lunedì 18 marzo 2013

MA CHE AMATO L'HANNO PRESO COME PREMIER A CIPRO ??


Nella giornata in cui si legge che a Cipro confiscano il 10% delle somme giacenti sui conti correnti (da noi, quando Amato sgraffignò di notte il 6 per mille c'incazzammo giustamente di brutto, pensate una percentuale del genere ! ) , le borse vanno giù e lo spread si alza. Mi pare il minimo !!
Spero di aver letto male, anzi sicuramente è così, ma sul Corriere veniva riportata una frase di Enrico Letta che avrebbe commentato come la quiete dei mercati nonostante le elezioni caos italiane non aiutava.....
Io non posso pensare che un italiano, per quanto politico e cinico, possa augurare il peggio del proprio paese per un calcolo politico (anche se fu grazie allo spread, che sempre secondo Letta sarebbe calato di 100 punti in una settimana se Berlusconi si fosse dimesso, che il Cavaliere mollò nel novembre del 2011) . Probabilmente era solo una considerazione, verosimile, e non un auspicio.
Il tanto peggio, tanto meglio peraltro non è principio che manchi a stomachi pelosi...Però, ripeto, reputo Letta un piccolo uomo, non uno scellerato.
In questo periodo dove ci appassioniamo al campionato politico, i problemi economici restano quelli di sempre, e se non vogliamo che quel poco di buono che in Italia ancora imprenditorialmente c'è, malgrado tutto, e che Giacalone fa bene a ricordare, sarà il caso di far presto a finire l'album delle figurine e tornare a pensare a cosa fare per uscire dalla palude in cui da troppo siamo immobilizzati.
Buona Lettura


Chi corre e chi cade
 
Come facciamo a non buttare via il tempo che ci divide dalle prossime elezioni, posto che la legislatura appena nata è già morta per insipienza e incapacità politica? Il nostro debito pubblico ha superato un nuovo record, ma i dati vanno letti sapendo leggere: è cresciuto meno di quello di altri Paesi europei. I debiti francesi e tedeschi crescono più dei nostri. E se è vero che il nostro debito pubblico era già troppo alto, il nostro debito aggregato (pubblico più privato) è non solo equivalente a quello tedesco e inferiore a quello francese, ma anche a fronte di un patrimonio più solido. A ciò si aggiunga che il nostro avanzo primario è il più alto fra i paesi Ocse. Infine: le aste di titoli del debito sono, quest’anno, meno impegnative di quelle 2012. Non stiamo scoppiando di salute, ma la cura ci ha rimesso in equilibrio assai più di quanto non stia facendo in altre lande europee.
Detto questo, non si vive d’equilibrio dei conti pubblici. Anzi, per raggiungerlo abbiamo pagato un prezzo salatissimo, che ora, per irresponsabilità politica, rischiamo di sprecare. La minore crescita del debito si traduce in maggiore recessione. La maggiore pressione fiscale si traduce in minore competitività e minori consumi. Nei mesi che ci attendono alcuni automatismi aggraveranno la situazione, portandoci non sull’orlo, ma direttamente dentro al baratro.
Se si studiano i dati elaborati dalla Fondazione Edison ci si accorge che la nostra industria manifatturiera ha non solo continuato la crescita sui mercati internazionali, non solo tenuto testa, ma anche battuto la concorrenza delle imprese francesi e tedesche. Andiamo forte. Siamo primi in Europa per la produzione di beni per la persona e la casa, con il nostro Made in Italy che copre il 21,3% del fatturato complessivo. Siamo al secondo posto nel settore meccanico (la Germania copre il 45,3% del fatturato, noi il 31,4). Siamo terzi nell’alimentare, posizione che potremmo migliorare se solo avessimo una politica agricola. L’Italia che si affaccia sul mondo sa correre. 
Ma ha due pugnali conficcati nella schiena: a. il crollo del mercato interno nazionale, indotto da minore liquidità e iniezioni potentissime di paura; b. quelle stesse aziende che corrono appaiono molto meno solide dei concorrenti che pur riescono a battere, perché devono mettere in conto un terrificante svantaggio fiscale.
Detto in altro modo: stiamo radendo al suolo il mercato interno, che oramai segna blocchi dei motori che vanno dall’edilizia al commercio, talché ogni chiusura non fa che confermare lo scenario negativo e, quindi, induce a non usare i soldi, anche quando ci sono; al tempo stesso abbiamo messo un nodo scorsoio fiscale al collo dei nostri campioni nazionali, che o si travestono da soggetti esteri, oppure si strangolano mano a mano che corrono. Quando questa condotta avrà dato i suoi frutti (avvelenati) non importerà più niente a nessuno che i conti pubblici siano in ordine, perché l’Italia sarà in caotico disordine recessivo.
Le cose da farsi le snoccioliamo giorno dopo giorno: dalla riforma costituzionale ed elettorale al taglio della spesa pubblica improduttiva e la discesa della pressione fiscale. Ma parliamo a dei cretinotteri che portano l’apriscatole in Parlamento o che ci vanno senza avere fatto l’accordo istituzionale e difensivo che la storia impone loro: quello fra Pd e Pdl. Siccome le uniche quotazioni in salita sono quelle degli incapaci, il pericolo che corriamo è che mentre si convoca la riconta elettorale l’economia reale tiri le cuoia. Ecco due cose da farsi: 1. approfittando della norma europea che impone di effettuare i pagamenti entro 30 giorni l’Italia sollevi il problema della contraddizione, sicché noi si risulterebbe inadempienti sia che si paghi (per il deficit) che se non si paghi (per la norma citata), quindi optiamo per il pagamento immediato di una fetta consistente dei debiti della pubblica amministrazione, mettendo in circolazione dei soldi; 2. visto che gli italiani devono essere richiamati alle urne e che, quindi, l’orientamento precedente è stato inutile, si blocchino tutti gli automatismi d’aggravio fiscale.
Qualche zelante eurocrate sosterrà che in quel modo veniamo meno agli impegni presi. Sarà facile rispondere che la dottrina germanofila porta alla vaporizzazione dell’euro e alla dissoluzione dell’Unione europea. Se solo avesse un governo vero, questo disgraziato Paese di disgraziati.

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