A volo d'aquila ma esauriente l'analisi generale che Fontana, vicedirettore del Corriere, fa dello stato di salute delle formazioni politiche italiane.
Quando i vincitori dell'ultimo test elettorale ci hanno spiegato che non bisognava in fondo preoccuparsi troppo del fatto che un italiano su due aveva preferito restare a casa, hanno detto una falsità, che inutilmente cercano di nobilitare con il riferimento ad altre democrazie occidentali , USA in testa (un modello solo quando gli pare a loro) e questo per varie evidenti ragioni :
1) un dato negativo - la disaffezione al principale strumento della democrazia - resta tale anche qualora diffuso. Il mal comune può essere semmai consolatorio, non certo indice di progresso.
2) negli altri paesi si può pensare che parte dell'astensione sia dovuto all'assenza di steccati ideologici forti e quindi la fiducia di molti elettori che chiunque governi lo farà perseguendo sostanzialmente il bene comune. In Italia questa convinzione non c'è, e anzi l'astensione è data proprio dalla persuasione contraria : chiunque andrà al governo farà male.
Come ha scritto benissimo Polito, l'astensione è un alleato infido, e quindi chi oggi se ne giova non ci si adagi troppo.
Ci riferiamo evidentemente a quelli del PD, o meglio a quella parte di quel partito che continua a carezzare una politica identitaria nonostante la cocente sconfitta politica alle elezioni nazionali dello scorso febbraio.
La tornata amministrativa recente NON ha smentito il calo dei voti del PD, ha semplicemente rimesso nelle caserme i voti del centrodestra che si attivano solo quando si vuole evitare che la sinistra vada al governo (almeno, non da sola). Non c'entra solo l'appeal Berlusconiano, che ovviamente non può operare a livello locale (mica poi il sindaco o il governatore lo fa lui ), ma è proprio un dato storico. La DC, nel tempo aveva già scontato questa forbice tra voto politico e voto locale : voti in libera uscita li chiamava Andreotti.
E infatti, ancora prima del crollo determinato da Mani Pulite, la Democrazia Cristiana nel 1992 continuava ad essere il primo partito italiano (30%) mentre il PCI, diventato PDS dopo il crollo del muro e il disfacimento dell'URSS, aveva perso molti voti (16% !!)
Il PD, con tutte le sue divisioni interne che prima o poi potranno portare ad una scissione, non gode quindi di gran salute.
Ma tutti gli altri indubitabilmente stanno peggio.
Ed è questo panorama desolante che spiega l'astensione, non un nostro avvicinamento alle democrazie mature....
Buona Lettura
IL VUOTO TRA PARTITI ED ELETTORI
Un'anomala fragilità
Ma in Italia esistono ancora i partiti? Dietro le etichette sopravvissute alla tempesta del voto, all'elezione del presidente della Repubblica e alla nascita di un governo vissuto come una camicia di forza è rimasto un vuoto politico, organizzativo e di leadership che ha pochi precedenti nella storia della Repubblica. Un deserto che va dalla formazione di Vendola all'ex destra di An, dal Pd a ciò che resta del Pdl. Per non parlare di Scelta Civica svanita nel nulla e della Lega sconfitta e messa alle corde perfino da Umberto Bossi.
Se dai partiti si passa a quello che orgogliosamente si considera un «movimento di cittadini» il panorama non cambia: dopo il successo del 24 febbraio i 5 Stelle hanno vissuto una serie interminabile di abbandoni, processi ai dissidenti, liti su soldi e scontrini. Ora siamo all'atto finale: tanti eletti sono pronti ad abbandonare il gruppo mettendo in discussione la figura di Grillo, trasformatosi da trascinatore dell'Italia ribelle in capo autoritario e bizzoso.
Ma è quello che accade nel Pd e nel Popolo della Libertà che deve più preoccupare. Il Paese ha bisogno di un'alleanza di governo che duri il tempo necessario a promuovere le misure contro la crisi. Riforme radicali per liberare le risorse utili alla crescita, promuovere l'innovazione, creare opportunità di lavoro per i giovani, rendere efficiente la pubblica amministrazione, cambiare le istituzioni e la legge elettorale. Compito al limite dell'impossibile.
Il Partito democratico è invece ancora immerso in una resa dei
conti interni senza fine. È arduo seguire la scomposizione delle vecchie
correnti e la nascita delle nuove, decifrare il dibattito sulla scelta
del segretario e sul metodo per eleggerlo. C'è un unico punto certo:
rendere più complicata la corsa di Matteo Renzi, leader popolare ma
alieno alle liturgie degli ex comunisti. Si avverte l'assenza di una
linea politica comune, la tentazione di buttare a mare le larghe intese
per tornare ai lidi tranquilli di un'identità di sinistra rafforzata
dall'iniezione di grillini dissidenti.
Ancora più indecifrabile è il confronto in corso nel Pdl. Da un
anno si litiga sul ritorno a Forza Italia, una questione irrilevante
dopo l'addio dei politici provenienti da An. Ci si accapiglia tra falchi
e colombe filogovernative senza rispondere alle vere domande: come
sopravviverà il partito senza la leadership (scossa dalle inchieste e
calante nella presa elettorale) di Silvio Berlusconi? Quali dirigenti
saranno in grado di interpretare le aspirazioni di un elettorato
moderato in fuga verso l'astensione? E come potrà convivere il populismo
movimentista con il progetto di una forza legata ai popolari europei?Partiti seri, consapevoli della sfiducia totale del Paese approfitterebbero dell'attuale tregua per ripensare se stessi, ricostruire la credibilità perduta, promuovere nuove classi dirigenti. Invece non sanno neppure riconoscere che sono loro i malati gravi, scaricano sull'esecutivo tensioni e movimenti scomposti. La speranza di una «democrazia normale», con due poli (progressista e conservatore) che competono per conquistare il consenso degli elettori è sempre più lontana.
Non può essere diversamente.....i partiti nati nella seconda repubblica, svuotati dalle ideologie che li avevano reso famosi, non sono altro che dei contenitori vuoti dove l'autoreferenzialismo la fa da padrone. Nel tempo qualcuno è già sparito (vedi l'IDV) e per gli altri (PD, PDL, M5S, SEL) è suonato il campanello d'allarme (vedi l'alto tasso di astensionismo alle ultime amministrative). La terapia c'è ed quella di ridare valore alle idee.....ma non piace.....perché significherebbe rispettare certe regole interne.....
RispondiEliminaPaolo Conti