mercoledì 25 settembre 2013

L'ITALIA CHE VOLA BASSO, TERRA DI CONQUISTA STRANIERA. ALESINA E GIAVAZZI RISPONDONO A SACCOMANNI


Il ministro Saccomanni aveva avuto nei giorni scorsi un sussulto di dignità (velocemente rientrato) e annunciato le dimissioni se non si fosse trovata una soluzione sul problema deficit, IVA e anche IMU (eh si, sarebbe tornata in ballo anche la questione della seconda rata...).
Io sento nei bar ripetere i discorsi sentiti in tv dai capi partito di questa o di quella fazione. Tra questi, il fatto che sia stato ingiusto eliminare l'IMU sulla prima casa a tutti, compresi quelli che ce l'hanno a Piazza di Spagna o a via Montenapoleone. E questa è la demagogia di sinistra. Io non ho difficoltà a convenire che possa essere legittima una distinzione di questo tipo, però nessuno spiega a questi signori che il problema economico non si risolve facendo piangere i ricchi. Che adottando una soluzione del genere, forse si recupererebbe qualche centinaio di milioni dei quattro miliardi mancanti...
La prova si ha in Francia. Hollande aveva promesso di non toccare le tasse facendole pagare ai ricchi. Oggi non la può mantenere, anche se la tassa monstre sulla ricchezza l'ha messa eccome (75% di quello che si guadagna oltre un milione). Perché i ricchi, anche in quei paesi dove si dice che non c'è evasione fiscale, non sono tanti e quando la spesa pubblica si muove a grandezze di 800 miliardi di euro, servono i soldi di TUTTI, altro che !
Elminare l'IMU, almeno sulla prima casa, su cui di tasse se ne pagano già molte, senza contare che in tanti sono gravati dal mutuo, e quindi sono proprietari "precari", è un modo di lanciare un segnale : abbiamo capito che è sbagliato aumentare la già stratosferica pressione fiscale, i soldi dobbiamo trovarli dallo spendere di meno. 
La stessa cosa vale per l'IVA. Senza contare che qui non è un discorso di principi (che pure avrebbero una loro valenza, che pagare il 50%, e più, di quello che si guadagna è qualcosa che per molti , io tra questi, è configurabile come furto di Stato), ma concreto.
A cosa ha portato questa tassazione selvaggia ? Sì, siamo rientrati, per qualche mese, nel piano di deficit europeo, ma tutto il resto ? Sappiamo benissimo che le tasse in genere, e l'IVA in particolare, hanno effetti deprimenti sui consumi, e l'Italia in questo momento è afflitta, tra le altre cose, proprio dal collasso della domanda interna, tanto è vero che le imprese che galleggiano meglio (navigare è altra cosa) sono quelle dell'export, dove ci sono clienti che acquistano.
Tutto questo è arcinoto eppure Saccomanni in 5 mesi, su una spesa di 800 miliardi, non è riuscito a trovarne quattro per mantenere il patto fatto con il centro destra : eliminare l'IMU e non aumentare l'IVA. Per carità, mica solo colpa sua, Monti in un anno e mezzo non ha fatto meglio. Però, scrivono Alesina e Giavazzi, il presidente del governo dei tecnici qualche riforma l'aveva tentata, qui si naviga proprio ad horas !
E così i problemi non si risolvono, come dimostra il fatto che la Spagna migliora, grazie a delle riforme vere sul piano non solo previdenziale ma anche del lavoro e al dimagrimento pubblico, mentre noi siamo immobili. 
Il duo universitario scrive da tempo la propria ricetta : taglio rivoluzionario (50 miliardi !!) delle tasse sul lavoro, contrattando con la UE un rientro in 5 anni dello sforamento conseguente, indicando in modo serio e stringente un piano di tagli della spesa pubblica, indicando quali !!!,  che nel frattempo verranno effettuati, oltre al recupero di gettito derivante dal ritorno al segno più del PIL.
Deficienti ? Mi sa di sì, che nessuno gli dà retta.
Però quelli intelligenti, che da due anni occupano le poltrone importanti, non mi sembrano ottenere grandi risultati.
E intanto piangiamo perché Telecom, Alitalia e altro vengono acquistate all'estero. Suvvia, siamo nell'Europa Unica no ? Che importanza ha se gruppi importanti finiscono in Spagna o Francia ?


DEFICIT, TAGLIO DELLE TASSE E CRESCITA

La prigionia dei numeri

 
L'economia cresce meno di quanto il governo prevedesse solo pochi mesi fa, e i conti pubblici peggiorano. In aprile Monti stimava, per quest'anno, una caduta del reddito dell'1,3%: ora la stima è -1,7%. E così, come era facile intuire, per mantenere il deficit 2013 al di sotto del 3% si dovrà ricorrere a una manovra correttiva.
Il presidente del Consiglio dà la colpa all'instabilità politica. Come se, senza di essa, miracolosamente l'economia si sarebbe ripresa. Magari fosse così semplice! Le ragioni per cui non riusciamo a superare la recessione sono ben più profonde. Non troviamo il coraggio di attuare le riforme di cui discutiamo invano da almeno un paio di decenni: lavoro, burocrazia, concorrenza e soprattutto una minore pressione fiscale. In tre anni essa è salita dal 46,1 al 48,9 per cento, mentre le spese delle amministrazioni pubbliche al netto degli interessi continuano a crescere: un punto in più del Prodotto interno lordo (Pil), in un triennio. Solo nel 2013 il Documento di economia e finanza (Def), pubblicato la scorsa settimana, stima che la spesa al netto degli interessi aumenterà di circa 10 miliardi, da 714 a 724 miliardi.
Enrico Letta reagisce a questi dati proponendo la solita ricetta. Altre tasse e qualche artificio contabile come l'anticipo a novembre di alcune imposte dovute l'anno prossimo. E niente riforme. Quando si convincerà che è una ricetta che non funziona?
Monti non riuscì a fare le riforme, ma almeno ci provò: l'attuale governo pare non provarci neppure.
Spendiamo, al netto di interessi, pensioni, sanità e interventi sociali circa 250 miliardi l'anno: possibile che non se ne possano risparmiare 3 per evitare l'aumento dell'Iva? Che fine ha fatto il progetto, fortemente sostenuto da Confindustria, di tagliare i sussidi alle imprese in cambio di minori tasse sul lavoro? Sono quasi 10 miliardi l'anno, come conferma un'analisi della Ragioneria generale dello Stato.
Il governo dice che la ripresa dell'occupazione richiede una forte riduzione delle tasse sul lavoro. Giusto, ma bisogna capire l'ordine di grandezza. Il ministro del Lavoro Giovannini punta a una riduzione del cuneo fiscale (la differenza tra ciò che paga l'impresa e quanto va in tasca ai dipendenti) di 5 miliardi: ne servono 50 per portarlo al livello tedesco.
Un governo che avesse il coraggio delle proprie convinzioni, anziché rincorrere il 3% con aumenti di tasse, proporrebbe a Bruxelles una riduzione immediata della pressione fiscale di 50 miliardi, accompagnata da tagli corrispondenti, ma graduali della spesa, e riforme coraggiose da attuare nell'arco di un triennio. Il deficit supererebbe per un paio d'anni il 3%, come in Francia. Torneremmo sotto la sorveglianza europea, una ragione in più per garantire che tagli e riforme vengano davvero attuati. E soprattutto, riducendo i sussidi improduttivi, liberalizzazioni, mercato del lavoro e riduzioni della spesa, si darebbe il segnale che la priorità è la crescita.
Ma se la politica e il governo non hanno questo coraggio, allora ha ragione il ministro Saccomanni a mantenersi ancorato al principio del 3%. Instaurare un circolo virtuoso richiede tagli, riforme e alleggerimenti del carico fiscale che farebbero crescere Pil e occupazione, e scendere il deficit. Ma di tagli e riforme non si vede traccia.

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