martedì 2 ottobre 2012

LE SPERANZE DELUSE DELLA SECONDA REPUBBLICA CREANO PESSIMISMO SULLA TERZA



Nel fare un'analisi, amara, del presente, Angelo Panebianco sulla prima pagina del Corriere di oggi , fa un passo indietro e confronta la crisi di oggi con quella degli anni 90, che portarono alla fine della Prima Repubblica. E la conclusione , piuttosto desolante, era che , ALLORA la prospettiva era migliore. Per due motivi essenziali : 1) il mondo era in una fase economica di espansione, quindi non eravamo zavorrati, come oggi, da una storica crisi finanziaria e sistemica come quella che affligge l'Occidente, e non solo, dal 2008 2) nel 1992 c'erano idee NUOVE. Il cambio della legge elettorale, con l'introduzione del sistema maggioritario, voleva essere la fine di un sistema dove le istituzioni erano dominate dalle segreterie dei partiti e condizionate pure da uno strapotere dei sindacati, CGIL in testa. La Lega, al di là del folklore padano, poneva, con la questione settentrionale, un bivio serio : passare dal centralismo statale al federalismo. E Berlusconi parlava niente popodimeno che di rivoluzione liberale, Forza Italia doveva essere il partito liberale di massa...Tutte cose assolutamente inedite, nuove. Poi abbiamo visto com'è andata, male, e oggi tutte quelle idee sono in crisi o orfane di attori credibili. SI vuole tornare al proporzionale puro, con qualche correttivo come lo sbarramento al 5% (almeno quello ! ) , e con un consistente premio di maggioranza (ieri  ferocemente criticato dal PD che oggi invece lo rivendica a spada tratta. Cos'è cambiato ? Ma i sondaggi of course...MA VAffa !!!! ) . Il programma del PD ? A parte la patrimoniale, (una ? due ? tre ? ), altro non si sa. Bersani dice che sarà di continuità con il governo Monti ma con più lavoro, equità e giustizia, che sono solo slogan, tanto più che il governo di sinistra vedrebbe presente gente come Fassina e Vendola che da tempo annunciano l'abolizione delle riforme montiane previdenziali e nel lavoro. Non parliamo della modernità che proviene dal sindacato rosso.
Dall'altra parte, il centro destra, i moderati...tutto è in "attesa"....Della legge elettorale nuova ? Che Monti smetta di dire in settimana una cosa e il we un'altra ? A guardarli sembrerebbe che le elezioni si terranno nel 2014, e non già tra sei mesi.
Quelli di Fermare il Declino 10 punti programmatici li hanno indicati, e stanno girando l'Italia a spiegare il paese che vorrebbero. E' quello che descriveva un po' Berlusconi nel 1994, e che certo non ha realizzato (colpa sua, dei magistrati, degli alleati infidi, del destino cinico e baro ? resta che non lo ha fatto ).
Giannino, Zingales, Boldrin (ammappa quanto è antipatico questo....) usano parole che sono miele per le orecchie dei liberali come me (ohi, io lo sono da quasi 40 anni !!! era Zanone il "mio" segretario, persona per bene come pochi...poi è venuto Altissimo...che ha deluso ) : giù le tasse, giù la spesa, meno Stato, privatizzazioni, liberalizzazioni e MERITOCRAZIA.
Non crediate che siano parole d'ordine buone per tutti. La sinistra "storica" ha molto da ridire contro : meno tasse sul lavoro dei ceti medio bassi forse sì, ma spostandole su quelli medio alti (mentre va proprio abbassato il prelievo GENERALE, per ridare più soldi e più libertà alle nostre tasche e alle nostre scelte ) ; privatizzazioni, non se ne parla, PUBBLICO è MEGLIO (perché si presume GRATIS ) ; tagli alla spesa nemmeno a parlarne, piuttosto staniamo gli evasori per pagarla (come se bastasse !! ho scritto più volte, con un semplice conto aritmetico,  che anche recuperando TUTTA l'evasione, avremmo sempre un disavanzo di qualche centinaio di MILIARDI !!) ; Meritocrazia ? no, meglio l'Egualitarismo.
Ecco perché una grande coalizione NON può funzionare. Perché il tipo di società  immaginata dalla sinistra più "pura" (più vecchia ? fate voi ) è profondamente diversa da quella Liberale.
Un compromesso forse può essere trovato con la parte moderna, autenticamente progressista dei Liberal di sinistra, gente come Ricolfi, Diamanti, Calabresi, Turani tra gli opinionisti, e Ichino, Morando, Tonini,  tra i politici. Ma Fassina, Orsini, Bindi, per non parlare di Vendola e giù per li rami ...Hanno già sopportato troppo con Monti !!
Conclusione, per evitare il desolante vuoto di idee e di novità che descrive correttamente Panebianco, ci sarebbe da sperare in un miracolo tipo la vittoria di Renzi alle primarie PD, con terremoto di quell'area e veramente un forte spostamento al centro, sia pure in senso progressista e riformista, dei democratici con possibili nuove alleanze, impensabili con Bersani (quello legato a Vendola e magari pronto a recuperare Di Pietro....) oppure che il rassemblement cd. moderato, liberale riformatore, trovi un leader credibile che dia all'idea, ottima, visibilità e fiducia di successo.
Un Renzi di "destra" per intenderci...che non vedo.
Buona Lettura


Il labirinto delle vanità


La discussione, che sarebbe stata altrimenti surreale, su un eventuale Monti bis dopo le prossime elezioni è il frutto della sfiducia degli altri governi e degli investitori internazionali nella capacità futura dell'Italia di perseverare nell'opera di risanamento. Dato il marasma in cui versa il fu-centrodestra non è il ritorno al potere di Berlusconi che si teme (una eventualità nella quale non crede nessuno, nemmeno Berlusconi). Piuttosto, come ha argomentato Antonio Polito ( Corriere , 29 settembre), sono le scelte che farà il probabile vincitore delle elezioni, il Pd, a preoccupare. Per le alleanze politiche (Vendola) e sociali (Cgil) di Bersani, e per la volontà conclamata degli uomini di Bersani di mandare in cavalleria, su punti decisivi, le riforme Monti, dalle pensioni al lavoro.

Ma c'è dell'altro. Del futuro dell'Italia dovrebbero infatti preoccupare, più che i suoi prossimi equilibri politici, i suoi prossimi squilibri. L'esito, di volta in volta, può essere più o meno drammatico, ma sembra che l'Italia pubblica non possa fare a meno, periodicamente, di essere investita da devastanti crisi di legittimità: malversazioni e scandali superano il livello di guardia, la sfiducia dei cittadini nelle classi dirigenti diventa totale o quasi, le istituzioni rappresentative perdono ogni residuo alone di rispettabilità. È accaduto nella fase terminale della democrazia giolittiana e ciò aprì le porte al fascismo. È accaduto, di nuovo, con le inchieste sulla corruzione dei primi anni Novanta che spazzarono via i vecchi partiti (la cosiddetta Prima Repubblica). Sta accadendo, ancora una volta, oggi.

C'è un elemento di somiglianza fra la crisi attuale e quella dei primi anni Novanta. Anche allora il passaggio fu scandito dalla presenza di governi detti tecnici (i governi Amato e Ciampi). Ma a colpire sono le differenze. Due in particolare. La prima è che negli anni Novanta il mondo viveva una fase di espansione economica. Oggi la crisi politico-istituzionale italiana è aggravata dalla contestuale recessione internazionale. Il che rende le prospettive della crisi piuttosto cupe.

La seconda differenza è che nei primi anni Novanta c'era, per lo meno, una idea, una visione, un progetto (chiamatelo come volete) su come uscire dalla crisi. I referendum Segni sul sistema elettorale non erano semplicemente espressione della volontà di cambiare le regole del voto. Contenevano una implicita proposta di ristrutturazione radicale del sistema politico. Se la Prima Repubblica era stata partitocratica (dominata dai partiti) e ciò l'aveva alla fine condotta al fallimento, la Seconda avrebbe dovuto spostare il baricentro dai partiti alle istituzioni rappresentative. Se la Prima Repubblica aveva avuto il suo fulcro nel Parlamento (luogo privilegiato della mediazione partitica), la Seconda avrebbe dovuto rafforzare il ruolo del governo. Se la Prima Repubblica era stata segnata da endemica instabilità governativa, la Seconda avrebbe dovuto avere, come regola, governi di legislatura. Se la Prima Repubblica aveva dilatato l'area della rendita politica (da lì l'esplosione del debito pubblico), la Seconda avrebbe dovuto ridurre quell'area restituendo al mercato e alla società ciò di cui la politica si era impadronita. Si aggiunga che la contestuale emergenza della Lega Nord aveva creato anche una pressione per una ridistribuzione dei poteri, in linea di principio non sbagliata, dal centro alla periferia.

È andato quasi tutto storto. Abbiamo avuto il bipolarismo, un governo di legislatura (il secondo governo Berlusconi), una legislatura interamente guidata dal centrosinistra ('96-2001) e abbiamo spostato alcuni poteri dal centro alla periferia. Ma l'area della rendita politica non si è ridotta, anzi si è dilatata ulteriormente. Inoltre, le riforme istituzionali che avrebbero dovuto stabilizzare il nuovo assetto o non si sono fatte (fallimento della Bicamerale) o sono state insufficienti (elezione diretta dei sindaci e presidenti di Regione). E anche il decentramento dei poteri è stato realizzato senza imporre al ceto politico locale l'onere della responsabilità, di fronte agli elettori, dell'uso del denaro pubblico. Il peso dell'intermediazione politica è cresciuto anziché diminuire.

Possiamo attribuire alla inadeguatezza dei protagonisti, da Berlusconi, con il peso dei suoi interessi, al vasto popolo degli ex (ex democristiani, ex comunisti, ex fascisti) oberati da culture politiche condizionate dal passato, il fallimento di quel progetto. O possiamo (ma, guarda caso, sono quasi sempre i suddetti ex ad abbracciare questa tesi) attribuire il fallimento alla intrinseca debolezza del progetto, alla sua estraneità rispetto alla tradizione italiana. Ma, quale che sia la ragione del fallimento, resta una circostanza. Negli anni Novanta c'era almeno una idea, l'ipotesi di un percorso, per superare la crisi istituzionale. Oggi, a fronte di una nuova crisi istituzionale, non c'è nulla di nulla, non c'è uno straccio di visione, di ipotesi su come uscirne. C'è smarrimento e inerzia. E qualche tentativo, neppure convinto (come mostrano i propositi di riforma elettorale), di ritornare a vecchie formule e abitudini, già esperite e già fallite. La Prima Repubblica era dominata dalla Dc e dal Pci. Forse, non è propriamente un caso se all'attuale, pauroso, vuoto di idee corrisponde il fatto che, governo Monti a parte, diversi capi partito, o i loro uomini di punta, che si affannano intorno alla crisi istituzionale, provengano da quelle esperienze. 

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