domenica 8 settembre 2013

ANCHE PER AINIS, LA QUESTIONE DI BERLUSCONI E' POLITICA, NON GIURIDICA


Ho imparato ad apprezzare Ainis, costituzionalista, docente e opinionista del Corriere della Sera, per capacità di sintesi e chiarezza. Doti rare, specie per i giuristi. Non smentisce queste sue doti nemmeno in questo articolo dedicato alla vexata quaestio della Legge Severino, sulla quale si sono espressi ormai tutti (e mica solo quelli che di diritto molto, o qualcosa, sanno. Proprio tutti, anche la portiera amica di mia mamma...), sostenendo tesi che non mi persuadono del tutto, ma che vanno lette e meditate.
Faccio notare che docenti valenti quanto lui (Marcello Gallo, Gaetano Insolera, Mario Dogliani, solo per citarne alcuni parimenti spitati sul Corsera) hanno scritto cose esattamente opposte ( http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2013/09/giuristi-illustri-di-sinistra-contro-la.html  ; http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2013/09/se-le-legge-e-uguale-per-tutti-per.html ).
Questo mi induce a pensare che gli esempi riportati da Ainis, lodevoli per l'intento semplificativo, stavolta semplifichino troppo.
Detto questo, sono d'accordo con lui su una cosa essenziale : Berlusconi non è un caso giuridico, ma politico.
La Legge è un pretesto.
Buona Lettura

  "Partita a scacchi (in tre mosse) sulla decadenza" 

Se Berlusconi non decade, la legge Severino scade. Se invece decade, il governo Letta cade. Sta tutta qui, in questo gioco dei birilli, la partita. Ma davvero non c'è una via di mezzo fra politica e diritto, fra governabilità e legalità? Proviamo a mettere un po' d'ordine, benché il disordine — diceva Paul Claudel — sia la delizia dell'immaginazione. E infatti in questi giorni ogni partito ci delizia con esercizi immaginifici sulla legge Severino, da cui dipende per l'appuntola decadenza dell'illustre senatore.
Chi ne contesta l'interpretazione, chi viceversa giura sulla sua applicazione.
Ma i più adombrano un sospetto di incostituzionalità, sul quale dovrà pertanto misurarsi la giunta del Senato. Anzi: i capi d'imputazione sono tre, come la Santa Trinità.
Primo: la nostra Carta (art. 65) parla di ineleggibilità e incompatibilità dei parlamentari, non invece dell'incandidabilità. Quest'ultima categoria è stata aggiunta dalla legge Severino per chi abbia subito sentenze definitive di condanna, ma la legge non può sostituirsi alla Costituzione. Errore: nei riguardi degli amministratori locali l'incandidabilità esiste fin dagli anni Novanta, e la Consulta non l'ha mai bocciata. Poi, l'anno scorso, il Parlamento ne ha esteso il raggio d'escursione ai propri membri. D'altronde perché mai un sindaco dovrebbe indossare una camicia più immacolata rispetto a un senatore?
Errore bis: la norma costituzionale di riferimento è un'altra (art. 48), laddove si contempla la perdita dei diritti elettorali «nei casi di indegnità morale indicati dalla legge». A sua volta, l'indegnità dipende dal costume, dallo spirito del tempo; tanto per dire, una volta s'applicava nei confronti dei falliti. Però quando il legislatore la codifichi diventa un requisito per essere votati in Parlamento, né più né meno dell'età. Contestare l'incostituzionalità della legge Severino è come farlo rispetto alla norma che impedisce ai sedicenni o agli stranieri di votare. A meno che non sia introdotta una discriminazione irragionevole, per esempio verso i gay; ma a occhio e croce non è questo il caso.
Secondo: la legge incriminata legherebbe le mani al Parlamento, negandogli il potere di giudicare sui titoli d'ammissione dei propri componenti (art. 66). Giusto, se la giunta dovesse limitarsi a una presa d'atto della sentenza che ha condannato Berlusconi, come sostengono vari esponenti del Pd. Sbagliato, se le si riconosce viceversa uno spazio di valutazione discrezionale. Non a caso nei pareri pro veritate presentati dal Pdl viene sottolineata l'esigenza d'attendere le motivazioni della Cassazione. Però adesso le motivazioni sono pubbliche, sicché il Senato ha tutto il diritto di respingerle, se vi ravvisa un fumus persecutionis. Altrimenti se la prenda con se stesso, non con la legge Severino.
Terzo: la retroattività. Vietata in materia penale (art. 25), ma è tutto da vedere se l'incandidabilità sopravvenuta, e perciò la decadenza, sia una pena al pari dell'ergastolo. La Consulta, fin dal 1994, ha detto no. Perché si tratta in realtà di un requisito elettorale, non d'una sanzione. Se un'altra legge elevasse da 25 a 35 anni l'età per diventare deputato, forse che i ventenni d'oggi ne sarebbero immuni?
Morale della favola: il Parlamento non è affatto disarmato. Può respingere al mittente la sentenza della Cassazione, ritenendola persecutoria. Può riscrivere la legge Severino, assumendo anche in questo caso la responsabilità politica della propria decisione. O altrimenti può sancire la decadenza di Silvio Berlusconi. Siccome però siamo in Italia, probabilmente finirà per non decidere. Rinviando gli atti alla Consulta, per lavarsene le mani. Come Ponzio Pilato.

1 commento:

  1. Non sono daccordo su tutto questo giro di parole, la giunta non è un organo giuridistizionale, è un organo politico,i suoi membri sono eletti dal popolo(ora sono dei nominati dai partiti). La giunta deve solo decidere sulla decadenza, in quanto Berlusconi è ormai un pregiudicato.Loro sanno benissimo che tutti i ricorsi servono solo a cercare di prendere tempo, ma sono inamissibili.E' tutta una farsa.La gravità sta nel fatto che un delinquente tiene inchiodato un Paese. Quì è il dramma, e questo popolo di ignoranti non lo ha ancora capito. Se al suo posto c'era un senatore qualunque si era già risolto tutto. Capite che non è possibile che la legge non sia uguale per tutti.

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