Proprio stamane riportavo una sentenza della Cassazione per la quale il ritiro del consenso in un rapporto pure all'interno del matrimonio e iniziato consensualmente, concreta il reato di violenza sessuale. Il principio astrattamente non è contestabile, e oltretutto non vedo cosa spinga un uomo sufficientemente normale a volere fare sesso con una donna che non vuole ( o non vuole più). Il problema che mi sono posto è quello della "strumentalizzazione" possibile di un'ipotesi di reato dove la materia della prova può essere assai incerta. Qualcuno ricorda il non lontano "affaire" Strauss Kahn ? Alla fine, grazie alle intercettazioni, la cameriera che lo accusava è stata ritenuta non credibile e lui prosciolto da ogni accusa. Intanto però la sua carriera pubblica e politica è stata spazzata via. Ad ogni modo l'orientamento della Suprema Corte è questo. Dopodiché il Giudice delle Leggi (così si definisce retoricamente la Cassazione, chiamata ad esprimere giudizi non di merito ma di legittimità) , occupandosi sempre di sesso coniugale ma sotto altro profilo , ha ribadito che negarsi sessualmente al coniuge è condotta che contravviene ai doveri coniugali.
Ebbene sì, voi personcine moderne del XXI secolo non ci crederete ma per la legge il Matrimonio non ha solo le responsabilità su cui normalmente ci si scanna ( conduzione della casa, educazione dei figli, tempo libero da dedicare a, soldi ....) ma prevede obblighi che repellono la nostra anima romantica bisognosa di libertà almeno nelle scelte più intime : quello di non negare il sesso al consorte (uomo o donna che sia , ovviamente). Fare sesso col partner coniugale è quindi un DOVERE. Maronna do carmine...e mo' ??
Cerchiamo di non vedere contraddizioni dove non ce ne sono : il coniuge (bisex) non può escludere il sesso dal matrimonio (vabbé i mal di testa sono ammessi, ma cum iuicio !! cioè senza esagerare. Se durano sette ANNI non va bene !! ) , ma certo non può esservi nemmeno obbligato con la FORZA . Vi sembrerà ovvio, ma mica tanto lo è, perché in certi casi di violenza sessuale nel matrimonio si è sentita invocare questa difesa : era un mio diritto. Lo è, ma non estorcibile. Se lei (lui) non te la (te lo ) dà, puoi chiedere la separazione con addebito. Che nel caso del coniuge maschio non è cosa da poco perché comporta la negazione dell'assegno di mantenimento alla moglie avara di sé.
Ohi, in questo gli Ermellini sono un po' che non deflettono...dagli anni 90 a oggi , quindi da oltre 20 anni, le sentenze sono sempre uguali (il che non è affatto scontato, checché la gente sogni "La certezza del diritto" ).
Riporto due casi di cronaca, uno di questi giorni, sul Corriere Fiorentino, e uno di sei sette anni fa. Nel primo caso la "colpevole" è LEI, che dopo la nascita della figlia (care amiche e neo mamme...vi dice niente questa storia...?? ) non ne ha voluto più sapere . Lui ha aspettato sette ANNI e poi ha chiesto la separazione con addebito, ottenendola. Nel secondo è LUI che si nega, inventando scuse, in realtà vendicandosi di una moglie che aveva preso posizione - anche accusandolo ingiustamente pare - contro di lui e a favore della propria famiglia di origine (anche questa, mica una cosa tanto rara....). La Corte ha, nella fattispecie, giudicato non solidale la condotta della signora, ma la ritorsione del marito è andata oltre. Addebito anche a lui.
Io mi vedo in certi salotti di persone moderne, istruite, progressiste, anche radical chic, commentare sentenze del genere...
E rido, di cuore. Perché i Palazzi di Giustizia sono anche questo. Teatri della Commedia dell'Arte.
Ecco le due storie come riportare dalle redazioni di cronaca
LA SENTENZA
Moglie «freddina» a letto? Colpevole della fine delle nozze
Per la Cassazione la donna che si rifiuta per anni di avere
rapporti sessuali col marito è responsabile della possibile rottura del
matrimonio.
FIRENZE - Non ci sta la Cassazione a chiudere un occhio,
nell'individuazione del «colpevole» della fine del matrimonio, nel caso in cui
la rottura avviene perchè uno dei due non vuole più avere rapporti sessuali. I
supremi giudici, infatti, hanno confermato che in simili situazioni di «sedatio
concupiscentiae», quando il partner viene addirittura fatto dormire in un'altra
stanza per sfuggirne le avances, scatta la separazione con addebito sulle
spalle di chi attua la strategia della «repulsione». Quindi, quando il coniuge
non ricambia le profferte del partner, il menage matrimoniale non si conclude
con una pronuncia di separazione senza determinazione delle colpe, ma - afferma
la Suprema Corte - ci sono tutti gli elementi di accusa per acclarare la
specifica responsabilità individuale nel fallimento della coppia.
PROTAGONISTA UNA COPPIA FIORENTINA - Il caso affrontato dai
supremi giudici è quello di una coppia fiorentina - Monica e Lapo - implosa
dopo sette anni di vita ascetica imposti dalla moglie che, dopo la nascita
della prima e unica figlia, aveva preso a rifiutare il marito. Il Tribunale di
Firenze, nel 2005, aveva pronunciato la separazione senza addebito, affidando
la bambina alla madre alla quale assegnava anche la casa coniugale e un assegno
di 230 euro per il mantenimento della piccola. In appello, invece, il marito
aveva ottenuto la pronuncia di addebito facendo presente che Monica «per ben
sette anni, dalla nascita della bambina, aveva rifiutato qualsiasi rapporto
sessuale, e nell'ultimo anno lui si era dovuto rassegnare a dormire in una
stanzetta separata dal talamo coniugale». Inoltre «negli ultimi due anni la
moglie aveva del tutto trascurato la conduzione e la pulizia della casa
riducendola in condizioni invivibili». Nel confermare la colpa dell'insensibile
Monica, la Cassazione lascia perdere la faccenda della casa trascurata ma non
transige sul resto.
LA MOTIVAZIONE - «Il persistente rifiuto di intrattenere
rapporti affettivi e sessuali con il coniuge, poichè, provocando frustrazione e
disagio e, non di rado, irreversibili danni sul piano dell'equilibrio
psicofisico, costituisce gravissima offesa alla dignità e alla personalità del
partner, configura e integra - affermano i supremi giudici - violazione
dell'inderogabile dovere di assistenza morale che ricomprende tutti gli aspetti
di sostegno nei quali si estrinseca la comunione coniugale». Un comportamento
del genere - prosegue l'alta Corte nella sentenza 19112 - non può «in alcun
modo essere giustificato» e «legittima pienamente l'addebitamento della
separazione, in quanto rende impossibile al coniuge il soddisfacimento delle
proprie esigenze affettive e sessuali e impedisce l'esplicarsi della comunione
di vita nel suo profondo significato».
ROMA - Per sette lunghi anni ha detto no alla moglie: «Anche
stasera ho mal di testa, cara». Per ritorsione ha fatto lo sciopero del sesso.
Lisistrata al maschile dei tempi moderni, ha disertato il talamo per punire la
consorte, perché lei in una faccenda di soldi aveva preso le difese del
fratello anziché le sue. Così la separazione gli è stata addebitata dal
tribunale di Trapani, dalla Corte d’appello di Palermo e ieri anche dalla
Cassazione.
Quella «punizione» è sproporzionata, hanno detto i giudici
della Prima civile, e non c’è dubbio che «il rifiuto, protrattosi per ben sette
anni, di intrattenere normali rapporti affettivi e sessuali con il coniuge
costituisca gravissima offesa alla dignità e alla personalità del partner e
situazione che oggettivamente provoca senso di frustrazione e disagio, spesso
causa, come è notorio, di irreversibili danni sul piano dell’equilibrio
psicofisico». Francesco G. e Piera N., due figli, si sono separati nel 2000
dopo 7 anni durante i quali Piera ha dovuto incassare i ripetuti no del coniuge
alle sue richieste di affetto. Francesco, da parte sua, con la moglie ce l’aveva
proprio. Non riusciva a sopportare l’idea che avesse «preso le difese del
fratello quando questi lo aveva ingiustamente accusato di essersi appropriato
di somme appartenenti alla cooperativa edilizia da cui era stato realizzato
l’appartamento coniugale e della quale era diventato presidente».
Ma la Corte gli ha dato torto. E’ vero, è scritto nella
sentenza, che il comportamento della donna, quel non credere al marito e
accusarlo di fatto di essere un ladro è stato «non certo conforme ai doveri di
solidarietà», e tuttavia il rifiuto della «prestazione sessuale, ove
volontariamente posto in essere non può che costituire addebitamento della
separazione», in quanto rende «impossibile all’altro il soddisfacimento delle
proprie esigenze di vita dal punto di vista affettivo e l’esplicarsi della
comunione di vita nel suo profondo significato». (NOTARE, LE PAROLE SONO LE STESSE, IDENTICHE, COPIATE PARI PARI A DISTANZA DI ANNI ) Non è la prima volta,
naturalmente, che la Suprema Corte si è trovata ad affrontare casi simili e ha
sempre condannato il coniuge «inadempiente». Alcuni esempi: nel 1997 ha stabilito che anche
quando c’è crisi matrimoniale e i coniugi non si sopportano più eppure non
chiedono la separazione, allora non vengono meno gli obblighi reciproci,
compreso quello sessuale. Nel 1999
ha assolto un adultero che era andato a vivere con un’altra
donna perché la moglie da anni si rifiutava di avere rapporti. E più
recentemente, nel 2001, ha
addebitato la separazione alla moglie che dopo la nascita della figlia si era
sempre sottratta ai doveri coniugali. Ma si può obbligare qualcuno che si sente
tradito nella fiducia ad assolvere a quel dovere come se niente fosse? Si può
continuare a desiderare una donna che pensa che sei un ladro? L’avvocato Cesare
Rimini sorride: «Una volta si parlava di "debito coniugale". Certo,
il rifiuto dei rapporti sessuali quando è intenzionale è una violazione dei
doveri che derivano dal matrimonio. Tuttavia ogni addebito deve essere letto
nel contesto del rapporto coniugale. Insomma, i comportamenti vanno valutati
concretamente». Anche il tribunale dei comportamenti psicologici «assolve»
Francesco. Dice il professor Willy Pasini: «Il desiderio sessuale è qualcosa di
più grande dell’erezione. Implica la persona tutta intera. Se lui si è sentito
non più stimato può aver perso il desiderio. Ma se anche non l’avesse perduto e
avesse usato lo sciopero del sesso come arma contro la moglie, questo
presuppone un odio, un conflitto le cui cause sono da attribuire ad entrambi.
Ma allora questa è tutta un’altra storia».
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