giovedì 3 gennaio 2013

IL PD SI ALLONTANA A SINISTRA. SARA' UN PROBLEMA PER MONTI "RAGGIUNGERLO"



Naturalmente, da qui al 25 febbraio i media tratteranno essenzialmente il tema delle prossime elezioni, e gli argomenti e le tesi si ripeteranno, al di là dei fattarelli di cronaca, con un Monti che, da Politico, si rivela un pochino più caustico del solito, mentre quelli della sinistra PD confermano di essere i fegatosi di sempre : basta sfiorarli che saltano su come zitelle oltraggiate.
Monti si sarà accorto che nel momento in cui non è più l'Angelo venuto dal cielo per detronizzare Berlusconi, ma un avversario politico (ancorché a metà, visto che al 90% dopo le elezioni lui e Bersani finiranno per governare insieme, o almeno ci proveranno ) , i toni cambiano, e di parecchio. Solo il segretario dei democratici finge di mantenere un sufficiente bon ton, lasciando agli altri, Fassina, Orfini, Damiano, il lavoro "sporco". Di questo smottamento a sinistra, ormai definitivo dopo la vittoria contro i renziani, parla oggi Polito in una sua nota , ma non è altro che la conclusione di un processo iniziato con l'elezione di Bersani come segretario. Scrivere oggi del PD come di una formazione di centro sinistra, sarebbe come dire che Storace è liberale-liberista. E' un partito di mera sinistra con dentro una minoranza socialdemocratica e una prevalenza di post comunisti . Non a caso i socialisti superstiti all'epurazione anti craxiana non li possono vedere.  Ichino se ne è andato, con lui altri che bene hanno scritto sul Corriere di non essere dei "transfughi" ma semplicemente gente che abbandona una casa costruita insieme ma ormai occupata in ogni piano da coinquilini che hanno stravolto (tradito ?) il progetto originario. Nell'editoriale odierno, sempre sul Corsera, Fontana ha detto cose giuste su Berlusconi e sul PDL e anche una grossa idiozia : la vittoria della componente più radicale dei candidati PD, i giovani turchi, i filo CGIL e così via, contro i renziani, i veltroniani, la sparuta pattuglia dei popolari , sarebbe colpa del ritorno in pista di Berlusconi. Lui in campo, ecco che si rafforza l'ala estrema dei democratici. Non che la cosa in sé astrattamente non sia verosimile, ma in concreto il PD , battuto Renzi, è proprietà assoluta di quella parte politica, Berlusconi o no. E Renzi , nel suo progetto, era il continuatore e miglioratore della linea veltroniana, con un partito democratico non ancorato alla sinistra più tradizionale ma aperto anche ai settori   Liberal e liberaldemocratici e OLTRE, cioè quei  moderati  desiderosi di un cambiamento. Insomma, uno in grado di prendere voti FUORI dalla Chiesa ortodossa. Battuto lui, facendo le primarie all'interno di quella Chiesa, è naturale che vincano i post comunisti, che sono chiara maggioranza. Si sono contati da poco, la realtà è quella, Berlusconi o no.
Più corretta, anche se sicuramente non sorprendente, visto che scopre l'acqua calda, l'analisi di Polito.
Buona Lettura


“Così il Pd si sposta ancora più a Sinistra” 


Pier Luigi Bersani non è mai stato così saldamente al comando del Pd, ma il Pd non è mai stato così a sinistra. Questo è il bilancio del terzo round delle primarie che ha scelto i candidati a un seggio in parlamento. L'esito ha premiato con nettezza i più radicali sui temi sociali (Fassina a Roma e Damiano a Torino in particolare) e i più attivi sul territorio (spesso giovani e sconosciuti). Il responso sull'identità del partito forgiato da Bersani è dunque chiaro: quello che era un «amalgama mal riuscito» di diverse tendenze (così lo definì D'Alema) è diventato una forza di sinistra. Il Pd è diventato una forza più omogenea perché ormai liberatasi dalle contaminazioni liberal-riformiste del tempo di Veltroni, con i «popolari» ridotti a una testimonianza, e dunque pronta ad aderire senza più titubanze al Partito socialista europeo. La «Ditta», come Bersani ha sempre chiamato il suo partito (anche quelli precedenti), è stata molto rinnovata; ma è anche tornata ad essere robusta e disciplinata. Il simbolo di questa vera e propria mutazione genetica sta nel successo dei cosiddetti «giovani turchi», il gruppetto di trenta-quarantenni che in questi anni sono stati l'ala marciante della corrente del segretario, combattendo le battaglie che lui non poteva combattere in prima persona. Innanzitutto per liberarsi degli «elefanti», i vecchi capi corrente il cui potere è stato praticamente spazzato via dalle primarie. In secondo luogo per marcare un'identità più radicale: sono stati loro ad attaccare Renzi come cavallo di Troia della destra, e a guidare la fronda interna antimontiana (anche se poi hanno votato tutti i provvedimenti del governo). Questo sviluppo da un lato rafforza il segretario. Si calcola che tra «giovani turchi» e «vecchi turchi» di più tradizionale osservanza bersaniana, i sostenitori del leader saranno almeno il 60% dei nuovi gruppi parlamentari. Il resto sarà diviso tra i renziani rimasti orfani di Renzi, le varie parrocchie dei «popolari», gli sparsi reduci di Veltroni (se Bersani ne salverà qualcuno nel listino). Però questi giovani che arriveranno in parlamento sull'onda di migliaia di voti delle sezioni e non per grazia ricevuta dal segretario, saranno anche molto più indipendenti, e liberi di combattere le loro battaglie politiche. Il Pd nella prossima legislatura avrà dunque una forte corrente di sinistra guidata dagli Orfini, dai Fassina, dagli Orlando, dai Damiano. Ognuno di loro dovrà lealtà al suo elettorato (Cgil compresa) prima ancora che al suo leader. È il bello della democrazia, ma la democrazia ha le sue complicazioni. La «gens nova» del Pd può infatti rendere ancor più difficile di quanto già non lo sia diventata un'alleanza postelettorale con l'area Monti. Finora Bersani ha sempre presentato il suo disegno politico come un classico gioco in due tempi; prima rimetto insieme tutta la sinistra (cioè evito di avere concorrenti alla mia sinistra) e poi la porto all'incontro con i moderati. Ma se e quando proporrà questa alleanza (cosa che sarà addirittura necessaria nel caso che al Senato la sinistra non sia autosufficiente) non dovrà più convincere solo una settantina di recalcitranti deputati vendoliani, ma anche una settantina di deputati del suo partito che hanno raccolto voti su una linea di forte ostilità, talvolta persino sprezzante, all'area e all'agenda Monti. D'altra parte Vendola e Fassina sono considerati da Monti medesimo proprio quei prototipi di «conservatori» contro i quali è salito in politica. Ce li vedete insieme dopo il voto? Bersani tenterà probabilmente ora una correzione inserendo nel suo «listino» personalità più riformiste: ieri per esempio ha scelto Carlo Dell'Aringa, un giuslavorista amico di Biagi al quale il Pd preferì Elsa Fornero al momento della composizione del governo Monti, tant'erano mal visti in Cgil gli amici di Biagi e tanto forte fu il veto (di Orfini per l'appunto) contro Ichino. Ma gli equilibri politici nei gruppi non saranno fatti dagli «indipendenti» nominati dal segretario, bensì dagli eletti e dalle loro correnti.

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