lunedì 26 agosto 2013

UN'EUROPA MATRIGNA, PER UN'ITALIA IN LIBERTA' VIGILATA


Ieri avevo letto due articoli entrambi ispirati all'Unione Europea, con particolare riferimento all'Italia. Uno era scritto da Carlo Pelanda, (economista e politologo), l'altro da Angelo Panebianco (che riporto integralmente). Nel primo si ricordavano alcune cosette ai politici italiani (volendo, anche a noi cittadini), e precisamente
1) siamo un paese a libertà vigilata 
2) le scelte economiche che facciamo devono sempre avere l'ufficioso placet di chi "garantisce" per noi un debito di oltre 2000 miliardi di euro. 
Tutto questo emerse piuttosto esplicitamente nell'agosto del 2011, con la famosa lettera di Trichet , controfirmata da Draghi (al tempo, rispettivamente Presidenti della BCE e della Banca d'Italia)  e con l'insediamento "manu presidenziali" di Mario Monti nel novembre successivo. 
L'Italia era strozzata da uno spread in crescita vertiginosa (sfiorava i 600 punti ...) e si intravedevano i primi segnali di recessione (dopo oltre 10 anni di stagnazione sostanziale). Il Governo Berlusconi, azzoppato dalla diaspora finiana ( brutta fine per Jago...ma in genere, e per fortuna, spesso accade così), rimediava alla Camera una maggioranza buona per la fiducia (qualche decina di pezzenti pronti a votare chiunque pur di non perdere la poltrona lussuosissima del Parlamento si trovano sempre, in ogni stagione e quasi sotto ogni casacca) ma non certo per votare le misure draconiane necessarie per soddisfare il diktat europeo per toglierci fuori dalle sabbie mobili. 
In democrazia, si sarebbero dovuto sciogliere le Camere, visto che la maggioranza emersa dalle elezioni del 2008 non esisteva più, e tornare al voto. Ma questo non avviene in un paese bizantino come il nostro, dove si cerca sempre qualche linea storta per tirare avanti. E stavolta la via maestra del voto popolare era demonizzato anche dall''Europa che conta, che aveva il terrore che l'Italia, nel frattempo, si avvitasse in una crisi finanziaria irrefrenabile , fino al default nostro (e chissene, per gli altri...) ma anche della moneta unica e quindi del sistema unitario. Quindi , ecco dal cilindro la soluzione presidenziale : Mario Monti. Poco male, anche la repubblica romana di gloria storica prevedeva la possibilità di un "dittatore" nominato fuori dalle regole ordinarie, quando il pericolo era mortale. 
Questo pericolo però NON è cessato. E se l'Italia non è finora ricorsa all'aiuto del sistema ESM, che comporterebbe concreti aiuti finanziari ma a quel punto la perdita di qualsiasi vera libertà nazionale in campo economico (come in Grecia, ma anche in Portogallo, in misura inferiore), è perché ci comportiamo sufficientemente bene. Nulla di entusiasmante per carità, che tolta la riforma previdenziale (che è stata accelerata. L'aveva impostata Dini, prima come ministro del tesoro di Berlusconi, poi come presidente del consiglio nel 1995) , altre vere non se ne sono viste. Però abbiamo (ci hanno) messo le mani in tasca, e tra IMU e decine di aumenti di tasse già esistenti, abbiamo sistemato i conti. Per ora.
Ecco, far cadere il governo Letta, con la prospettiva di un governo appoggiato da SEL e i grillini di sinistra, certo non l'ideale agli occhi di Bruxelles, Francoforte e Berlino, non sarebbe un buon segnale.
E nemmeno delle elezioni che vedessero vincere un Berlusconi riottoso ai vincoli europei o una sinistra radicale.
Insomma, gli italiani devono capire che finché hanno tutti questi debiti, DIPENDONO da chi questi li rinnova di mese in mese. 
Altrimenti dichiarassimo default, e poi si vede che succede.
In questo fosco scenario, s'inserisce l'analisi di Panebianco sull'Unione Europea che immagina soluzioni difficili ma tutte diverse da quelle percorse fin qui.
Bisogna smettere di illudersi di pensare ad un'Europa come unica grande Nazione. Non è possibile, per Storia, per Lingua, per Economia, tutte troppo diverse ( e, nel primo caso, anche per il sangue versato, che rafforza i nazionalismi). Meglio rinunciare ad un progetto grandioso e per questo troppo ambizioso, e fare cose importanti, difficili, ma meno impossibili : una Federazione che si occupi di poche cose, come la difesa comune, la moneta unica (difficile), non molto altro.
Questo tipo di Europa, NON eletta, che viene vista come una sorta di divinità sovranazionale, non è più percepità come "buona e giusta", ma spesso arcigna e crudele.
Soprattuto, invasiva su tutto. Magari in Italia questo può far comodo, visto che confermiamo una certa incapacità di autogoverno, ma in altri paesi questo piace pochissimo. 
Molti confidano che dopo le elezioni tedesche, il clima potrà tornare ad essere più leggero.
Scopriremo presto se è l'ennessima illusione.

Il Destino dell'Euro nelle Urne tedesche 

  Tra meno di un mese (il 22 settembre, data delle elezioni tedesche) il Grande Alibi dell'Europa cadrà. E allora sapremo, o scopriremo dopo poco tempo, se l'euro, la moneta comune, sia ancora compatibile con la democrazia politica. Da quando è scoppiata la crisi dei debiti sovrani l'Europa ha giustificato la propria inerzia richiamando l'impossibilità del governo tedesco di scegliere una linea più morbida e solidale con i Paesi dell'Europa del Sud prima di quelle fatidiche elezioni. Il governatore della Banca centrale europea Mario Draghi ha svolto, in questo periodo, un'encomiabile opera di supplenza e ha così impedito il crollo dell'Europa monetaria. Ma quando, infine, l'alibi sarà caduto, toccherà alla politica cercare soluzioni. E non è affatto detto che sia in grado di trovarle. Del senno del poi, naturalmente, son piene le fosse, ma è un fatto che quando venne varata la moneta unica non furono previste tre cose. Non fu prevista l'impossibilità di imporre in tempi brevi una disciplina finanziaria comune a Paesi con storie economiche, sociali e politiche molto diverse; la rinascita del nazionalismo economico come conseguenza di quelle perduranti diversità; la radicalizzazione delle divisioni politiche entro i Paesi, e fra i Paesi, dell'area euro, per l'impatto della recessione economica mondiale. Non c'è nulla da rimproverare ai padri dell'Europa monetaria. Essi speravano, come speravamo tutti, che la moneta unica avesse sull'Europa effetti catartici, che funzionasse da potente traino per l'integrazione politica. Così non è stato. E non solo a causa della intervenuta crisi mondiale. Che qualcosa non funzionasse, o non funzionasse più, nel processo di integrazione era già apparso chiaro, almeno a chi era privo di paraocchi, il giorno della bocciatura, da parte dell'elettorato francese, del trattato costituzionale (2005). È da allora che integrazione europea e democrazia politica sono entrate in rotta di collisione. La crisi dei debiti sovrani ha solo certificato il drammatico indebolimento della solidarietà intereuropea per il vincolo imposto in tal senso a diversi governi dai rispettivi elettorati. Se alle elezioni tedesche di settembre gli antieuropeisti di «Alternativa per la Germania» dovessero superare lo sbarramento del cinque per cento e entrare nel Bundestag, come ha scritto Carlo Bastasin in un lucido articolo (Il Sole 24 Ore, 22 agosto), l'intera costruzione europea sarebbe a rischio. Perché essi avrebbero la facoltà, che la Costituzione tedesca prevede, di chiedere alla Corte federale il giudizio di costituzionalità su qualunque provvedimento venisse concordato in sede europea. La politica europea ne sarebbe paralizzata. Ma anche se questa eventualità non si realizzasse, molto difficilmente il governo che uscirà dalle elezioni potrebbe scegliere una linea diversa da quella fin qui adottata. Le dichiarazioni di Angela Merkel, in polemica con la Commissione Europea, sulla necessità di ridefinire in chiave meno sovranazionale i poteri delle istituzioni dell'Unione, si spiegano con le esigenze della campagna elettorale ma sono destinate a lasciare il segno. Perché appaiono in sintonia con quanto chiede una parte rilevante dell'elettorato tedesco. È inoltre difficile, in questo clima di nazionalismo economico esasperato, che possa essere definitivamente accantonato il progetto di una qualche forma di separazione, più o meno morbida, dei destini dell'Europa del Nord da quelli dei Paesi indebitati dell'Europa del Sud. Tutto ciò è certamente molto doloroso, e anche disorientante, soprattutto per un Paese come l'Italia che ha sempre contato sull'Europa come vincolo, come costrizione esterna, capace di imporle una virtù che essa non sapeva darsi da sola. Ma i giochi sono cambiati e anche il nostro atteggiamento verso l'Europa (e verso noi stessi) deve cambiare di conseguenza. Se, come è possibile, bisognerà prendere definitivamente atto che fra la democrazia (nazionale) e l'integrazione europea non c'è più la compatibilità che c'era un tempo, occorrerà ripensare l'Unione. Cercando di rimediare ai tanti errori commessi. Si tratterà soprattutto di capire se sarà possibile ridare flessibilità a un sistema europeo spinto verso l'autodistruzione dalle sue eccessive rigidità. E si tratterà di verificare se ridare flessibilità all'intero sistema sia compatibile (come si deve tuttora sperare) con il mantenimento della moneta unica. Costruendo l'Europa, nel corso del tempo, abbiamo dimenticato quale sia il carattere di un autentico «patto federativo». Esso si dà solo se si mettono in comune poche cose essenziali (moneta, difesa dalle minacce esterne, politiche dell'immigrazione, e poco altro) e soltanto quelle. Lasciando per il resto, su tutto il resto, la massima autonomia e libertà di scelta ai diversi contraenti del patto. Se l'Unione Europea avrà un futuro esso sarà quello di una flessibile confederazione nella quale gli Stati e le democrazie nazionali manterranno un ruolo centrale. E dove ciascun governo continuerà a rispondere di ciò che fa o non fa davanti al proprio elettorato. Conviene dismettere, con realismo, e per molto tempo, quei progetti assai più ambiziosi, a lungo coltivati da alcune élites, che oggi non sembrano proprio incontrare il favore degli elettori.

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