Tra i tanti discorsi che si fanno e che quindi è dato leggere ed ascoltare, ultimamente va di moda quello del pagamento dei crediti delle imprese nei confronti dell'Amministrazione Pubblica. Incredibilmente nessuno sa bene a quanto ammontino di preciso (a dispetto di un anno di tecnici e professori ) , e questo è un ulteriore problema, ma si parla di non meno di 75 miliardi. Mai pagati perché se si deve aumentare il debito pubblico lo si fa per altre cose, figuriamoci se per pagare i "ricchi padroni".
I quali invece tanto ricchi non sono, e infatti chiudono, oppure mettono in Cassa integrazione e chi non può, licenzia. Magari a qualcuno piace, perché sa di "de industrializzazione, anticonsumismo e decrescita" , però intanto restano senza lavoro varie altre decine di migliaia di persone...
Qualcuno pare che abbia capito che il problema è serio, che le banche, se non vedono tornare qualche soldo delle fatture già "scontate" non elargiscono più credito, che in tanti hanno iniziato a pagare percentuali degli stipendi ai lavoratori, contraendo ulteriormente il consumo interno, e così il pagamento dei crediti alle imprese diventa improvvisamente un "must" di cui si parla coi potentati europei.
E, udite udite, annuntio vobis gaudium magnum " la commissione europea pare aver detto SI', cioè sembra consentire a conteggiare "a parte" questa ulteriore partita debitoria, non calcolandola sui noti parametri fiscali che siamo tenuti a rispettare...
Una bella cosa, anzi , grande! Però c'è un MA, e cioè che per fare tutto questo occorrerebbe un governo che funzioni. E che invece non c'è.
Come ci spiega benissimo Davide Giacalone
Buona Lettura
No governo no soldi
Ballano 50 miliardi, che quest’anno dalla pubblica
amministrazione potrebbero (e dovrebbero) andare alle aziende che hanno fornito
beni e servizi. Il resto, altri 25 circa, l’anno prossimo. Debiti che lo Stato
non paga, colpevolmente. Ma balla anche di più: la disponibilità della Germania
ad allentare la morsa che incrudelisce la recessione, accettando che siano
inserite in una contabilità diversa sia la spesa per investimenti che quella
necessaria per pagare debiti invecchiati, e balla la capacità dell’Italia di
non affogare nelle proprie arretratezze, dimostrando di saperle superare.
Ottima, quindi, la notizia giunta dalla Commissione europea, ma da sola non
genera un bel nulla. Senza un governo operante, e non delirante, quei soldi
resteranno nel libro dei sogni, mentre in quello degli incubi metteremmo
ulteriori opportunità sprecate.
Perché quei soldi fruscino nelle mani dei creditori, vadano
a ristorare i loro bilanci e rimettano in moto la macchina produttiva, affinché
defluiscano a ridurre la loro esposizione con le banche, in questo modo
aumentando la capacità di queste ultime di erogare nuovo credito, è necessario
che il governo predisponga e il Parlamento approvi il Documento di
programmazione economica e finanziaria. Si potrebbe provare a forzare la mano e
i tempi, agendo con un decreto legge. Ma è doppiamente rischioso: a. perché è
ardito che un governo in carica per gli affari correnti utilizzi quello
strumento; b. perché anche a volere superare questa perplessità (cosa
possibile, se il Quirinale concorda), resta il fatto che gli altri passi
attuativi superano la durata dei sessanta giorni in cui il decreto è in vigore,
talché sarebbe complicato gestire eventuali modifiche e sarebbe disastroso che
decadesse, magari perché la legislatura nata morta è stata seppellita.
Questo passaggio è necessario, ma non esaustivo. Occorre
anche rifornirsi della liquidità necessaria, il che può essere fatto mediante
un’emissione dedicata di titoli del debito pubblico (che vanno venduti), oppure
facendo ricorso alla Cassa depositi e prestiti, quindi accendendo un debito. Si
può anche pensare ad mix delle due cose. Tutto questo non si fa con il pilota
automatico. Non è come fare le lasagne al forno, che prepari la teglia, scaldi
il forno e poi te ne vai, semmai è come il risotto: stai lì e segui
l’operazione dall’inizio alla fine, altrimenti mangi un immondo pappone.
Siccome i soldi devi andarli a prendere sul mercato, affinché te li diano non
basta che il debito sia contabilizzato fuori dal patto di stabilità, occorre anche
che chi li presta ti veda come soggetto dotato di una qualche stabilità (vale
anche nel caso dei soldi Cdp, perché se bruciamo i depositi postali non è che
il falò sia gratis). Ebbene, qui si torna a bomba: per fare queste cose c’è
bisogno di un governo affidabile. E nella categoria non rientra un governo che
dipenda da chi vuole fare il referendum sull’euro (a parte che i medesimi
escludono anche solo l’ipotesi di fare parte di una maggioranza).
Non si dimentichi, inoltre, che secondo la legge italiana lo
Stato non può pagare fornitori che non siano in regola con il fisco e con i
versamenti previdenziali, semmai indirizzando le somme direttamente al
creditore, cioè a sé stesso. Solo che molte aziende si trovano in quelle
condizioni proprio perché lo Stato non le aveva pagate, quindi mancava loro la
liquidità per adempiere agli obblighi fiscali e previdenziali. Sarebbe
abominevole se oggi le si privasse dei loro crediti, in ragione di una colpa
che non è loro, ma di chi li punisce. Anche per questo, però, è necessario
l’intervento governativo.
Posto ciò, il governo Monti può certamente cominciare ad
agire. Deve. Visto che sono tecnici facciano almeno le cose tecniche. Ad
esempio: il debito complessivo dovrebbe ammontare alla somma dei debiti di
ciascuna pubblica amministrazione, ma noi non abbiamo quel totale, abbiamo solo
delle stime, perché nessuno conosce le singole voci. Roba da non crederci, ma è
così: nell’era dell’informatica (cominciata nel secolo scorso) quei conti non
sono ancora né trasparenti né centralizzati. Va fatto, subitissimo. Come va
predisposto sia il Dpef, prima citato, sia l’eventuale veicolo cui far gestire
i pagamenti. Gli spagnoli lo hanno creato e l’esperienza è positiva.
La notizia è ottima, pertanto. Oltre a consentire di mettere
in circolazione soldi e di non oltraggiare ulteriormente la credibilità dello
Stato, segnala un cambio di rotta europeo. Giunto tardi, ma che va colto. Ci
manca solo che, a fronte di questa opportunità, l’Italia riesca a dimostrare di
non avere una contabilità aggiornata e un governo in grado di operare.
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