venerdì 27 settembre 2013

D'ACCORDO, SI ROVESCIA IL TAVOLO. MA DOPO ? LA SERENA E LUCIDA ANALISI DI ORSINA


Mi è piaciuto molto l'intervento di Giovanni Orsina su La Stampa di oggi, sul tema caldo (per me si tratta un po' di una bufala, alla fine, ma sicuramente lo scenario prospettato è grave) di questi giorni, e cioè le dimissioni di massa di tutto il centro destra, Lega compresa. 
Orsina lo sto scoprendo da un po'. E' uno storico, insegna alla LUISS "Guido Carli" e ritengo abbia simpatie liberal - liberali (un po' come Ricolfi, per fare un altro esempio). Lo preciso un po' perché altri, come me, potrebbero avere la curiosità di avere qualche informazione su un autore che legge, ma anche per dimostrare che non è che se non si demonizza Berlusconi, e si cerca di ragionare con calma, vuol dire esserne servi. 
L'analisi di Orsina - che tra l'altro al berlusconismo ha dedicato un libro interessante, che sto leggendo - parte proprio dal lodevole tentativo di COMPRENDERE le ragioni di una scelta, una condotta, senza retorica preconcetta.
E quindi, non liquidando come dementi che si sono fottuti il cervello i 10 miloni di elettori del centrodestra e la loro rappresentanza politica, Orsina spiega che vista da quella parte la storia italiana degli ultimi 20 anni presenta delle ombre, essendo forte la convinzione che la magistratura, la parte "impegnata" di questa, abbia effettivamente operato al fine di neutralizzare il proprio avversario, sia politico che corporativo. 
Vista così, e ci sono molti motivi per vederla così, è evidente che la vittoria finale di questa lunga ed estenuante guerra non può essere accettata dallo sconfitto e dai suoi con il fair play di una partita di rugby. Se sono convinto che c'è una congiura, io non smetto di battermi perché dei giudici, cioè coloro che secondo la MIA convinzione sono i promotori ed esecutori di questa cospirazione, alla fine sono riusciti ad arrivare a dama. 
Ciò correttamente e onestamente osservato (capire per deliberare...non a caso lo diceva un grande liberale) ecco che Orsina domanda : cui prodest ?
Rovesciato con clamore il tavolo, dopo che c'è ? 
E le prospettive obiettivamente non sono esaltanti.
Da Leggere 

Il rischioso obiettivo del Cav

Dopo aver girato per quasi due mesi intorno a una crisi politica di prima grandezza, l’Italia pare sul punto di precipitare nelle braci di una crisi istituzionale di gravità ancora maggiore. La minaccia dei parlamentari del Pdl di dimettersi, al di là del contenuto procedurale – in che modo siano regolate quelle dimissioni –, aprirebbe nello spazio pubblico italiano una frattura di portata e conseguenze incalcolabili.  
 
Tanto più perché appare quanto mai chiaro che all’azione di parte berlusconiana corrisponderebbe una reazione altrettanto ferma delle altre parti, come le parole pronunciate ieri dal Capo dello Stato e da ultimo, con particolare durezza, dal Presidente del Consiglio lasciano intendere fin troppo chiaramente. 

La situazione è resa non meno ma più grave dal suo essere il frutto non di un capriccio personale, ma del perverso intreccio fra due modi opposti e inconciliabili di leggere la storia d’Italia degli ultimi vent’anni: da un lato la convinzione che l’equilibrio fra i poteri sia stato sostanzialmente rispettato, e la legittimazione complessiva delle istituzioni, perciò, salvaguardata; dall’altro la persuasione che la magistratura abbia costantemente e continuamente invaso il campo della politica, e ai danni per giunta di una parte sola. La minaccia dei parlamentari del Pdl di dimettersi può senz’altro suscitare indignazione. Non si può fare a meno di riconoscere però come, all’interno del mondo mentale di Berlusconi e dei berlusconiani – un mondo mentale che, è sempre bene rammentarlo, si appoggia su quasi dieci milioni di voti di coalizione raccolti solo sette mesi fa –, quella decisione appaia non soltanto logica, ma da un certo punto di vista perfino necessaria. Se si ritiene infatti che vi sia stata una persecuzione giudiziaria ai danni dell’uomo che dal 1994 ha incarnato lo schieramento politico di centro-destra, allora è quasi inevitabile giungere alla conclusione che intorno alla condanna definitiva di quell’uomo possa – di più: debba – aprirsi una crisi istituzionale senza precedenti. 

Pure restando all’interno del mondo mentale di Berlusconi e dei berlusconiani, tuttavia, e accettandone il punto di vista, la repentina accelerazione di questi ultimi giorni evoca comunque una domanda non proprio secondaria: aprire una crisi istituzionale senza precedenti, sì, ma per arrivare dove? Ammettiamo insomma che la persecuzione giudiziaria ci sia stata. Ammettiamo che il rapporto fra politica e magistratura debba essere riequilibrato, e che ciò possa essere fatto soltanto con un’iniziativa traumatica. Ammettiamo perfino che possano usarsi parole gravi, gravissime, come eversione e colpo di Stato. E ammettiamo infine che tutto questo giustifichi la decisione di far saltare il tavolo. Quale sarà la strategia, poi, per rimettere in piedi un tavolo nuovo, che sia migliore del precedente? Quale disegno alternativo viene proposto al Paese, disperato e affamato di soluzioni come mai in tanti decenni? 

La scelta di rottura punta con ogni evidenza al bagno elettorale. Proprio quella scelta, tuttavia, combinata con l’assenza di una strategia che, se non la giustifichi, per lo meno la sostanzi, potrebbe rendere il voto quanto mai rischioso a Berlusconi e ai berlusconiani. Non è impossibile che una parte anche consistente del suo elettorato tradizionale sia disposta a seguire comunque il Cavaliere. Nella convinzione che sia stato davvero perseguitato dalla magistratura. Per sfiducia generale nel potere giudiziario, e ancor più ampiamente nelle istituzioni pubbliche. Per rabbia, frustrazione e dispetto. Perché si colloca a destra. E tanto maggiore sarà, quella parte, quanto meno le altre forze politiche sapranno parlare agli elettori berlusconiani – fino ad ora, nonché riuscirci, non ci hanno nemmeno provato. 

L’elettorato di centro-destra, tuttavia, è pure scettico, tiepido, impolitico, ostile agli eccessi ideologici, riluttante alla mobilitazione. Nel suo videomessaggio della settimana scorsa non per caso Berlusconi lo ha esortato all’azione – ma non è affatto detto che nemmeno lui sia capace di scuoterlo dalla sua pigrizia, che lui stesso, del resto, ha giustificato e anzi incentivato per anni. Ed è un elettorato, poi, che per quanto rabbioso, frustrato e dispettoso, anche a motivo della sua composizione sociologica chiede pur sempre, soprattutto, stabilità. Il Cavaliere, certo, ha dimostrato più volte di essere un maestro nel drammatizzare le contrapposizioni, ottenendone grandi vantaggi elettorali. Si è sempre trattato però di contrapposizioni relativamente circoscritte, a loro modo ritualizzate. La crisi politica e istituzionale della quale si sta parlando ora sarebbe assai meno circoscritta o ritualizzata. E per giunta avrebbe il voto come suo unico orizzonte strategico. Quanti dei suoi elettori sarebbero davvero disposti a seguirlo su questa strada?

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