In questo blog sono stati stigmatizzati varie volte ed entrambi i mali tipici che motivano, nelle persone peggiori, l'individualismo di "destra" e il "collettivismo" di sinistra : l'egoismo da una parte, l'invidia dall'altra.
E' facile dire, più difficile da praticare, l'aurea mediocritas che dai tempi di Aristotele viene indicata come la via più "Giusta" , semplicemente perché più ragionevole. Non si possono mortificare gli individui, comprimendo la loro libertà anche economica in nome del bene collettivo, non si può dimenticare che gli uomini sono animali sociali, la loro interazione e collaborazione è imprescindibile. Senza dimenticare, cristianamente ma anche laicamente, che i più deboli vanno aiutati.
Fatte queste banalissime, ma vere ritengo, premesse, personalmente tra egoismo ed invidia sono più insofferente alla seconda. Se non altro per maggiore coerenza . Io difficilmente ho visto persone ricche, o molto benestanti, ammantare di buoni sentimenti il loro egoismo, il loro godersi la posizione di privilegio raggiunta. Ci sono anche, per carità, ma francamente ne ho visti pochi. Più spesso il loro tratto più precipuo è il pragmatismo, il realismo fino al cinismo. Nel campo dell'invidia sociale no : è un trionfo di principi nobili richiamati per giustificare come sia cosa buona e giusta togliere al ricco per dare al povero. In realtà la stragrande maggioranza di quelle persone vorrebbe essere al posto del primo, ma siccome non possono, allora MANCO LUI deve potere.
Triste no ?
Più volte abbiamo scritto che l'utopia da perseguire è l'uguaglianza dei punti di partenza, in modo che siano effettivamente capacità e merito a determinare le disuguaglianze tra le persone (sì perché le persone devono avere uguali DIRITTI, ma non illudiamoci che abbiano uguali capacità. NON è vero ). , e non già i più fortunati natali. Impossibile, in assoluto, come ogni utopia, però è la stella polare giusta. E attraverso la realizzazione di una scuola di qualità e accessibile a tutti (in cui il progredire non è determinato dalla tasca ma dalla capacità dello studente, il somaro può anche accettare di essere tale ad un certo punto e fare altro ) il cosiddetto ascensore sociale può funzionare (da lustri si è quasi fermato ).
Io ho un mio amico imprenditore che guadagna non so quante volte più di me, 4, 5 ? A 50 anni potrebbe smettere di lavorare e suo figlio, se non s'impegna con troppo successo a sperperare quello che ha costruito il padre, potrebbe vivere di ottima rendita. Eppure il mio amico continua a lavorare, investire, dando lavoro non solo ai suoi dipendenti ma ovviamente a fornitori e il cd. "indotto". Ora, perché dovrei invidiare quest'uomo ? Perché dovrei pretendere che lui divida con "me" la sua ricchezza ?
Lavora più di me, rischia più di me, è capace più di me. Sarà giusto che guadagni anche molto più di me ?
A mio avviso sì.
Ripeto, il principio di una tassazione equa che serva sia alla partecipazione dei costi dei servizi essenziali che a fornire ai poveri, ai più deboli, la gratuità di questi servizi, la ritengo giusta. Ma non è equità la spoliazione del ricco, o del molto benestante, l'esaltazione del pauperismo come se questo fosse una virtù e non un male da combattere, e da vincere. Non è nobile "l'uguaglianza di punti di approdo" di marxiana memoria.
Ecco il bell'articolo sul Corriere della Sera di oggi, scritto del direttore Battista dedicato all'infelicissima esternazione dell'alleato del PD, Nichi Vendola, che vuole i ricchi all'inferno.
Buona Lettura
E Vendola sogna «i ricchi all'inferno»
Nichi Vendola si scaglia
contro i «super ricchi» per accogliere i quali spera che si spalancheranno le
porte dell'inferno. Ci risiamo? Ci risiamo con gli anni dell'ultimo governo
Prodi in cui l'estrema sinistra spaventava la borghesia sostenendo che anche i
ricchi devono piangere? Molto prima del caso Gérard Depardieu, intenzionato a
mollare Parigi per la super tassa del 75% da un milione in su voluta dal
presidente Hollande. Manca pochissimo al «Casse-toi, riche con!» scagliato dal
quotidiano francese Libération contro il ricchissimo Bernard Arnault, ben prima
di Gerard Depardieu intenzionato a mollare Parigi per via della supertassa del
75 per cento da un milione in su, un quasi esproprio poi rientrato, voluto dal
presidente Hollande per placare la rabbia sociale e per tener fede a una
mentalità molto «di sinistra». Ora Nichi Vendola, sempre incline al lessico
plasmato sul profetismo politico, lancia la sua maledizione contro i «super
ricchi» per accogliere i quali si spera che si spalancheranno addirittura le
porte dell'«inferno». Ci risiamo? Ci risiamo con gli anni dell'ultimo governo
Prodi in cui l'estrema sinistra (allora detta «radicale» o «massimalista»)
spaventava la borghesia con le parole da cui poi i benpensanti di sinistra si
dissociavano più inorriditi che imbarazzati: anche i ricchi piangono. Che poi
non era una constatazione, ma un'esortazione a inasprire il risentimento di
classe: «Anche i ricchi piangano». Esattamente l'opposto della formula avanzata
nei mesi scorsi da Matteo Renzi, accusato dal Bersani in versione sinistra
d'antan di frequentare la ricchezza politicamente scorretta di chi bazzica le
isole Cayman, secondo il quale essere di sinistra non è «odiare i ricchi, ma la
povertà». Una sinistra che non demonizza la ricchezza, non pensa che il denaro
sia «lo sterco del demonio», che non vuole appiattire, schiacciare, insomma
punire chi ha più soldi, ma creare le condizioni per cui sempre meno gente
versi in condizioni deplorevoli. Ecco la prova che di sinistra non ce n'è una
sola. Quella per cui i ricchi, come sostiene Vendola, devono essere mandati
all'inferno. Quella di Libération che intima titillando la demagogia pauperista
«Vattene via ricco coglione». Quella di Hollande, velleitaria ma poi anche
pragmatica quando si tratta di rimangiarsi una supertassa che crea più
polemiche che introiti. Quella di Renzi, che i ricchi non li odia, e che non si
scompone nemmeno di fronte alla parola «mercato». E poi quella di Bersani, che
oggi ama molto autodefinirsi virtuosamente «sintesi», punto di equilibrio degli
opposti: invoca la patrimoniale ma candida l'ex direttore generale di
Confindustria Galli, critica Renzi sulle Cayman ma non rinuncia al Monte dei
Paschi di Siena. Il pauperismo classista della sinistra (di una sinistra in
particolare, non di tutta) ha del resto ben piantate le sua radici in una lunga
tradizione di pamphlet, di inni, di convenzioni iconografiche, come quelle che
si esprimevano nella satira feroce di George Grosz e Otto Dix durante la
Repubblica di Weimar in cui il ricco capitalista veniva raffigurato come un
essere repellente, panciuto o comunque disgustoso. L'idea che il ricco cospiri
a nascondere i suoi tesori per escluderne dal godimento il popolo (il populismo
di sinistra ha una lunga e gloriosa storia). L'idea che la ricchezza, come la
proprietà, sia sempre, comunque la si giri, un furto, un'iniquità, una
sottrazione. L'idea che la ricchezza, quando non da espropriare tout court,
debba essere «redistribuita» con forti politiche sociali, soprattutto sul lato
della tassazione. Non più soltanto «progressività» delle imposte, come del
resto recita il testo costituzionale, ma fortissima sanzione per chi supera un
certo limite, oltrepassa una soglia maledetta, che sarà pure una condizione
paradisiaca in questa terra di ineguaglianza, ma che merita, vendolianamente,
«l'inferno». Se non proprio l'inferno dell'eternità, perché quello non compete
alla volontà umana, almeno «l'inferno» anticipato di una politica che vede la confisca
idealmente come il massimo della giustizia sociale e che solo per senso del
realismo, o per sfavorevoli rapporti di forza, non arriva tanto e si limita a
mungere quanto più possibile, quasi fino allo sfinimento, chi è molto ricco. E
se poi «ricco» non rende l'idea e rischia di creare allarme, allora ecco
spuntare la categoria rafforzata del «super ricco», condizione meritevole di
supplizi infernali proprio per il suo carattere super: alla super ricchezza si
risponde con una super punizione. Cosa di più terrorizzante dell'inferno?
Andassero casomai in Russia, come Depardieu. Nella Russia che un tempo doveva
essere il «paradiso dei lavoratori» e che adesso diventa terra di rifugio di
ricchi e super ricchi. Un inferno? Dipende dai punti di vista. E dipende da ciò
che penseranno gli elettori, nel caso i proclami vendoliani dovessero provocare
una reazione di rigetto. E stavolta la «sintesi» bersaniana sarebbe molto più
complicata.
RAFFAELE MARIN
RispondiEliminaCondivido in pieno la tua analisi, è meglio di quella del Corsera
GIACOMO ZUCCO
RispondiEliminaD'accordo con Raffaele