martedì 15 gennaio 2013

IL PANEGIRICO DELLE DONNE CHE NON TI ASPETTI DA DUE LIBERISTI



Il titolo non mi aveva molto invogliato : "LA QUESTIONE FEMMINILE"...
Poi, un po' la stima per la coppia di autori, il duo liberal liberista  Alesina e Giavazzi, un po' un senso di dovere nei confronti delle amate lettrici, ho deciso di leggere.
Non ho trovato riflessioni inedite, per lo più, ma ritengo possa essere utile ripassare.
Specie in una società dove il tasso di separazioni si sta velocemente avvicinando ai vertici del Nord di Europa e America, vale a dire il 50% (noi siamo prossimi a una coppia su tre ) , è piuttosto sconcertante non solo che da noi lavorino solo il 52% delle donne, ma che moltissime di queste scelga ancora studi  che portino poi più spesso a lavori meno qualificati e meno retribuiti.
E tutto questo non certo per capacità intellettive minori, anzi è notorio che le donne a scuola abbiano risultati migliori in generale e solo nelle materie matematiche scontino ancora un certo gap, peraltro in via di attenuazione. Si tratta piuttosto di SCELTE, che man mano intervengono e condizionano in negativo la presenza delle donne nel mondo lavorativo. A suo tempo lessi che avvicinandosi il tempo utile per avere un figlio, si attiverebbe nella donna non so bene quale reazione chimica, con la produzione di sostanze che dirottano il suo interesse prevalente nella direzione della procreazione (e riproduzione) piuttosto che verso altri obiettivi (realizzazione professionale tra questi ).
Alesina e Giavazzi parlano di questione culturale, più che di biologia, con la donna molto impegnata sul fronte domestico, e questo anche nei casi in cui la famiglia sia priva di figli .
Per questo sarebbero anche portati a non dare tutta la colpa alla mancanza di sufficienti strutture che aiutino le madre lavoratrici, come gli asili nido, quanto piuttosto allo scarso ricorso in Italia al lavoro part time, sia maschile che femminile.
Concludono che la questione è importante perché le caratteristiche femminili nel lavoro sono importanti, e quindi la limitatezza di quell'apporto nel nostro paese è seria.
Sicuramente sono pensieri autorevoli che piaceranno all'altra metà del Cielo.
Personalmente ribadisco un concetto espresso ormai molte volte : una donna, nel XXI secolo (ma già alla fine dello scorso) NON può non investire su se stessa e nella propria autonomia e indipendenza economica. Non può puntare sull'unione con un uomo per il proprio futuro. Se è' un rischio pressoché inevitabile in ordine ai figli,  per se stessa è assolutamente perdente e quindi, anche solo per questo, non accettabile.
DI Veronica Lario ce n'è una, poi ce ne saranno anche non poche su quella scia. Ma per tutte le altre, che sono molte di più, è bene contare su se stesse. Com'è pure giusto che sia.
Buona Lettura


RIFORME E UN CAMBIO DI MENTALITÀ
La questione femminile



L'Italia non sta utilizzando al meglio una parte importante del suo capitale umano, le donne. È una perdita colossale per la nostra economia. Quando studiano, le ragazze italiane sono più brave dei ragazzi, in tutte le materie. I dati del programma Pisa ( Programme for international student Assessment , l'indagine promossa dall'Ocse - l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico - allo scopo di misurare le competenze degli studenti in matematica, scienze, lettura e abilità nel risolvere problemi) mostrano che a 15 anni le ragazze italiane raggiungono punteggi di gran lunga superiori ai maschi in «abilità di lettura» (510 contro 464, una differenza enorme) ma anche in «abilità scientifica» (490 contro 488). Solo in matematica le ragazze fanno un po' meno bene dei maschi. Non è da escludere che questo sia un effetto indotto da una cultura che assegna a ragazzi e ragazze ruoli diversi: «La matematica è una cosa da uomini». Lo si vede nella scelta dell'università: il 76% delle matricole delle facoltà umanistiche sono donne; nelle scientifiche solo il 37%. Questa scelta probabilmente riflette anch'essa stereotipi culturali. Perché laurearsi in fisica nucleare per poi fare la casalinga? Meglio studiare poesia. Quando però le donne si iscrivono a una facoltà scientifica, spesso sono più brave: alla Federico II di Napoli, ad esempio, il 37% delle ragazze si laurea con 110 e lode, contro il 24% dei maschi.
La partecipazione alla forza lavoro delle donne in Italia è tra le più basse dei Paesi Ocse e la più bassa in Europa. Nel 2011 solo 52 donne italiane su 100, fra i 15 e i 64 anni, lavoravano o cercavano attivamente un lavoro. In Spagna erano 69, in Francia 66, in Germania 72, in Svezia 77. Solo in Messico e Turchia erano meno che in Italia. È vero che le donne più giovani lavorano di più: ad esempio, nella classe di età 35-44, il tasso di partecipazione è aumentato di 5 punti in un decennio. Ma rimane 15 punti inferiore al corrispondente tasso tedesco.
Il motivo di queste differenze straordinarie è che in Italia la divisione dei compiti tra lavoro domestico e lavoro retribuito sul mercato è più sperequata fra uomo e donna. La donna lavora in casa, il marito o il compagno in fabbrica, o in ufficio, sebbene, come abbiamo visto, il capitale umano delle donne giovani sia in media più alto di quello degli uomini. Insomma, troppe donne con grandi potenzialità non le sfruttano. I dati lo dimostrano chiaramente. All'interno delle mura domestiche le donne italiane fanno molto di più dei loro compagni: 6,7 ore di lavoro casalingo al giorno contro meno di 3 ore. Sommando il lavoro nel mercato e a casa, sono gli uomini ad apparire cicale mentre le donne, come formiche operose, lavorano quasi 80 minuti al giorno in più dei loro compagni. E questo accade indipendentemente dal livello di istruzione: è vero sia per le donne con la licenza elementare che per le laureate.
Perché le donne italiane lavorano così poco fuori casa? Si dice perché non ci sono abbastanza asili nido gratuiti o sussidiati. Magari fosse così semplice! In primo luogo tutte le donne in Italia lavorano meno che in altri Paesi, non solo le giovani madri. Inoltre, in molti casi, i bambini non verrebbero mandati al nido neanche se questo fosse gratuito perché si pensa che sia la mamma a doversi occupare dei figli piccoli.
Ci si aspetterebbe che il nostro fosse un Paese con un alto tasso di natalità. E, invece, tanta attenzione per i figli non si riflette in tassi di fertilità altrettanto elevati: anzi, la fertilità è molto più alta in Svezia, dove quasi tutte le donne lavorano (1,9 figli per donna), che in Italia (1,4).
Insomma, le ragioni della scarsa partecipazione al lavoro sono molto più profonde: hanno a che fare con la nostra cultura, che assegna alla donna il ruolo di «angelo del focolare» e all'uomo quello di produttore di reddito. Ma il risultato è che tanti uomini mediocri fanno un mediocre lavoro in ufficio; un lavoro che le loro mogli casalinghe farebbero molto meglio perché hanno più capitale umano. Inoltre, al momento degli scatti di carriera spesso le imprese preferiscono gli uomini; magari non semplicemente per discriminazione di genere, ma perché sanno che in caso di conflitto fra esigenze familiari e aziendali un uomo sarà più disposto di una donna ad anteporre le esigenze dell'azienda a quelle della famiglia. Il risultato è che il capitale umano del nostro Paese è sottoutilizzato perché quello femminile è usato poco e male.
La famiglia rimane un'istituzione fondamentale della società, nessuno lo nega. Ma il punto è che in Italia, più di ogni altro Paese europeo, il carico della famiglia è troppo sbilanciato sulla donna. Fino a quando non si aggiusta questa equazione non si fanno passi avanti. Sia chiaro: ci stiamo muovendo su un terreno minato, che sfiora il dirigismo culturale. Forse gli italiani (uomini e donne) sono contenti così. Cioè sono contenti di una distribuzione del lavoro domestico e nel mercato tanto sbilanciata. Se così fosse, non c'è alcun motivo per cui il legislatore debba intervenire.
Ma siamo proprio sicuri che le donne italiane siano così felici di assumersi carichi domestici che paiono ben superiori a quelli delle donne di altri Paesi europei? Siamo così sicuri che tutte le donne siano contente di non essere promosse nel lavoro perché devono farsi carico della famiglia (non solo dei figli, anche di genitori e parenti anziani) praticamente da sole?
Forse no, e allora il prossimo governo dovrà mettere la questione del lavoro femminile al centro del suo programma. Proposte ce ne sono. Ad esempio uno di noi (Alesina, insieme ad Andrea Ichino) ha da tempo suggerito vari metodi per detassare il lavoro femminile e favorire la partecipazione al lavoro delle donne. Si deve anche pensare a un uso molto più flessibile del part-time per facilitare la gestione familiare, come nei Paesi nordici, dove il part-time è molto più diffuso che da noi. Attenzione però: part-time sia per uomini che per donne, appunto per riequilibrare i ruoli nella famiglia.
Mario Monti nella sua Agenda ha ricordato il problema del ruolo della donna nella nostra società. Il prossimo governo dovrà partire proprio da lì.

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