mercoledì 17 ottobre 2012

PDS, POI DS, POI PD. ORA DI NUOVO PDS, ANCHE SE LA S NON SI SCRIVE, IL CERCHIO PERFETTO.



Repubblicano verace, giovane di bellissime promesse nel PRI di Visentini e soprattutto di Spadolini (primo presidente del Consiglio NON democristiano dal 1946 ) , Davide Giacalone vide il sotterramento dei partiti storici della cd. Prima Repubblica ad opera degli inquisitori di Mani Pulite.
Unici sopravvissuti, dolosamente, furono quelli del PCI. In molti , specie tra i socialisti Craxiani, che passarono in pochissimo tempo dall'euforia del potere alla miseria della gogna giudiziaria e ancora di più mediatica, questa stagione non se la dimenticheranno finché vivono.
Come detto, Giacalone non era Craxiano, ma un certo umano risentimento lo prova lo stesso per l'ingiustizia che si compì, con la sospensione delle garanzie processuali, con le confessioni estorte a suon di carcere preventivo, con omicidi-suicidi provocati di cui nessuno ha mai provato rimorso.
Certo, il sistema tangentizio c'era, il finanziamento illecito dei partiti anche, e NESSUNO ne era esente. Eppure, si colpì solo una parte, preservandone un'altra. E questa ormai è STORIA.
Il progetto di consegnare l'Italia ai post comunisti, che nel frattempo avevano opportunamente cambiato nome dopo la caduta della madre sovietica, non riuscì a causa del colpo di scena berlusconiano, capace in pochi mesi , tra l'invenzione di Forza Italia e le alleanze con la Lega al Nord e Alleanza Nazionale al sud, di riunire le forze disperse anti sinistra, in Italia da sempre maggioranza ( splendida la battuta invocazione contenuta in un libro di Berselli "Signore, ma se l'Italia non è di sinistra, perché mi hai fatto nascere comunista ?" ) e sconfiggere la gioiosa macchina da guerra di Occhetto. L'ultimo segretario del PCI sarà più ricordato per questa infelicissima e sfigatissima immagine che per lo storico pensionamento del nome "comunista" per il più rassicurante "democratico di sinistra" (prima PDS , poi DS, poi PD, ora di nuovo con la S, ma senza scriverla)..
D'Alema e Bersani sono figli di quell'epoca . Sono uomini che nel PCI c'erano e avevano già ruoli dirigenziali, anche se erano giovani (come relativamente lo è quel simpaticone di Fassina , niente di meno che responsabile economico del PD). Non si tratta di inchiodare gli uomini al loro passato. Anche Scalfari, Montanelli e Bocca furono giovani fascisti. Poi c'è chi si è scostato di più, chi meno dagli "errori" di gioventù , ma insomma cambiare idea si può. Però bisogna FARLO. Se si cambia solo vestito, se ci si dà una riverniciata superficiale ma di fondo si resta se stessi e quindi profondamente, intrinsecamente statalisti , egualitaristi, redistributivi, non ci si è allontanati così tanto dalla strada antica.
Sarà mica un caso che nonostante lo svuotamento del centro destra, con la diaspora di Fini prima, lo sfarinamento del PDL e la crisi "Morale" della Lega con il pensionamento del capo storico, il PD non arrivi al 30% dei voti ? Che proprio non ce la fanno i suoi dirigenti a realizzare quel salto, che pure era stato la premessa e il "sogno" fondativo del partito democratico, necessario per abbandonare i vecchi schemi della sinistra storica e approdare a qualcosa di nuovo, moderno, che mischi merito e giustizia, opportunità e solidarietà, libertà individuale e interessi condivisi ?
Di questo parla nel suo articolo giornaliero Davide Giacalone.
Buona Lettura


  Bersani & D’Alema
 
Il problema della sinistra non è quello di mandare a casa chi si trova in Parlamento da molto tempo, ma quello di averne perso troppo e di avere regolarmente mancato gli appuntamenti con la storia. Non c’è un solo Paese d’occidente in cui il medesimo gruppo dirigente che fu comunista pensi di candidarsi alla guida del governo senza prima avere trovato il modo e l’occasione di dire una cosuccia facile per tutti, ma durissima per loro: il comunismo fu illusione di pochi e dramma di moltissimi, fu teoria e pratica di miseria, morte e dittatura. Siccome non ce la fanno, finiranno con il consumarsi in una scaramuccia del secolo scorso.
Capisco la stizza di Massimo D’Alema, che di quel gruppo è il più togliattiano, il meno esposto alle suggestioni della contemporaneità. Preparato e tatticamente raffinato. Finisce con lo schiantarsi su un errore da dilettante: credersi così intoccabile da affidare la propria sorte alle mani altrui. Un errore frutto di errori più grossi, che è sempre più difficile nascondere. Un guaio che travolge anche Pier Luigi Bersani, però, che prova a recitare la parte del furbo senza esserlo.
D’Alema è il miglior figlio della scuola comunista italiana. Proprio per questo il più grande responsabile dell’avere perso l’occasione del crollo sovietico, del non essersi saputo affrancare da una storia vergognosa. Essi dicono che fu gloriosa, perché sincera, perché costruita avendo in mente gli interessi dei lavoratori. Ma sapevano benissimo da dove venivano i loro finanziamenti, sapevano a quali interessi era corriva la loro lunghissima battaglia per la “pace” (c’erano D’Alema e Valter Veltroni a manifestare in Vaticano, contro la forza militare occidentale, c’erano loro a ricevere, commossi, i telegrammi di Breznev), sapevano di avere alimentato un sogno che era un incubo. Come lo sapeva Enrico Berlinguer. Eppure hanno creduto di far fessi gli altri, hanno pensato, con Achille Occhetto, che bastasse cambiare nome. Come poi avrebbe fatto Silvio Berlusconi e come loro stessi avrebbero continuato a fare. Hanno pensato, con D’Alema, che bastasse far la guerra al fianco di quegli statunitensi, che prima condannavano, per far dimenticare la loro sudditanza all’impero sovietico. E hanno creduto che non sarebbe mai arrivato il giorno dei conti. Che invece non solo è arrivato, ma è anche passato: per quanto s’industriassero a prendere in giro un Berlusconi che parlava dei “comunisti” in realtà il loro avversario approfittava proprio di una loro mancanza. Di una loro viltà. Riuscirono a sconfiggere Berlusconi due volte, ma per farlo dovettero mettersi nelle mani di un democristiano. Che per due volte fecero fuori.
Così sono giunti all’oggi, oramai sfiancati. Un uomo del livello di D’Alema avrebbe dovuto far la battaglia prima, ricordando che in nessuna democrazia occidentale c’è un limite ai mandati parlamentari, mentre c’è, ed è giusto che ci sia, un limite a quelli esecutivi, governativi. Se lo avesse fatto, però, sarebbe stato richiamato a un costume accessorio, in quelle democrazie: chi perde si fa da parte. E loro, a turno, hanno perso tutti.
Vince Bersani, che con una battuta scarica D’Alema e gli notifica che non sarà certo lui a chiedergli di ricandidarsi? Se lo scordi, perché non difendendo D’Alema scopre e indebolisce sé stesso. Para una prevedibile stoccata di Matteo Renzi, ma subisce una sciabolata sfregiante. Perché Bersani non è affatto più “nuovo” di D’Alema, o meno consustanziale alla storia comunista, è solo un dirigente di minor calibro, che ebbe meno spazio nazionale. Per il resto, siamo lì.
Bersani è in gara per essere il candidato della sinistra alla guida del governo. Hanno già avviato le rispettive campagne senza neanche avvertire il pubblico: guardate che siamo candidati a una cosa che non esiste, perché la nostra Costituzione prevede un iter del tutto diverso. Anzi, opposto. E passi se dicessero: dopo la vittoria la cambieremo. Ma loro gridano: fateci vincere, così non cambia. E allora a cosa cavolo siete candidati? Mettiamola così: siccome avete la testa da apparatčik (proto, lascia la traslitterazione dal russo, così la capiscono) di partito, e siccome avete perso il centralismo democratico, non per carenza di democrazia (mai tropo frequentata), ma di centro, alla fine fate le primarie al posto dei congressi. Così, però, va a farsi benedire la politica.
Bersani ha cominciato la corsa come se dovesse fare l’alleanza con l’Udc di Casini. Poi l’ha fatta con Sel di Vendola. Nel frattempo, però, in Sicilia è alleato con l’Udc, nel nome della continuità lombardiana, e avversario di Sel. Vendola è, a sua volta, alleato della destra giustizialista, incarnata dall’Idv di Di Pietro, tanto per non farsi mancare nulla, all’abbuffet del trasformismo. E’ partito, Bersani, dicendo che, accipicchia, loro sì che sono seri ed europei, tant’è che sostengono un governo grandioso come quello Monti, ed è arrivato senza manco citarlo nel programma. Ora s’alleggerisce della presenza di D’Alema, come un natante che imbarca acqua e scuffia. S’accorgerà di avere lasciato agli abissi la bussola e il salvagente. Ciò non di meno vinceranno, con ogni probabilità, per ko tecnico dell’avversario. Ma cadranno sotto al peso della coppa.


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