Berlusconi comunica che forse ci ripensa e potrebbe tornare in campo . Non ci sta a fare il "padre nobile" di un partito, il PDL, inventato da lui ma dove la sua parola di fatto non conta più. Un partito , peraltro, che sta confermando le previsioni di chi, in tempi non sospetti, ne preannunciava il disfacimento al momento del ritiro del capo-fondatore. Come accade, in misura più piccola, all'IDV di Di Pietro, altro partito personalistico, e NON invece alla Lega che sicuramente è cresciuta attorno al leader carismatico, Bossi, ma ha una sua ragione sociale solida e radicata territorialmente : la difesa degli interessi del Nord.
Il PDL in realtà è stato un cartello efficace elettoralmente, realizzando peraltro la fusione a freddo di anime del centro destra il cui collante era solo l'anti sinistra. Un po' come la DC del dopo guerra e fino alla caduta del blocco sovietico (senza dimenticare la spallata politico-legale di Mani Pulite ) . Mettere insieme AN, che comunque aveva una tradizione di destra sociale e statalista, ex craxiani e democristiani anti comunisti ma anche loro ben ancorati ad un ruolo centrale dello Stato e della cogestione tra pubblico e privato, coi liberali, non era una impresa facile, e solo la probabilità del successo, legata alla popolarità (grande, ricordiamocelo, che gli italiani hanno la memoria corta ) alle grandi risorse finanziarie e comunicative di Berlusconi e anche al fallimento del governo Prodi, ha potuto realizzare il boom del 2008. Il PDL prese il 38% dei voti, roba che il PD, il partito di maggioranza relativa oggi in Italia secondo i sondaggi, sta attorno al 30% e con Sel può arrivare al 35% (per la cronaca, PDL + Lega + Destra Sociale superarono il 47% dei voti, altro che il 42,5% che Bersani e Grillo indicano come soglia "liberticida" per far scattare il premio di maggioranza ! ).
Ma come scrive giustamente Ernesto Galli della Loggia nell'editoriale domenicale del Corsera, la sinistra, sempre stata minoranza nel nostro paese, ha però una maggiore unità di fondo e radicalizzazione diffusa nel territorio , specie nell'Italia che potremmo definire di centro-nord (Emilia, Umbria e Toscana sono sempre state regioni rosse, e anche le Marche vedono per lo più prevalere le alleanze di centro sinistra).
Certo, non è che il PD sia un pianeta omogeneo...basta vedere le divisioni marcate tra Renziani e Bersaniani e ancora di più tra i primi e la sinistra radicale (Bersani rappresenta un po' il "centro" della galassia di sinistra, con Renzi a destra e Fassina , l'ala sindacalista e i vendoliani dalla parte opposta).
Insomma, non sarà facile conciliare queste diverse posizioni in una politica di governo, però è un fatto che la sinistra in Italia non ha mai raggiunto il 40% del consenso elettorale, ma non è mai scesa sotto al 30, e questo grazie ad alcuni principi fondamentali che restano saldi : prevalenza del pubblico sul privato, uguaglianza e solidarietà prevalenti su merito e concorrenza. Come disse un mio caro amico del TPI, Sergio De Prisco, vuoi mettere la seduzione della parole d'ordine ?? Anche se poi le prime due possono facilmente produrre passività, parassitismo, inefficienza.
Però queste sono considerazioni di merito. Ci sono tanti amici di sinistra che mi spiegano come non è matematico che perseguire principi nobili come l'uguaglianza (io nulla in contrario su quella dei "diritti", qualche perplessità sui traguardi ) e la solidarietà (che, obbligatoria, a me suona un po' una contraddizione in termini ) porti alla degenerazioni succitate. In effetti, in altri paesi, non ci sono esempi deleteri come lo stato del Sud italiano, e la diffusa corruzione della cosa pubblica.
Ad ogni modo, una politica prevalentemente fondata sul prelievo fiscale e la redistribuzione della ricchezza non mi troverà mai favorevole.
Peraltro, come hanno osservato in tanti liberisti e liberali, Berlusconi, con Tremonti, non è che poi sia stato tenero col fisco e del resto come poteva se continuava a tenere elevato il fabbisogno di denari dello stato ?
Il debito pubblico nei venti anni di seconda repubblica, non è sceso di un punto percentuale rispetto ai primi anni 90, dove si dovette ricorrere a salassi finanziari niente male (tutti ricordano il prelievo motte tempo del 6 per mille sui conti bancari degli italiani effettuato da Giuliano Amato, allora presidente del Consiglio ) per evitare la bancarotta.
Quindi il ritorno in campo berlusconiano credo non abbia molto appeal. Certo, una sua formazione probabilmente potrà anche sfiorare il 10%, mentre a quel punto il PDL affonderà definitivamente (e pazienza, non ci struggeremo ), ma saranno voti "inutili", come spesso amava dire il Cavaliere , in quanto le altre formazioni di centro, moderate, preferiranno allora trattare alleanze di governo con Bersani piuttosto che con un Berlusconi considerato non più spendibile, né in Italia né all'estero. Oltretutto, se c'è qualche voto che potrebbe disperdersi nel centro sinistra, perché il ticket Bersani Vendola sarà considerato troppo timido dai comunisti (come Rizzo, Ferrero, non Diliberto che smania all'idea di tornare in Parlamento, anche dalla porta di servizio ) e troppo radicale dai liberal, ecco che il ritorno in campo di Berlusconi potrebbe invogliarli a votare pur di. Insomma un elemento disgregativo per i moderati e invece aggregante per la sinistra.
Caro Presidente, ha avuto la sua stagione, e , nel bene e nel male, è entrato nei libri di storia italica, alla pari di gente francamente migliore (De Gasperi) e comunque più efficace (Giolitti). Si accontenti.
Non faccia la fine penosa di quegli attori famosi che in tutti i modi cercano di sopravvivere al loro declino.
Ecco l'articolo di Ernesto Galli della Loggia
Buona Lettura
Il complesso della destra
Ciò che resta del Pdl
In Italia Destra e Sinistra sono entrambe in una condizione
di incompletezza anche se in modo opposto. Mentre la Sinistra, infatti, gode di
un forte e stabile insediamento socio-culturale, che però riesce molto
difficilmente ad allargare fino a conseguire una propria maggioranza
elettorale, la Destra, invece (considero Destra tutto ciò che non è Sinistra, e
parzialmente dunque anche la vecchia Democrazia cristiana, pur con le
specificità di cui appresso) la Destra, dicevo, può invece contare
fisiologicamente su una maggioranza di voti, che però non riesce a trasformare
in un autentico insediamento nel tessuto socio-culturale del Paese.
L'Italia,
insomma, è un Paese che per sua natura è intimamente conservatore e vota
perlopiù a destra o per il centrodestra, ma ha una prevalente cultura politica organizzata
e diffusa che è di sinistra. Nelle urne vince per solito la Destra (o il Centro
che raccoglie gran parte di voti di destra, com'era la Dc, che aveva di certo
anche un suo radicamento - cattolico per un verso e di sottogoverno per l'altro
- ma non seppe aggiungerne alcuno specificamente suo e diverso), ma nella
società civile quella che di gran lunga si fa più sentire è la voce della
Sinistra.
Proprio quanto ho appena detto spiega due tratti specifici
della vita politica repubblicana. Da un lato, il fatto che a cominciare da
Togliatti la Sinistra, consapevole del carattere organicamente minoritario del
proprio consenso elettorale, ha quasi sempre perseguito un accordo con una
parte della non-Sinistra (in questo, a conti fatti, sono consistiti il «dialogo
con i cattolici» e l'invenzione della «sinistra indipendente»); e dall'altro,
invece, che la Destra, anche se elettoralmente fortissima, sembra esistere in
un certo senso solo nelle urne, essendo in tal modo esposta al rischio di
collassi politici e d'immagine improvvisi, capaci di portare in pratica alla
sua dissoluzione. È precisamente ciò che in qualche modo assai complesso
accadde alla Dc nel 1993-94, e che ora sta capitando in modo diretto e
catastrofico al Pdl.
Il quale paga il prezzo del fatto che, nato come un partito
di plastica, in tutto e per tutto artificiale, e poi inebriato dal successo
elettorale, non si è mai curato di diventare qualcosa d'altro: qualcosa per
l'appunto che avesse un retroterra effettivo di idee e di valori nella società
italiana. Non se ne è mai curato, vuoi a causa dello strabordante, narcisistico
senso di onnipotenza del suo capo, personalità certo fuori dal comune, ma in
sostanza di scarsissima intelligenza delle cose politiche e di ancor più scarsa
capacità di leadership (consistente ai suoi occhi in nulla più che nel
principio: comando perché pago, o perché ho il potere di farlo). E vuoi per la
prona accondiscendenza di tutti coloro che egli ha chiamato intorno a sé:
chiamati, e rimastigli intorno, proprio perché capaci di accondiscendere
sempre, e in forza di ciò, solo di ciò, di avere un ruolo importante.
Così il Pdl è stato in grado, sì, tesaurizzando il
sentimento antisinistra del Paese, di vincere due o tre elezioni. Ma nel
momento in cui limiti e pochezze di Berlusconi sono emersi in pieno (già tre
anni fa), e lo stesso Berlusconi si è trovato rapidamente messo all'angolo,
allora sotto i piedi del vertice, ostinatosi fino all'ultimo a non vedere o a
far finta di nulla, alla fine si è aperto il baratro. E tutti i nodi sono
venuti al pettine tutti insieme. Il vertice del Pdl oggi paga per le mille cose
promesse, annunciate e non fatte, per il malgoverno e per il sottogoverno; paga
per una politica estera priva di qualunque autorevolezza, biliosa e
inconcludente; paga per lo straordinario numero di gaglioffi di ogni calibro
che in questi anni hanno scelto il Pdl come proprio rifugio e che non poche
volte lo stesso vertice ha accolto al suo interno senza che nessuno
protestasse; paga per gruppi parlamentari scialbissimi, gonfi di signore, di
avvocati di varia risma e di manager pescati dagli addetti di Publitalia non si
sa come; e non si finirebbe più.
Ma paga soprattutto perché si è mostrato incapace (proprio
il partito del Grande Comunicatore!) di parlare al Paese. Infatti, presentatosi
originariamente come espressione massima della società civile, il Pdl è
diventato in breve quanto di più «politicistico» e autoreferenziale potesse
immaginarsi, presente e attivo quasi esclusivamente negli spazi istituzionali.
Ma altrove del tutto assente, a dispetto di tanti suoi elettori in buona fede
che oggi non meritano certo lo spettacolo a cui sono costretti ad assistere. In
tal modo il Pdl non ha fatto altro che confermare l'antica difficoltà della
Destra italiana postfascista ad agitare nel Paese temi e valori propri, a
rappresentarli e a diffonderli con la propria azione politica, sì da costruirsi
grazie ad essi - in positivo, non più solo per semplice contrapposizione alla
Sinistra - un proprio effettivo retroterra socio-culturale. Quei valori che per
l'appunto avrebbero dovuto essere i suoi - il merito, la competizione, la
rottura delle barriere corporative, il senso e l'autorità dello Stato, la sana
amministrazione delle finanze e dei conti pubblici, la difesa della legalità,
la cura per l'identità e per il passato nazionali, per la serietà degli studi -
ma che invece essa ha finito per disperdere al vento o per regalare quasi tutti
alla sinistra. Così da trovarsi oggi, tra una rissa interna e l'altra, ormai
avviata verso una meritata irrilevanza nel più scettico disinteresse degli
italiani.
non lo fa apposta.. il fatto è che, a una certa età ed in taluni soggetti generalmente caratterizzati da grandi orecchie, le patologie degenerative del cervello sono iperendemiche
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