giovedì 22 agosto 2013

LA LEGGE SEVERINO E' UN BUON ESEMPIO DELLA "CERTEZZA DEL DIRITTO"

 
Francamente ritengo ricca di verità pacifiche l'analisi che Belardelli posta oggi sul Corriere prendendo spunto dalla querelle accesasi sulla questione dell'applicabilità o meno della legge Severino al senatore Berlusconi (teniamoci pronti per quando la Corte d'Appello, nel caso il Cavaliere la scampasse anche stavolta, deciderà l'entità dell'interdizione dai pubblici uffici...lì ci sarà altro materiale per i giuristi). Se fior di costituzionalisti esprimono parere controversi, mi domando come la gente della strada possa avere granitiche certezze, in un senso o in un altro. E non si sottraggono a questa obiezione quei senatori che, senza ancora aver letto un solo foglio dei faldoni inviati dalla Cassazione al Parlamento, sono già certi di quale sarà la loro pronuncia. A meno che il tutto si riduca all'appartenenza, e non al merito della questione.
Ciò posto, come mai ogni volta è così complicato chiarire il contenuto di una norma ? Non mi riferisco certo a noi avvocati, che abbiamo per mestiere la vocazione a dire bianco oggi e nero domani, a seconda del cliente che paga (poche chiacchiere, sono ben pochi che si sottraggono a questa regola. La giustificazione è che noi siamo dei "tecnici". Me lo hanno spiegato bene certi amici del penale, garantisti dal banco della difesa, molto meno da quello della parte civile...). Ma per i giudici e giuristi (i professoroni, per intenderci) ?. 
Belardelli trova una ragione nel florilegio italiano, veramente ai limiti della follia (a me fan ridere i giornali che giudicano i parlamentari sulla base del numero delle leggi che promulgano, come se fossero auto. Io darei loro un premio per ogni legge che ABROGANO !). 
Altra ragione : le norme vengono scritte MALE, e spesso, specie ultimamente, sull'onda dell'emergenza, ora economica ora della sicurezza, spesso con l'intento di compiacere certo popolo. La Legge Severino non si è sottratta a questa miscela di demagogia e pressapochismo, e i risultati si vedono. 
Due ultime considerazioni : 1) Demos riporta un dato statistico per il quale i magistrati raccolgono la fiducia del 40% degli italiani. Posto che quando ero giovane, quindi prima di Tortora e poi di Tangentopoli, veleggiavano poco sotto al favore goduto dal Capo dello Stato e dai Carabinieri (quindi attorno all'80% !), e pertanto il tracollo è evidente, nonché meritatissimo, mi sembra ottimistica la stima, secondo me drogata da quella parte di italiani che in realtà non è che si fidi dei giudici - specie se gli capita di averci a che fare (che la fiducia svanisce dopo un paio di udienze spesso) - ma che ha simpatia per loro per l'attuale "santa alleanza" 2) la legge Severino è una buona risposta a quei clienti e conoscenti che mi rompono le balle con la pretesa della "certezza del diritto ". 

 "Il Paese del Diritto incerto" 

Abbiamo letto in questi giorni opinioni diverse circa l'applicabilità della legge Severino al caso Berlusconi. Lasciando da parte le opposte (e prevedibili) valutazioni di esponenti del Pd o del Pdl, è significativo che un costituzionalista cui non si possono attribuire simpatie berlusconiane come Giovanni Guzzetta si sia espresso contro un'applicazione retroattiva della norma. Non meno rilevante il parere del presidente emerito della Corte costituzionale Capotosti (Corriere, 19 agosto), il quale — dopo aver osservato che la legge in questione è «chiarissima» — ha però riconosciuto come essa presenti «problemi interpretativi» e dunque come certi dubbi siano pienamente legittimi.  
Questa incertezza di interpretazione complica non poco il rapporto tra politica e giustizia nel nostro Paese; rischia infatti di accentuare, nella realtà e (circostanza non meno importante) nella percezione dell'opinione pubblica, il carattere politico della decisione che alla fine il Senato dovrà prendere. Per di più, l'impressione di politicità sostanziale viene a essere alimentata dalle dichiarazioni anticipate di voto di quegli esponenti del Pd che rendono nota già ora, dunque ben prima che il Senato esamini la questione, quale sarà la loro decisione. Ma, al di là delle sue rilevanti conseguenze sul clima politico e sul futuro stesso del governo, l'incertezza di interpretazione riguardo alla legge Severino sembra avere anche implicazioni d'altra natura, che attengono alla cultura profonda del Paese, agli orientamenti di un'opinione pubblica che da tempo mostra di nutrire nei confronti della magistratura una fiducia limitata (secondo l'ultima indagine Demos su «Gli italiani e lo Stato» questa percentuale di fiducia non raggiunge il 40 per cento degli interpellati). Il fatto che neppure in un caso così politicamente rilevante e gravido di conseguenze come la decadenza da senatore del maggior leader del centrodestra sia possibile contare su norme certe suona infatti come una clamorosa conferma di quella incertezza del diritto che sembra caratterizzare la vita del Paese. È un'incertezza che, come è noto, ha molte cause. Siamo un Paese, come è stato denunciato tante volte anche su questo giornale, che ha un numero incredibilmente alto di leggi, che finiscono col formare un fitto reticolo di norme spesso in contraddizione tra loro, nel quale il comune cittadino rischia di rimanere impigliato. Un Paese nel quale i tempi della giustizia penale e civile sono biblici, con tutte le conseguenze che ciò comporta. La stessa presenza di tre gradi di giudizio può disorientare l'opinione pubblica, specialmente di fronte a casi giudiziari di particolare risonanza. Molti si chiedono infatti come si possa, dopo un'assoluzione, essere poi condannati in appello. Se la condanna deve intervenire in conseguenza di una decisione presa al di là di ogni ragionevole dubbio, non dovrebbe appunto indurre al dubbio il semplice fatto che una corte mi abbia già assolto? E poche cose rendono incerta la percezione del diritto come il frequentissimo ribaltamento di una sentenza da un grado all'altro di giudizio. Riposa probabilmente su questa incertezza anche quella più generale difficoltà a distinguere tra lecito e illecito che ci caratterizza nel profondo, condizionando i nostri rapporti con l'autorità e tutta la nostra vita collettiva. Secondo Sabino Cassese (Lo Stato introvabile, Donzelli) questa distinzione in Italia viene spesso «soppiantata — come nel diritto islamico — da più complesse scale di obblighi, per cui un comportamento può essere obbligatorio, raccomandato, permesso, riprovato, vietato». Per la terra che può vantare d'essere stata la patria del diritto non c'è di che andare orgogliosi.

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