sabato 30 marzo 2013

LE DIMISSIONI ANTICIPATE DEL PRESIDENTE, UN ISTITUZIONALE, E COMPRENSIBILE, "VAFFA" A QUELLI DEL NUOVO PARLAMENTO


Quando la responsabilità viene chiesta agli altri....Di tante cose fastidiose del post elezioni del PD, iniziate fin dalla sera del 25 febbraio, dove un arrogante Gotor rivendicava, nonostante il desolante esito delle urne che decretava la mutilazione inguaribile di una vittoria che nelle previsioni doveva essere sonante, il diritto assoluto di Bersani di fare un governo, la più grande per me è stata questa invocazione a senso unico della "responsabilità" per il bene del paese. All'inizio questa perorazione era rivolta ai grillini....poi, dopo una serie di vaffa che non hanno memoria nella storia politica italiana ( dovuti non solo alla sgarbatezza di Grillo ma anche alla sorda pervicacia di Bersani, che più ce lo mandavano e più insisteva ) , si è estesa a pressoché tutti, ma sempre alle condizioni loro...
E questo richiama la solita spocchia di quelli di Sinistra, convinti non si sa bene per cosa (l'ideologia su cui molti di loro sono cresciuti è stata spazzata via dalla storia, mentre capitalismo e mercato, per quanto in difficoltà, grazie alla loro ben diversa "libertà" e quindi duttilità, ancora esistono e si sono espansi in paesi prima chiusi a questa realtà ) di essere i depositari della verità.
Letta, l'uomo che invocava le dimissioni di Berlusconi colpevole dell'impazzimento dello spread (dopo sei mesi di Monti l'indice era tornato ESATTAMENTE quello del novembre 2011, e tornò a scendere solo grazie a Draghi ) dà la colpa dello stallo agli altri, colpevoli di preclusioni (M5S) e pretese inaccoglibili ( PDL), senza mai una parola di autocritica, come se LORO, quelli della Sinistra, non avessero a loro volta posta una pregiudiziale netta, e tra l'altro quella più contraria alla logica dei numeri emersi dalle votazioni.
Nel Parlamento odierno ci sono sostanzialmente 4 formazioni di cui una dichiaratamente ANTISISTEMA, e che coerentemente si comporta come tale : il Movimento 5 Stelle. Il loro progetto è stare all'opposizione, mostrarsi quelli duri e puri, fare caciara denunciando tutto e tutti. Non gli interessa fare alleanze di governo, proporranno i loro progetti di legge e/o voteranno quelle che piacciono loro : fine. Piaccia o no questa è la loro posizione, sarà il caso di prenderne atto ?
A quel punto i voti dei montiani (che tra l'altro non è detto sarebbero stati disponibili ad una alleanza prostrata a Grillo ) non bastavano, e l'alternativa era o un'alleanza , stavolta politica e non tecnica, tra le forze di sistema, oppure tornare al voto. Lo hanno detto subito tutti gli osservatori non faziosi, non reclutatori...
E l'ha detto il Capo dello Stato. Ma Bersani e la maggioranza del PD su questo si sono a loro volta arroccati.
Polito, nel suo editoriale sul Corriere della Sera, ricorda desolato come appena due anni fa in Irlanda del Nord le due parti che per decenni si sono fatte le guerra VERA, con migliaia di morti, sono riuscite a fare la pace, raggiungendo un compromesso comune.
Possibile mai, commentava il giornalista, che in Italia questa barriera non si riesca ad abbattere ? Comprendo lo scoramento di Polito, che è di tanti stanchi della guerra tra berlusconiani e anti, però forse dimentica che questo è il paese che nei comuni, nelle tante signorie, principati, corti ha avuto la sua peculiarità nelle epoche storiche in cui invece negli altri paesi si affermavano gli stati nazionali. E questi mille piccoli centri non esitavano, in guerra gli uni contro gli altri, a invocare l'aiuto straniero, che inevitabilmente comportava una cessione di sovranità al soccorritore-protettore. Ebbene, si preferiva questo, pur di prevalere sul rivale.
Ecco, non ci siamo allontanati da lì (qualcuno ricorda le penose rivendicazioni storiche di rivalità insuperabili tra le province che il governo Monti voleva accorpare ?? da ridere se non ci fosse da piangere...).
Ecco il punto della situazione fatto da Marzio Breda , con la realistica e pessima prospettiva delle dimissioni di Napolitano, peraltro comprensibilmente stufo di tanta diffusa protervia autodistruttrice.
Buona lettura


L'IDENTIKIT: UN CANDIDATO PROVENIENTE DALLA CONSULTA

Governo del presidente o ipotesi dimissioni

La via (stretta) per uscire dallo stallo dopo il fallimento delle consultazioni di Pier Luigi Bersani

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (Ansa)Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (Ansa)
ROMA - Si sbloccherà tutto stamane. In due modi, dall'impatto opposto. La prima possibilità è di assistere alla convocazione al Quirinale di una personalità di forte caratura istituzionale (ad esempio un presidente o ex presidente della Consulta), cui Giorgio Napolitano potrebbe affidare l'incarico di formare un «governo del presidente» o «di scopo». La seconda possibilità, ben più traumatica, è di trovarci invece a registrare le dimissioni anticipate del capo dello Stato, che (forse già martedì 2 aprile) potrebbe decidere di passare la mano al proprio successore, data l'estrema difficoltà di superare lo stallo. Uno sbocco, questo, che dimostrerebbe come la nostra crisi di sistema renda impossibile, per lui, esercitare quel ruolo che - secondo i costituzionalisti - fa di ogni inquilino del Colle «il motore di riserva che può riattivare i meccanismi inceppati del processo democratico».
E' questo il doppio scenario con cui dovrebbe chiudersi la tormentata partita apertasi subito dopo le elezioni del 24-25 febbraio. Una sfida alla quale il capo dello Stato ha tentato fino a ieri sera di mettere la parola fine nel modo più costruttivo e utile per il Paese, tale da sedare lo scontro nel quale si è pericolosamente avvitato il confronto politico. Con tutti i partiti ostaggio di interdizioni reciproche, provocazioni, bluff, rimpalli di responsabilità e, insomma, prigionieri di quelle pregiudiziali e quei «troppi no» che Enrico Letta ha addebitato ieri sera agli antagonisti vecchi e nuovi (Pdl e Cinque Stelle), escludendo però i «no» del suo Pd. Dopo una consultazione lampo che ha riprodotto il clima del conflitto in corso con una prevedibile simmetria di dinieghi, ecco le sole alternative ad un ritorno immediato alle urne.
Certo si aspettava di più, Napolitano, dopo il congelamento del tentativo portato avanti con ostinazione dal segretario del Pd. Si aspettava di essere incoraggiato da una disponibilità che invece non ha trovato, se non parzialmente e freddamente nella solita, ma non convinta, formula del «ci rimettiamo alla sua saggezza». Rigido si è rivelato il centrosinistra, con un Sel fermo a insistere su un mandato pieno a Bersani, per una sfida in Senato su una incertissima fiducia. Ma sulla stessa linea era anche il gran corpaccione del Partito democratico, con eccezioni ancora piuttosto timide. Indisponibili ad appoggiare l'ultima spiaggia di un esecutivo d'emergenza si sono mostrati pure il Pdl e, con qualche modesto distinguo, la Lega. Un quadro che di sicuro non poteva incoraggiare il presidente quando, all'ora di cena, si è chiuso a riflettere nel suo studio.
«Non sono disponibile a fare governicchi alla fine del mio mandato e all'inizio di una nuova legislatura», ha ripetuto a più di un interlocutore, verificando amaramente quanto fosse rigida l'incomunicabilità tra i partiti. E ad altri ha confidato: «Un governo del presidente senza il presidente, come si fa? Forse è meglio che sia il prossimo inquilino di queste stanze a far partire, se ci riesce, un esecutivo del genere... almeno potrà sostenerlo con la forza della propria carica».
Un motivatissimo rovello, il suo. Basta infatti pensare a quale livello di indiretta delegittimazione ne ricaverebbe personalmente Napolitano, se un governo battezzato nel sigillo del suo Quirinale dovesse fallire. Avrebbe, per lui, lo stesso sapore di sconfitta che deve aver provato quando ha visto come è stato fatto cadere, pochi mesi fa, il gabinetto di Mario Monti.
La notte scorsa Napolitano l'ha trascorsa cercando di inventarsi un nome, una parziale lista di ministri e un'agenda, per quell'esecutivo «speciale». Ha avuto qualche contatto con le persone di cui più si fida. E' un uomo abituato ad analizzare le cose freddamente e con calma, a «governare le passioni», a valutare costi e benefici, le principali e le subordinate di qualsiasi scelta, senza escludere nulla. Tuttavia, il peso di questo convulso passaggio ricade solo sulle sue spalle. E, da ciò che è andato in scena nelle ultime ore al Quirinale, potrebbe ormai avvertirlo come insostenibile. Se dovesse decidere di lasciare, fino a quando non sarà eletto e insediato il dodicesimo capo dello Stato, i suoi poteri passeranno nelle mani del «supplente», il presidente del Senato Pietro Grasso.


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