.
Un avvertimento : in questi paesi, Afghanistan, India e altri, il matrimonio sotto i 16 anni è illegale. Il problema non è formalmente giuridico (anche da noi, con certe modalità, a 16 anni ci si può sposare ) ma proprio di costume. Da noi non avviene quasi mai, da loro quasi sempre. E spessissimo, ancorché illegalmente (ma senza sanzioni di fatto) , anche al di sotto di quell'età.
Uno pensa che magari, con la globalizzazione, le informazioni che viaggiano libere, questo fenomeno si arresterà e si capovolgerà.
Può darsi, auguriamocelo ovviamente. Però per il momento non è così.
Secondo l'Unicef, nel mondo le ragazze sposate prima dei 18 anni aumenteranno al ritmo di 26.000 al giorno. Come facciano a contarle non lo so, ma non è un bel dato.
Di seguito, un articolo preso dalla Stampa. Francamente, non mi pare scritto benissimo, come stile. A me non è piaciuto, però i dati che riporta sono gli stessi trovati su altre fonti.
In questo, è utile
Malala Yousafzai, la coraggiosa quattordicenne che ha
sfidato i talebani ricevendone in cambio una pallottola alla testa, ce l’ha
fatta. La notizia del riuscito intervento chirurgico che ha salvato la vita
alla ragazzina pakistana “rea” di tenere un diario-denuncia sulla vita nella
provincia di Swat controllata dagli studenti coranici, giunge nella prima
giornata internazionale delle Bambine lanciata dall’Unicef “per porre fine ai
matrimoni precoci e forzati”. Malala parlava anche di questo nelle sue cronache
quotidiane, un abuso barbaro ma diffusissimo non solo nel suo Paese. Secondo le
Nazioni Unite circa 400 milioni di donne di età compresa tra i 20 e i 49 anni -
oltre il 40% del totale - sono state costrette a sposarsi quando erano minorenni.
Le unioni precoci, accusa l’Unicef, significano molto spesso
gravidanze precoci e indesiderate che possono portare conseguenze mortali.
Almeno 50 mila mamme tra i 15 e i 19 anni muoiono ogni anno a causa della
gravidanza o del parto, perché in quella fascia d’età hanno una probabilità
cinque volte maggiore della media di non sopravvivere alla maternità.
Le storie si moltiplicano in tutto il mondo
indipendentemente dalla religione, dalla cultura, dalla latitudine. Ma quasi la
metà di quante maritate prima del 18° anno d’età è concentrata in 5 Paesi:
Bangladesh (2/3 delle neo-spose), Nepal (la metà), Afghanistan (39%), India
(29% ma qui ci sono anche 3 milioni di bambine mai nate, scomparse dalla mappa
demografica planetaria perché vittime di aborti selettivi), Pakistan (24%).
Oggi a New York l’arcivescovo Desmond Tutu porrà la questione ai rappresentanti
dell’Unicef, dell’Unfpa e dell’UN Women. Il Malawi si prepara a discuterne in
sede parlamentare mentre l’Uganda ha aperto un tavolo di confronto con i
giovani attraverso gli sms.
Il Pakistan tribale della piccola Malala, che i talebani
hanno accusato di diffondere “idee laiche” tra i giovani e venerare Obama, è
uno dei santuari dell’infanzia violata insieme al vicino Aghanistan, dove quasi
una sposa su due è una bambina mentre il marito ha spesso e volentieri fino a
dieci volte tanto la sua età. Poco meno di una anno fa la quindicenne Sahar Gul
era arrivata all’ospedale di Kabul in fin di vita dopo essere stata segregata
per mesi dal marito e dai famigliari perché riluttante a prostituirsi . Lo
scorso maggio Sahar, che ha trovato la forza di denunciare la violenza
mostrando ai giudici le cicatrici e le ferite, ha avuto giustizia: tre suoi
parenti, in un Paese in cui le vittime come lei sono considerate colpevoli,
sono stati condannati a 10 anni di prigione per tortura (il marito risulta
ancora in fuga).
La prima giornata internazionale delle Bambine vuole essere
un megafono per chi non ha voce ma anche per chi, in assenza di strumenti, sta
cercando di urlare più forte che può. Malala e Sahar, a modo loro, ce l’hanno
fatta. Pochi giorni fa le mamme di Timbuctu hanno portato in piazza anche le
figlie per protestare contro gli abusi dei miliziani di al Qaeda da aprile al
potere in Mali. Dai campi profughi siriani come quello di Zaatari, al confine
con la Giordania, poche coraggiose hanno iniziato a denunciare la pratica del
sutra (in arabo “matrimonio di copertura), attraverso la quale i genitori fanno
sposare con paganti uomini anziani le figlie, spesso al di sotto dei 14 anni,
con il pretesto di salvare loro l’onore. Accadeva già nei campi profughi
iracheni alla periferia di Damasco almeno fino a 4 anni fa, quando facoltosi
sceicchi del Golfo andavano a scegliersi le più bisognose tra le vergini. In Yemen,
patria della premio Nobel per la PaceTawakkul al-Karman, un recentissimo
rapporto di Human Rights Watch riporta i dati del 52% delle bambine sposate
prima dei 18 anni e del 14% prima dei 15 anni.
La globalizzazione accende i riflettori sugli angoli più
remoti del mondo ma non ne attenua la violenza. I cambiamenti culturali seguono
con estrema lentezza quelli politici, quando per reazione non se distanziano
addirittura. Per questo è particolarmente importante seguire cosa accade in
Egitto, paese leader della primavera araba e avanguardia della transizione allo
sviluppo (o, potenzialmente, pietra tombale di ogni ambizione democratica),
dove nei prossimi mesi si discuterà la nuova Costituzione e gli articoli più
controversi come l’articolo 29, con il quale gli estremisti islamici del
partito salafita Nur vorrebbero abbassare l’età del matrimonio per le donne da 18 a 9 anni.
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