lunedì 28 ottobre 2013

BARICCO E L'ORGOGLIO DEI LEOPOLDIANI DELLA PRIMA ORA


A me piace Baricco, come scrittore (non tutto, ma molte cose) e come affabulatore. Sicuramente lo preferisco a Benigni (che mi sta simpatico, ha fatto film che mi hanno fatto sorridere e anche ridere), e spero che il primo, che ha uno pedigree culturale PARECCHIO diverso, non si risenta dell'accostamento.
Baricco è un renziano della prima ora, cioè della prima Leopolda, e il discorso fatto in occasione della terza kermesse renziana rivendica un po' questo imprimatur, marcando la differenza e la distanza degli imbarcandi sul carro dato per vincente.
Luca Mastrantonio, sul Corsera, rimane un po' deluso da un discorso che descrive "scarico",  corto respiro, ricordando quello di ben maggior fascino del 2011 , o anche, un passo indietro, quello del 2012.
Sicuramente le parole di Baricco al Big Bang (così Renzi titolò la prima Leopolda) conquistavano :
la generazione, la sua, che per paura di perdere non aveva mai rischiato e quindi mai vinto, la tutela dei deboli che si era tradotta in un sistema bloccato e alla fine asfittico ( e "il ricco in un sistema così forse soffre un po' ma il povero muore") . il muovere sempre per secondi ( "scegliavamo sempre di giocare coi neri, condannandoci semmai ad una patta" ) , finendo così per diventare, quelli di sinistra, i veri conservatori.
Da standing ovation la chiosa : "ho imparato, dopo anni, che è assolutamente inutile cercare di convincere certe persone. Bisogna solo SUPERARLE".

DA VEDERE E CONSERVARE
Quando si fa un exploit così, non è facile ripetersi, e infatti anche lo scorso anno il suo intervento, più lungo e dedicato alla "rifondazione" della cultura , è stato meno glamour , però comunque interessante.
Ovviamente non posso avere sulla cultura idee del tutto identiche a Baricco, però alcuni concetti sono da sottoscrizione immediata e assolutamente controcorrente, la sua. quella di sinistra . La cultura parte dall'educazione e quindi dalla necessità di una scuola ma anche di una tv diverse, e per questo ci vogliono sì più risorse ma anche (e qui scatta l'applauso personale) un sistema completamente rivoluzionato nell'impiegarle. A dire la verità, da un po', e forse proprio grazie a gente come Baricco, il fatto che per la cultura i soldi siano spesi male ("modo dissennato", è il termine usato esattamente) per finanziare di tutto e a pioggia si è fatta strada. Solo che il problema è stabilire chi ha veramente Idee valide, chi produce lavori originali e di valore, e chi ci marcia (tantissimi) e chi si crede ma non è (artista). Nasce quindi il problema dello stabilire chi MERITA, e non è di facile soluzione, perché il relativismo ormai impera sovrano.
Altra cosa originale e importante : nel decidere sulle risorse alla cultura ci devono essere anche dei MANAGER, della gente che sappia di economia e che quindi capace di gestire e valorizzare le idee dell'intellettuale di turno. 
Ovvio che per uno così così la cultura italiana non va riformata, ma rifondata.
Il discorso di quest'anno non l'ho ancora ascoltato, aspetto che finisca in rete, e riporto l'articolo di Mastrantonio, con una osservazione : anche io, al posto di Baricco, a vedere tutti questi ex bersaniani, turchi, vendoliani ecc. fulminati sulla via della Leopolda, quando ancora un anno fa Renzi perdeva le primarie (e si perdeva l'occasione elettorale di febbraio 2013) , un po' mi farei rodere e il sassolino dalla scarpa sarei tentato di togliermelo.
Senza contare che non credo Baricco sbagli nel diffidare, quando dice : "quello che «hanno in testa non si è spostato di un millimetro, la distanza è sempre quella"

Comunque, in attesa del video, ecco l'articolo 

"Le batterie scariche di Baricco" 

Questa volta Alessandro Baricco non ha voluto tanto incantare la folla, come al Big Bang del 2011, quando invitò la sinistra a non aver paura di perdere, a muovere per prima, a non pensare solo a «non morire democristiani» prima e «non morire berlusconiani» poi («ma che vita è questa?» concludeva ironico). Baricco ha fatto una specie di buttafuori psichico, richiamando l’attenzione dei renziani della prima ora su quelli dell’ultimo minuto. In contrasto, in fondo, con lo spirito più ecumenico voluto da Matteo Renzi per questa Leopolda. Nel discorso di ieri Baricco si è rivolto al sindaco di Firenze così: «Non è che annuso il trappolone, Matteo», ma anche se «ora sono tutti abbastanza renziani», perché «tutto sommato conviene», quello che «hanno in testa non si è spostato di un millimetro, la distanza è sempre quella». A chi si riferisce? A Edoardo Nesi, tornato alla Leopolda dopo l’esperienza di Italia Futura? Alla new entry Roberto Vecchioni? No, perché l’appeal (se non la leadership) intellettuale dei renziani è appannaggio ancora di Baricco. Il riferimento è forse a politici e teste d’uovo fino a poco tempo fa scettici sul «rottamatore» (e su Baricco stesso: l’ex collaboratore dalemiano Fabrizio Rondolino, infatti, su Twitter, ha definito l’intervento dello scrittore il «momento di felicità delle shampiste»). Il discorso di Baricco è stato un mix di renzismo purista e di ur-veltronismo (il pop eterno): tra Jovanotti (Baricco ha ripetuto come intercalare la parola «boh», cui il musicista è molto affezionato), Nanni Moretti («in questo anno lavoravo, facevo cose e ho incontrato molta gente»), un pizzico di Vasco Rossi, in barba a Pierluigi Bersani («mi sono distratto un attimo... e la strettoia del partito è diventata più larga»). Infine, una stoccatina ai lettiani, visto che fu Enrico Letta a dire basta fare i «fighetti»: «Non è che conosco solo delle fighette intellettuali», ha detto Baricco, «conosco anche quelli che mi stanno rifacendo il tetto». Costruire il futuro, in fondo, ha detto Baricco, è tornare alla propria casa. Nonostante si sia presentato in maniche di camicia bianca, arrotolate, come da prime apparizioni televisive anni ‘90, quando faceva dichiarazioni naif pro-Veltroni, Baricco è sembrato un po’ scarico rispetto ad altre uscite renziane. Forse perché, come ha detto ieri, «ora che il bambino più grande», ovvero Guglielmo Epifani, sta per consegnare a Renzi «il giocattolo», cioè il Pd, le «pile» dentro sono «scariche». Per fortuna, ha concluso blandendo il pubblico, «di batterie cariche ne abbiamo parecchie, se ci danno sto giocattolo sapremo infilarle». L’immaginario del nuovo Pd, ha detto lo scrittore Fulvio Abbate su Twitter, è lo spot delle pile Duracell.

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