Domani è il 25 aprile, e si riaprirà la querelle sulla liberazione e i valori della Resistenza.
Gramellini, sulla Stampa, ci dedica la sua nota, retorica il giusto, e anti storica al solito. Si dispiace, lui come altri, che i giovani di oggi, sentendo che domani è giorno di festa a scuola, si domandino il perché..."ma che è ??" "pare una cosa tipo liberazione...".
E l'ignoranza è una cosa triste, che però certo non tocca solo la ricorrenza del 25 aprile. Non va meglio al 4 novembre (1918), per non parlare del 17 marzo (1861), che è l'anniversario dell'Unità d'Italia ed è un giorno feriale qualsiasi (come del resto lo è diventato, prima non era così, il citato 4 novembre, giorno della vittoria nella prima guerra mondiale) .
Non voglio, se non costretto, entrare nella polemica sulla data del 25 aprile.
Dico solo che la conclusione di Gramellini non corrisponde a verità.
Ecco la nota del giornalista scrittore
“Qualcosa tipo una liberazione” di Massimo Gramellini da La Stampa del 24 aprile 2013
Nell’esporre la sua netta contrarietà all’esecuzione di «Fischia il vento e infuria la bufera» durante le celebrazioni del 25 aprile, il commissario prefettizio di Alassio ha spiegato agli ultimi, stupefatti partigiani che la festa della Liberazione è apolitica. Non me ne voglia Sua Eccellenza, ma fatico a trovare una festa più politica dell’abbattimento di una dittatura. Politica in senso nobile e bello, al netto degli orrori reciproci che purtroppo fanno parte di ogni guerra civile.
Oggi il modo più diffuso per commemorare la Liberazione consiste nel rimuoverla, annegandola in un mare di ignoranza. Un signore ha scritto scandalizzato dopo avere udito all’uscita da una scuola la seguente conversazione tra ragazzi: «La prof dice che giovedì non c’è lezione». «Vero, c’è qualcosa tipo… una liberazione». Ma anche i pochi che sanno ancora di che cosa si tratta preferiscono non diffondere troppo la voce «per non offendere i reduci di Salò», come si è premurato di precisare il commissario di Alassio. Una sensibilità meritoria, se non fosse che a furia di attutire il senso del 25 aprile si è finito per ribaltarlo, riducendo la Resistenza alla componente filosovietica e trasformando le ferocie partigiane che pure ci sono state nella prova che fra chi combatteva a fianco degli Alleati e chi stava con i nazisti non esisteva alcuna differenza. La differenza invece c’era, ed era appunto politica. Se avessero vinto i reduci di Salò saremmo diventati una colonia di Hitler. Avendo vinto i partigiani, siamo una democrazia. Nonostante tutto, a 68 anni di distanza, il secondo scenario mi sembra ancora preferibile. Grazie, partigiani.
Oggi il modo più diffuso per commemorare la Liberazione consiste nel rimuoverla, annegandola in un mare di ignoranza. Un signore ha scritto scandalizzato dopo avere udito all’uscita da una scuola la seguente conversazione tra ragazzi: «La prof dice che giovedì non c’è lezione». «Vero, c’è qualcosa tipo… una liberazione». Ma anche i pochi che sanno ancora di che cosa si tratta preferiscono non diffondere troppo la voce «per non offendere i reduci di Salò», come si è premurato di precisare il commissario di Alassio. Una sensibilità meritoria, se non fosse che a furia di attutire il senso del 25 aprile si è finito per ribaltarlo, riducendo la Resistenza alla componente filosovietica e trasformando le ferocie partigiane che pure ci sono state nella prova che fra chi combatteva a fianco degli Alleati e chi stava con i nazisti non esisteva alcuna differenza. La differenza invece c’era, ed era appunto politica. Se avessero vinto i reduci di Salò saremmo diventati una colonia di Hitler. Avendo vinto i partigiani, siamo una democrazia. Nonostante tutto, a 68 anni di distanza, il secondo scenario mi sembra ancora preferibile. Grazie, partigiani.
Ed ecco la mia replica, postata anche sul Blog Quinto Stato
Non sono d’accordo con Gramellini. O meglio, condivido poco. E’ vero che mettere sullo stesso piano coloro che combatterono contro quella che era diventata una vera e propria occupazione (c’eravamo arresi, l’8 settembre, i tedeschi avrebbero, in teoria – ma eravamo teatro di guerra… – dovuto abbandonare il nostro territorio nazionale) e quelli che, per varie ragioni, furono alleati degli occupanti, non è giusto. E’ vero che fu una guerra civile, ma questo Gramellini non lo nega. NON è vero che dobbiamo la libertà e tanto meno la democrazia alla guerra partigiana. La dobbiamo alla vittoria degli alleati. Esattamente come il resto dell’Europa. Fino allo sbarco di questi, con conseguente caduta del fascismo il 25 luglio, e il successivo armistizio di settembre, di resistenza in Italia non vi era traccia. Tutto avvenne dopo (il CLN sorse il 9 settembre). E le formazioni partigiane si gonfiarono di molto man mano che si approssimava la fine del conflitto. Nell’aprile 1944, cioè a otto mesi dalle prime formazioni partigiane, si era passati da 1500 uomini (pochini direi) e 20.000 (mettendoci dentro un po’ tutto, che i combattenti erano circa 12.000). Nell’autunno-inverno 1944 Kesserling decise di affrontare con durezza le formazioni della Resistenza, approntando truppe e mezzi importanti che inflissero dure sconfitte alle formazioni partigiane (che pure combatterono con ostinazione e coraggio, nonostante la chiara superiorità bellica nazi fascista), che dovettero abbandonare le regioni liberate nell’Alto Monferrato, nell’Ossola e nella Carnia. Alla fine del 1944, le truppe combattenti che erano riuscite a sganciarsi ammontavano a circa 30.000 uomini.
Poi la linea Gotica cadde, l’avanzata alleata verso il nord riprese, la Germania era ormai battuta, e nei pochi mesi del 1945 i partigiani diventeranno circa 200.000….
Quindi Gramellini, diamo a Cesare ecc. ecc. Se siamo una democrazia, non lo dobbiamo ai partigiani. E questa è semplicemente Storia.
Poi la linea Gotica cadde, l’avanzata alleata verso il nord riprese, la Germania era ormai battuta, e nei pochi mesi del 1945 i partigiani diventeranno circa 200.000….
Quindi Gramellini, diamo a Cesare ecc. ecc. Se siamo una democrazia, non lo dobbiamo ai partigiani. E questa è semplicemente Storia.
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