martedì 11 giugno 2013

IL PROBLEMA NON è QUANDO SI FANNO I TEST D'INGRESSO, MA CAPIRE PERCHE' SI FANNO

 
Tutti sottolineano il debito che l'attuale società ha con i suoi giovani, in considerazione del presente difficile e del futuro che non appare  roseo. Disoccupazione a livelli record, robe che superano  il 30% , ovviamente non flette il numero dei NEET, cioè quei giovani (età estesa fino ai 34 anni...) che né lavorano né studiano, futuro previdenziale povero e sperequato rispetto ai pensionati  di oggi.
Meno possibilità di lavoro, precario , meno retribuito. In compenso, un welfare in restringimento.
Una figatissima.
Il bello è che tantissimi genitori si comportano come se tutto questo non sia già in essere, viziando i figli piccoli come se potessero farlo all'infinito come magari è toccato a loro...
Vedendo come vengono vezzeggiati e viziati i cuccioli, mi domando cosa accadrà quando questi ultimi scopriranno che rispetto al paradiso dell'infanzia ( che ovviamente non tocca a tutti, ma insomma, finché possono gli italiani s'impegnano in questo effetto "campana di vetro" ) la realtà già dai 20 anni è spesso molto diversa...
Personalmente, non ho grandi rimorsi. Non ho goduto di particolari vizi (anche se non mi è mancato nulla), non ho fatto gli studi che mi piacevano (mio padre mi "proibì" scienze politiche con un esplicito "e che ce fai dopo ???" ) e nemmeno la professione che preferivo. Ciononostante ho fatto quello che dovevo sufficientemente bene. E non sarò di peso a nessuno, perché già faccio parte di coloro che avranno misere pensioni ( di cui non soffrirò per aver cicaleggiato poco ...).
Lo dico solo perché a fronte di tanti che hanno avuto la strada spianata, e giustamente ci sono 30enni piuttosto risentiti (forse anche un pizzico invidiosi) , ci sono altri che non hanno sofferto ma nemmeno scialato. E anche per questo oggi magari stanno magari decentemente.
Tornando ai giovani, consideriamo il problema valenza dello studio, prendendo come spunto le recenti polemiche sullo spostamento delle prove di accesso a determinate facoltà universitarie.
Sempre fatte a settembre, erano state anticipate a luglio. Proteste e quindi ritorno all'antico. In effetti sfuggivano le necessità effettive dell'anticipazione...
Il problema non è lì ma piuttosto nell'evidente contraddizione tra la vecchia scuola, in agonia prolungata dagli egoismi della classe insegnante (e dalla scarsa lungimiranza degli studenti)  e la lenta ma inesorabile avanzata di accorgimenti innovativi che COMUNQUE lentamente s'impongono. Vedi appunto i test d'ingresso, quelli invalsi e via via altri mezzi che cercano di evidenziare qualità e preparazione dei diversi istituti.
Quello che da sempre i prof, non vogliono, mostrando una bassa autostima di sé.
Magari la loro è consapevolezza...
Ecco il saggio commento di Davide Giacalone sul tema
Buona Lettura


Esami bocciati

Il sovrapporsi degli esami di maturità e dei test per l’ammissione all’università non è solo un problema di calendari, ma di modelli. Incompatibili. I ministri dell’istruzione hanno malamente pasticciato e si continua a farlo, a dispetto dell’essere, gli ultimi due, non solo professori universitari, ma anche ex rettori. Ai politici si rimprovera di non avere competenze specifiche e quelli che dovrebbero averle (dubitativo d’obbligo) commettono gli stessi errori. Ciò dipende dal fatto che sono tutti prigionieri di una gabbia culturale, della quale non sono più capaci neanche di vedere le sbarre.
Gli esami di maturità sono esami di Stato. La loro ragione d’esistenza è legata al valore legale del titolo di studio. Il dibattito sulla loro abolizione si trascina da talmente tanti anni, è talmente ozioso, talmente condotto su canoni surreali (tipo: misurarsi con lo stress dell’esame è formativo), che gli astanti si sono dimenticati il perché della discussione: vanno eliminati perché va cancellato il valore legale del titolo di studio.
Il che non significa affatto avere meno selezione (ma il contrario), né toglie valore allo studio (ma il contrario). Significa solo che il pezzo di carta non può essere l’esclusiva e decisiva chiave per l’accesso a determinate carriere o lo scatto in determinate graduatorie. Naturalmente tutte legate al mondo della pubblica amministrazione, perché fuori da lì a nessuno importa un fico secco che il Tizio abbia la laurea in filosofia, se gli devono far fare l’archivista. Fate ora attenzione al salto mortale: da una parte non si vuole mollare il valore legale, perché la classe dirigente italiana è inguaribilmente statalista, conservatrice delle rendite, nonché disperatamente provinciale, ma siccome sappiamo tutti che è una gran cavolata ecco che al pezzo di carta tolgono il valore di passaporto per entrare all’università. Da qui il via libera ai test per l’accesso.
Quei test sono figli di un sistema, culturale e di mercato, totalmente diverso: siccome le singole università sono in competizione fra di loro, siccome mandarci i figli a studiare è un investimento delle famiglie, non solo è necessario conoscerne la collocazione nelle graduatorie (nazionali e internazionali), ma è evidente che se ne deve filtrare l’accesso, sottoponendo i candidati a un preventivo esame. In quel modello è interesse dell’università avere test affidabili (non terni al lotto), in modo da non farsi sfuggire possibili studenti di valore. E non vogliono farseli sfuggire perché da quelli dipenderanno le graduatorie future, con le quali andranno a chiedere soldi alle famiglie. E’ una catena virtuosa, che si regge su una logica ferrea (non perfetta, perché anche lì si fanno errori, ma logica). Se le università non sono in competizione fra di loro, però, se gli studenti le scelgono misurando non la qualità dei titoli che rilasciano, ma la distanza da dove dormono, se il loro prezzo è amministrato, a che servono i test d’ingresso? Risposta (desolante): a limitare il numero delle  matricole, in modo da non far lievitare i costi della loro gestione.
E’ grazie a questo modo di ragionare che nella graduatoria del Times la prima università italiana è quella di Bologna, che si colloca a un vergognoso 226° posto. E vi pare che, a fronte di ciò, il problema è se i test li facciamo o no troppo a ridosso degli esami di maturità? E’ un problema idiota. Dove funzionano si fanno un anno prima, ma, appunto, funzionano dove non c’è il valore legale. Il capolavoro italico consiste nel volere mantenere un valore che, però, si nega proprio nella continuazione degli studi. Una barzelletta macabra.
I giovani guadagnano se la formazione è un valore, mentre da noi è spesa. Spesa che mantiene sé stessa, alimentando il sistema meno selettivo e che produce meno laureati. Il che è coerente, ma umiliante. Si può tagliare la spesa promuovendo la qualità, ma solo facendo correre la libertà. Il problema non è sincronizzare esami e test, ma risincronizzare le teste.

1 commento:

  1. PAOLO CONTI

    Una cosa è certa: è il modello/sistema Scuola Italia (dall'asilo alla'università) che è completamente in crisi. Le così chiamate riforme che si sono susseguite in questi ultimi anni hanno solo aumentato lo stato di caos. Si è voluto dare un'impronta di modernizzazione sulla scia di alcune esperienze europee e sopratutto americane. Tutto giusto ma per fare questo devi mandare a casa buona parte dell'attuale corpo docente e immettere nel circuito nuova linfa attraverso la quale gestire il cambiamento. I nuovi indirizzi scolastici dovevano tenere conto del mercato del lavoro......mi viene da ridere......perch in Italia è mai esistito un mercato del lavoro ? Fin qui la mia esperienza di genitore si sofferma al Liceo.......ma a chi è venuto in mente di innalzare sino a 16 anni la scuola dell'obbligo ? penso di averlo già sottolineato: quest'anno mia figlia Ester ha frequentato il secondo liceo.....ha compiuto 16 anni....è libera di decidere se continuare o meno......se decidesse (fortunatamente non è il suo caso) di fermarsi nessuno potrebbe impedirglielo.....mi spiega lo "scienziato" che ha introdotto questa norma che cosa avrebbe concluso mia figlia ????? e passando per l'università qualcuno mi spiega che significa e ache serve la "laurea breve" in Italia? Ma siamo sicuri che tutte le università aperte su buona parte del territorio italiano (a cominciare dal Molise) siano veramente utili ed in grado di produrre "sapere" ? La classifica che riporta Giacolone è emblematica.....per cui i test d'ingresso non sono altro che la ciliegina sulla torta del sistema scuola Italia.

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