Nel riportare la notizia dello scontro tra la Boccassini e Ingroia, avevo fatto alcune considerazioni.
La prima, riguardava lo stupore di essere d'accordo con Ilda La Rossa, la seconda, che comunque il paragone tentato da Ingroia fosse improprio perché Falcone non è mai entrato in politica, semmai aveva , da uomo delle istituzioni, accettato di collaborare con il governo per meglio condurre la lotta alla Mafia. Come aveva fatto un Generale prima di lui, l'eroico Dalla Chiesa, senza per questo diventare un politico.
Terza, che la strumentalizzazione di certi nomi nobili a fini propagandistici ed elettorali, non è buona cosa...
Ecco, due su tre di queste considerazioni le ho trovate nel commento di Attilio Balzoni, su Repubblica.
E so piccole soddisfazioni....
Buona Lettura
Giù le mani da Falcone”
I MORTI bisognerebbe lasciarli in pace. Soprattutto in campagna elettorale. Soprattutto se portano i nomi di Falcone e di Borsellino. Trascinarli nell’arena non onora – mai – la memoria di quegli uomini. E danneggia fortemente coloro che li utilizzano come arma. L’incendio che sta divampando in queste ore sull’eredità contesa dei due magistrati uccisi ventuno anni fa giù in Sicilia, è un incendio che non si spegnerà presto. Ma è anche la prova di come certe ferite non si siano mai rimarginate e di come le divisioni siano sempre più profonde anche dopo tanto tempo. E non solo nella magistratura in tutte le sue varie anime. In particolare, in quella magistratura dell’Antimafia rappresentata da autorevoli esponenti come l’ex pm di Palermo Antonio Ingroia, l’ex procuratore nazionale Piero Grasso, il procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini. Un’Antimafia così clamorosamente spaccata non si era mai vista prima. La miccia è stata accesa da Ingroia che, per rispondere alle frecciate sulla sua candidatura ricevute da magistrati e organismi giudiziari, ha accostato il suo isolamento a quello di Falcone («Le critiche delle altre toghe nei miei confronti? Successe anche a lui»), poi sono arrivate le parole della Boccassini – magistrato nota per la sua riservatezza, mai un’apparizione pubblica, interviste che si contano sulle dita di una mano («Tra Falcone e Ingroia esiste una distanza misurabile in milioni di anni luce, si vergogni») – infine Grasso, che ha escluso ogni lontano paragone fra i due, il candidato di Rivoluzione civile e il giudice che ha cambiato la storia di Palermo e quella della magistratura italiana.
Ha sbagliato Antonio Ingroia – seppur sotto il tiro incrociato da parte dei suoi colleghi di ogni corrente sin dall’inizio di questa campagna elettorale – a spingersi sul filo dei ricordi e tirare in ballo a qualunque titolo Giovanni Falcone, ha sbagliato soprattutto nel passaggio in cui alludeva all’incarico di direttore degli Affari Penali del ministero di Grazia e Giustizia occupato quando Claudio Martelli era Guardasigilli. Falcone non è mai entrato in politica e non ha mai «collaborato» con la politica: è andato a Roma per riformare la legislazione antimafia, ha semplicemente continuato – su un altro piano – lo straordinario lavoro che aveva cominciato a Palermo con il maxi processo. È stata dura la reazione di Ilda Boccassini e dura ancora di più la replica di Ingroia, con quel riferimento a Borsellino. La ruggine fra i due è antica, i metodi d’investigazione completamente diversi, due “scuole” distanti. Nemmeno il comune grande nemico delle loro procure – Silvio Berlusconi – è riuscito a farli avvicinare negli ultimi dieci anni. La polemica è poi divampata con i rimproveri giunti a Ingroia anche da Maria Falcone e Salvatore Borsellino.
Peccato. In queste elezioni ci sono due magistrati di peso che si candidano al Parlamento, sarebbe uno spreco se l’Antimafia trasferisse – come sta accadendo – nei palazzi della politica tutti i contrasti e tutti i veleni accumulati negli anni precedenti dentro gli uffici giudiziari. L’Antimafia ha l’occasione di presentarsi compatta con proposte per una nuova legislazione–sui patrimoni illeciti,sull’autoriciclaggio,sullo scioglimento dei comuni, sulla protezione e il reiserimento dei testimoni di giustizia, sugli appalti, sulle contiguità con il potere politico e sulla corruzione – e si dilania invece ancora prima di cominciare l’avventura parlamentare.
Ecco perché chi si candida, chi addirittura fonda un partito, farebbe bene a misurare le parole su questi temi così delicati. E convincersi, superando steccati e rivalità, che l’Antimafia è di tutti.
Scriveva il nostro amico Giuseppe D’Avanzo – naturalmente nessun riferimento ai personaggi citati in questo articolo – nella prefazione di una raccolta di interventi e pensieri di Falcone ripubblicata dalla Rizzoli tre anni fa:“C’è qualcosa di umiliante in questa ‘sottrazione del cadavere’. È avvilente che la storia di un uomo che abitualmente si ritiene un eroe nazionale, invece di unire, di rappresentare la communitas, quindi quello che noi abbiamo in comune – e dunque un dovere, un debito, la promessa di un reciproco dono (munus) che nessuno può tenere per sé – diventi anche al prezzo di sfigurarne il pensiero un’arma contundente per colpire e annientare l’avversario del momento’. È giusto ricordare queste parole anche perché, dopo più di vent’anni, mentre tutti continuano a citare a proposito o a sproposito Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, non conosciamo ancora la verità sulle loro morti..
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