sabato 9 febbraio 2013

CARO PRESIDENTE, NON è NECESSARIO RIVANGARE LA STORIA DEL PCI. SE LO FA, ALLORA DICA LA VERITA'.


Si discute se i concetti di DESTRA e SINISTRA siano ancora di attualità, figuriamoci se non appaia obsoleto parlare di COMUNISMO, ancorché in giro di nostalgici ce ne siano diversi....
Il discorso diventa di attualità perché lo ha tirato stranamente fuori il Presidente Napolitano, che sull' Osservatore Romano scrive : "certo è stato impossibile - se non per piccole cerchie di nostalgici sul piano teoretico e di accaniti estremisti sul piano politico - sfuggire alla certificazione storica del fallimento dei sistemi economici e sociali d'impronta comunista ".
Parole che meritano un applauso convinto. Però provengono da un uomo che nel partito comunista più grande dell'occidente ha militato dal suo ingresso in politica, fino al suo sciglimento conciso, guarda caso,  con la fine dell'Unione Sovietica, che di quel partito era stata il Padrone prima, comunque Mentore poi, Finanziatore sempre.
E' vero che, dopo il 1968, Napolitano divenne esponente dell'ala cosiddetta "Migliorista" del PCI, quella che aveva accantonato definitivamente, e non solo tatticamente, il progetto rivoluzionario e assunto posizioni di educatissima critica all'URSS, con un lentissimo cammino che nel 1977 portò all'"endorsement" berlingueriano per la NATO.
Ma, come benissimo ricorda Giacalone nell'articolo che di seguito pubblico, si è trattato di poca cosa, anche perché accompagnata all'aperta ostilità del PCI nei confronti dell'"altra" sinistra, quella socialista, che invece dall'Unione Sovietica la distanza l'aveva presa forte e netta già nel 1948, così come la scelta convinta del campo occidentale. Insomma, si poteva ben rompere con il Comunismo Reale, quello sovietico, restando di sinistra.
Il PCI non lo fece. MAI.
Quando morì la Madre, il Figlio uscì di casa, cambiando nome. Questa è la storia.
Si può lasciarla lì dov'è, perché appartiene al passato, ancorché assai meno lontano di quello Fascista , che pure non va nemmeno nominato per non ferire le sensibilità tardo partigiane, e va bene.
Gli studenti italiani ancora mi risultano non oltrepassare, nello studio della Storia, la seconda guerra mondiale, quindi della Storia Comunista sanno poco e nulla, e magari manco gliene importa di conoscerla.
Però, se uno ne parla, allora è bene farlo dicendo la verità.
Che è quella che riassume Giacalone, non la sinossi di comodo del Presidente Napolitano.
Buona Lettura


Deprecabili amnesie


Interessante la riflessione di Giorgio Napolitano, circa il rapporto politico fra il Partito comunista e il nostro mondo, occidentale ed europeo. Peccato che persista una deplorevole confusione: di idee, fatti e date. Nel discorso pronunciato all’Istituto per gli studi di politica internazionale, il presidente della Repubblica ha, fra le altre cose, sostenuto che: a. avere rifiutato il rapporto con gli Stati Uniti fu, nel 1948, un errore dei comunisti, poi divenuto una palla al piede della forza “divenuta egemone nella sinistra”; b. un “sostanziale ripensamento”, rispetto alla guida sovietica, “si fece strada” a partire dall’invasione di Praga, nel 1968; c. già a partire dagli anni 60 il Pci ripensò l’impegno europeista “innanzitutto nella partecipazione al Parlamento europeo”, culminando ciò nel riconoscimento della Nato, nel 1977. Troppo poco, troppo tardi e troppo reticente. Per le ragioni che seguono.
1. Nel 1948 il Partito comunista era parte stessa del blocco sovietico. Palmiro Togliatti era cittadino sovietico. Non compì alcuna scelta, la fece la storia. Però Napolitano confonde le carte: il Pci non fu lontano dall’occidente nonostante divenisse forza egemone della sinistra, bensì divenne forza egemone proprio perché finanziata e sostenuta dai nemici dell’occidente. La Germania, del resto, uscì dalla guerra divisa, noi con il ribaltamento dei rapporti a sinistra. Due effetti della stessa realtà.
Non poteva essere diversamente? Questo assolve da ogni responsabilità personale? No. Pietro Nenni era l’altro titolare del Fronte popolare, eppure seppe rifiutare il premio Stalin. Si poteva, se solo non si fosse stati interni al sistema staliniano. Come furono i comunisti italiani.
2. Cosa realmente era il sistema sovietico lo sapevano tutti quelli che lo volevano sapere, e lo ignoravano solo quelli che lo volevano ignorare. Non c’era alcun bisogno di attendere il 1968, se non altro perché l’invasione di Budapest risale al 1956, quando significativi esponenti del Partito comunista la considerarono incompatibile con i propri ideali e se ne andarono. Fra loro Antonio Giolitti, che Napolitano celebra da morto tanto quanto lo avversò da vivo (fu candidato, da Bettino Craxi, alla presidenza della Repubblica, senza raccogliere il consenso dei compagni).
Il Pci non poteva abbandonare il blocco sovietico, né mai, dicasi mai, lo abbandonò. Non poteva perché ne era parte. Una cosa fu esprimere delle critiche, altra rompere. Le critiche furono formulate come se l’Urss fosse colpevole di non essere del tutto coerente con i comuni ideali comunisti. E’ imbarazzante, lo so, ma è così.
3. Che il Pci abbia ripensato l’Europa a partire dagli anni 60 è curioso, che la prova sia la partecipazione al Parlamento europeo è comico: non era eletto, ma composto da rappresentanze parlamentari nazionali. I comunisti ne facevano parte di diritto. E c’è di più: l’europeismo di allora era chiamato “eurocomunismo”, il cui compagno di strada era il francese George Marchais, filosovietico con il botto (poi scaricato dal socialista Mitterrand), l’altro compagno era lo spagnolo Santiago Carrillo, cui i sovietici tolsero la parola, in ragione della sua indisciplina ideologica. Il Pci non ruppe neanche in quell’occasione.
Nel 1977 i comunisti firmarono e votarono una mozione parlamentare che considerava l’Europa il riferimento della politica estera italiana, ma l’anno successivo votarono contro l’ingresso dell’Italia nel Sistema monetario europeo, facendo cadere il governo. Comincia lì la storia dell’euro, e i comunisti erano contrari. Chi fece il discorso di rifiuto? Napolitano.
Sulla Nato è vero: dopo averla avversata e chiesto che l’Italia ne uscisse unilateralmente i comunisti, e precisamente Enrico Berlinguer, dissero che si sentivano più sicuri sotto quell’ombrello. Tre anni dopo, però, contro le scelte della migliore sinistra europea, tedesca e italiana, i comunisti si batterono contro gli euromissili, il cui schieramento era stato deciso per rispondere a quello degli SS20 sovietici, che erano puntati contro di noi. Sfilarono e mostrarono con orgoglio il telegramma ricevuto da Leonid Breznef. Il capo del Patto di Varsavia, alleanza militare ostile all’occidente e all’Europa.
La storia, come si vede, è un po’ più complessa. Se per ammettere gli errori commessi si sente il bisogno di manipolarla è brutto segno. Il punto nodale, alla fine, è uno solo: i socialdemocratici tedeschi non furono mai filosovietici e ripudiarono il marxismo nel 1959; i comunisti italiani furono filosovietici, non ripudiarono mai il comunismo e si chiamarono “comunisti” fin quando quella turpe ideologia non uscì dalla storia, con il crollo sovietico. Serve a nulla, oggi, provare a imbrogliare le carte. La partita fu troppo grossa e milioni di esseri umani la pagarono con il sangue e la perdita della libertà. Una tragedia non si cancella con le amnesie

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