sabato 15 dicembre 2012

ABBIAMO 33.000 EURO A TESTA DI DEBITO , NEONATI COMPRESI



Oggi su Libero (ebbene io leggo quel "giornalaccio" di destra, dove scrivono giornalisti che apprezzo, come Giacalone, primo tra tutti, e poi Maglie, Facci, Mughini per citare solo i più conosciuti e che sono di orientamento : repubblicano, socialista e financo ex manifesto )  c'era un articolo che francamente non mi sarei aspettato di leggere su quelle colonne. L'autore è Ernesto Preatoni , che nel recente passato alcuni avevano indicato come uno dei tanti ricchi imprenditori intenzionati a candidarsi alla guida del PDL orfano di Berlusconi. Poi il Nostro ha detto che comunque il partito, o quel che ne resta , è suo, e quindi di questi nuovi assi dell'economia, sconosciuti ai non addetti ai lavori, si torna a non parlare più. Diciamo solo, come biglietto da visita di Preatoni, è che il Manager  viene considerato uno degli "inventori" di Sharm, in Egitto. Un po'  l'Aga Khan della Costa Smeralda, per capirci.
Costa SmeraldaBene, Preatoni, per descrivere la crisi italiana, e l'insuccesso della ricetta Montiana, almeno stando ai numeri attuali (dopo tanti sacrifici, riconosciuti anche dalla Merkel, e in questi giorni pagati da tutti, con l'IMU , il debito italiano ha sfondato quota 2.000 miliardi di euro, roba da 33.000 euro a testa, neonati compresi ) , ricorre alla metafora di una barca dove, per allontanarsi dagli scogli dove la tempesta sta gettando l'imbarcazione, il capitano decide di buttare a mare quelli che non remano, o remano troppo poco e male. Alleggeriti in questo modo, i rematori più forti potranno riuscire a portarsi in salvo.
Questo sistema, afferma Preatoni - ripeto, un imprenditore, non un sindacalista - può funzionare in una Spa, dove si decide di aumentare i ricavi e tagliare i costi : maggiore produttività a fronte di minori spese. Una riorganizzazione che in un'impresa si può e si deve fare, ma applicata allo Stato, osserva Preatoni, si traduce in misure meno efficaci, e con un costo sociale non sostenibile : i maggiori ricavi si realizzano con più tasse, e i minori costi con espulsione di persone a cui comunque poi si dovrà provvedere in un altro modo.
Tornando alla metafora della barca, è come se la gente buttata a mare, almeno una parte di questa,  abbia trovato il modo di aggrapparsi alla stessa, con il risultato che il peso non si è alleggerito e in compenso a remare sono rimasti in meno.
Trasferito alla situazione italiana, con più tasse, e recessione derivante anche dalla maggior povertà della gente, i "rematori" (imprenditori, cervelli ) che possono se ne vanno in altri paesi migliori, e chi resta, non ce la fa, anche per crescente demotivazione, oltre che fatica.
Voglio riflettere su questo articolo, suggerendo di fare altrettanto. Una cosa ho capito, in questo anno e mezzo di blog : un post non è un saggio, un libro, e quindi se lo si legge, forse è opportuno farlo con spirito "Positivo", per vedere se offre spunti, stimoli. Risposte esaustive, convincenti, superiori ad ogni possibile obiezione, come detto difficilmente è alla portata di due cartelle di roba. Specie su temi così complessi e controversi.
Per rimanere in tema di disoccupazione e ricette da correggere, fornisco allora un altro contributo, in questo caso del più noto Giacalone, che evidenzia alcuni aspetti che ritengo importanti su ricette, errori , e faziosità da superare
Buona Lettura


Banche e disoccupati


I disoccupati, in Europa, hanno raggiunto l’11,7%. Dato riferito a ottobre e reso noto dalla Banca centrale europea, che aggiunge: la situazione è andata continuamente peggiorando e la ripresa, supposta in arrivo per la seconda parte del 2013, sarà lenta. Per capire il nesso fra dati e politiche, leggete quel che ha detto Ben Bernanke: finché la disoccupazione statunitense sarà superiore al 6,5% la Federal reserve terrà i tassi d’interesse “eccezionalmente bassi”. Infine, prendete nota di quel che pensa Mark Carney, non molto noto, dalle nostre parti, ma appena dimessosi da governatore della Bank of Canada per andare a ricoprire lo stesso posto alla Bank of England (come un calciatore straniero, preso perché fenomenale): abbandoniamo l’idea che le autorità monetarie servano per difendere il mercato dall’inflazione e se la ripresa non parte meglio occuparsi di occupazione e crescita. Capito? Non siamo noi, poveri fissati, a sostenere che la politica imposta dalla Germania della Merkel è sbagliata, non ci siamo accorti solo noi che quella ricetta è fallimentare, come s’è sperimentato in tutti i disgraziati paesi che hanno fatto da cavie, Italia compresa, è l’intero mondo occidentale, non germanocentrico, o, se preferite, anglosassone, a urlarlo.
Se le cose vanno meglio, in eurolandia, se anche l’asta dei Bot è andata alla grande, con il doppio della domanda (segno che non solo siamo pagatori seri, ma anche generosi), è perché la Bce in parte s’è mossa e in parte ha lasciato intendere che è pronta a muoversi secondo lo schema di gioco anglo-statunitense. Non è proprio così, ma per quel che ci somiglia già funziona. Basta non essere così ottusi da guardare solo il monoscopio degli spread italiani, seguendoli con l’aria ebete di chi ci cerca un’indicazione di vita, modello oroscopo, ma seguire l’andamento dei tassi d’interesse e degli spread altrui, così accorgendosi che dopo la vampata della scorsa estate sono tutti in discesa. Merito della Bce. Ma, anche, segno che la dottrina tedesca è stata sconfitta.
In cambio il governo Merkel non si accontenta certo solo degli applausi della sinistra italiana, che si suppone sia alleata dei socialdemocratici tedeschi, suoi avversari, e tutti motivati da mero antiberlusconismo inguinale. Vuole di più, e mi pare lo abbia ottenuto nell’accordo sulla vigilanza bancaria europea, che esclude da quella copertura, lasciandole alla competenza delle autorità nazionali, le banche con un valore degli asset sotto i 30 miliardi e una rilevanza che non supera il 20% del prodotto interno lordo nazionale. Detto in modo più diretto: le Landesbank tedesche non risponderanno alle autorità europee. Se fossero italiane si griderebbe allo scandalo e noi stessi sosterremmo che per finanziare liberamente gli amici degli amici, usando banche pubbliche e con vertici nominati dalla politica, si sfugge al controllo indipendente. Ma sono tedesche, sono messe male e servono tanto per la campagna elettorale. Questo la signora Merkel ha avuto in cambio, sicché piantiamola di credere (scioccamente) che certi mercanteggiamenti siano estranei ad altri.
Ora, però, nessuno creda che la politica attiva e la linea espansiva della Bce propizino il ritorno della spesa pubblica allegra, perché è vero il contrario: regge finché nessuno potrà accusarla di favorire spese improduttive, o direttamente assistenzial-clientelari. Quindi noi, che all’Ue diamo più di 14 miliardi l’anno (essendo i terzi pagatori), che siamo quelli con il miglior avanzo primario (i francesi se lo sognano) e dobbiamo fare i conti con un debito aggregato inferiore a quello di chi pensa di darci lezioni, abbiamo le carte in regola, sudate e pagate, per volere contare e avere un ruolo guida, in Europa. Ma dobbiamo radere al suolo il Pusp, il partito unico della spesa pubblica, che è la pietra che abbiamo legata al collo, nonché la causa del debito pubblico troppo alto, nostro supplizio e nostra debolezza. Siamo nelle condizioni, intendo dire, per influire sulle politiche europee, spingendole nel senso dell’accelerazione dello sviluppo, favorendo defiscalizzazione e più investimenti infrastrutturali, mettendo anche nel conto un po’ d’inflazione (che è meglio dell’abbondante recessione), ma per farlo abbiamo bisogno di un governo che non sia né di scolaretti intimoriti, né di sindacalisti corporativi, che sappia tagliare e la smetta di tassare.
Se solo fosse possibile far vedere agli italiani quali sono i vantaggi, in termini di ricchezza e occupazione, di una simile politica, i tagli alla spesa corrente sarebbero reclamati a furor di popolo, anziché avversati come puntassero ad affamare il popolo. 




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