Alessandro Fugnoli è l'esperto di economia e finanza che il Camerlengo propone abitualmente apprezzandone sagacia, ironia e anche un ottimismo di fondo di cui si ha tanto bisogno.
Il suo motto è "il mondo non finirà domani", ricordando come gli uomini hanno sempre vissuto di cicli, di crisi anche profonde, da cui si sono risollevati, cambiando. Accadrà anche stavolta, fa capire.
Questo non significa che, siccome ci sarà comunque un futuro, non è detto che quello prossimo venturo debba per forza essere meglio del presente, specie se la nostra condotta si impronta all'imprudenza, al "qui e ora".
Ed è così che, diversamente dal suo solito, nell' articolo di oggi Fugnoli mette in guardia dall'euforia borsistica, dalle azioni che continuano a crescere a dispetto di un'economia reale e di un mondo non proprio in salute, anzi.
Non conclude esortando a non uscire di casa anche se fuori c'è il sole, ma magari a comportarsi come fanno i bravi montanari, che in escursione vanno comunque attrezzati per il caso di un repentino mutamento del tempo.
Buona Lettura
RALLENTARE, PREGO
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non può passare inosservato il contrasto tra una politica
monetaria che viene condotta (e bond che sono prezzati) come se ci trovassimo
in una pesante recessione senza uscita da una parte e, dall’altra, un mercato
azionario che sta adottando valutazioni da crescita vigorosa e multipli da
ciclo positivo sostenibile nel tempo.
In questo sta la differenza tra la bolla in formazione in
questa fine 2013 e le precedenti esperienze del 1999-2000 e del 2007, quando
inflazione e tassi a breve erano intorno al 5 per cento e il Pil cresceva a una
velocità doppia rispetto all’attuale.
La diversità più grande, in ogni caso, sta nel vissuto
soggettivo di questi rialzi. Nelle due bolle precedenti si era creata una
razionalizzazione, ovvero una narrazione, per cui il mondo era entrato in una
fase nuova. I toni erano alti. Nel 1999-2000 si evocavano la rivoluzione
tecnologica e la singolarità (un termine preso in prestito dalla fisica con cui
si immaginava un buco nero di intelligenza artificiale che avrebbe inghiottito
e accelerato oltre ogni immaginazione la storia umana). Nel 2007 ci si
compiaceva per la stabilità ritrovata, per la forte crescita senza inflazione,
per il superamento del ciclo, qualcosa che in economia è potente ed eccitante
come l’idea di immortalità lo è per noi poveri mortali.
Questa volta non c’è retorica. Nessuno si aspetta la
costruzione della città celeste sulla collina e nessuno esalta i progressi
della scienza economica, che è anzi piuttosto screditata. Tutti invece
sappiamo, nel nostro intimo, che ci stiamo comportando come ci stiamo
comportando perché la polizia ha annunciato che se ne starà chiusa nelle sue
caserme ancora per qualche mese. Sentiamo la strana eccitazione che pervade le
persone normali (non i ladri di professione) quando capiscono che possono
rubare impunemente la
marmellata. Sappiamo che la festa un giorno finirà e che la
legalità dei tassi verrà ripristinata, ma pensiamo che, quando arriverà il
momento, la polizia tornerà per le strade lentamente e, almeno all’inizio,
praticamente disarmata. Non pensiamo di svegliarci una mattina con i carri
armati per strada, cioè con un crash, e ci avventuriamo dapprima con timore e
poi con sempre più coraggio in zone della città che sapevamo proibite. Non ci
sentiamo bravi e virtuosi come nei cicli precedenti, ma ci sentiamo stranamente
liberi. E cominciamo in qualche caso a diventare sfrontati.
La polizia ha un’ottima serie di scuse per non uscire per
strada. Bernanke è a fine regno e solo a marzo la Yellen si insedierà al suo
posto. Meglio aspettare. Poi c’è lo scontro a Washington su debito e fisco. Ora
c’è la tregua, ma da febbraio in avanti si riprende e nessuno sa che cosa potrà
succedere. Meglio attendere. I dati macro, dal canto loro, o sono deludenti
oppure, se sono forti, sono di dubbia qualità perché arrivano dalle settimane
di chiusura degli uffici governativi. Meglio non fare niente. Il confuso e
pasticciato avvio della sanità per tutti dell’Obamacare paralizza le imprese e
riempie di dubbi i compratori di polizze (che non riescono nemmeno ad
acquistarle). Meglio non farsi vedere in giro.
Perché, allora, auspicare un limite di velocità nel rialzo e
perché non correre semplicemente a raccogliere i soldi per la strada senza
farsi troppi problemi? Per quattro ragioni.
La prima è che un rialzo troppo veloce imbarazzerebbe le
banche centrali, che si vedrebbero ogni tanto costrette a fare tintinnare le
sciabole (senza peraltro usarle) per creare volatilità (e sappiamo che la
volatilità produce più perdite che guadagni nella maggior parte dei
portafogli). La Fed potrebbe ad esempio, come invoca Bill Gross, ricorrere a
misure macroprudenziali come l’innalzamento del deposito per gli acquisti di
azioni a margine (fermo da decenni al 50 per cento). Sarebbe una misura
perfettamente aggirabile attraverso l’uso dei derivati, ma il valore simbolico
del gesto verrebbe compreso da tutti e rallenterebbe per qualche tempo il
rialzo.
La seconda è che un rialzo disordinato porta con sé
un’allocazione subottimale dei capitali, un modo cortese per dire che si
buttano al vento tanti soldi correndo dietro ai titoli che salgono solo perché
stanno salendo (e non per i loro eventuali meriti specifici). Richard Koo
sostiene da anni che la bolla di Internet indusse le grandi imprese tedesche a
strapagare le società tecnologiche che acquistavano in America e che già due
anni più tardi non valevano più niente. Il buco che si produsse allora nei loro
bilanci indusse la Germania a premere sulla Bce affinché mantenesse tassi
anormalmente bassi. Il risultato fu che le banche tedesche, in cerca di
rendimento, investirono aggressivamente in titoli italiani, spagnoli e greci,
creando un surplus di capitali che fu a sua volta sperperato. Ne seguì, nel
2011, il ritiro tedesco dal Mediterraneo e il crollo delle nostre economie,
ormai periferiche.
La terza è che, nell’ebbrezza del rialzo, ci siamo
dimenticati di una lunga serie di rischi esogeni che un tempo ci preoccupavano
molto. La geopolitica è totalmente scomparsa, con l’ipotesi implicita che il
mondo resterà in pace per sempre. Le siccità, i terremoti, gli uragani e gli altri
atti di un cielo possibilmente collerico sono spariti dal nostro futuro. Le
epidemie, che negli inverni del decennio scorso hanno spesso causato correzioni
di borsa significative, sono debellate definitivamente dai nostri pensieri
anche se i nostri antibiotici sono sempre più deboli di fronte a batteri sempre
più forti. Più la bolla dovesse gonfiarsi, più pericoloso sarebbe il
ripresentarsi di uno qualsiasi di questi rischi.
La quarta è che la crisi
europea è in fase di remissione ciclica. Il debito di molti paesi, tuttavia,
continua tranquillamente a crescere, incurante dei nostri festeggiamenti. Nelle
stime di Citi il debito italiano sarà alla fine del 2014 del 136 per cento del
Pil, quello portoghese sarà salito al 144 e quello greco al 192. Un modesto
rallentamento della crescita globale, una correzione di borsa o un cenno di
possibile rialzo sui tassi troveranno un’Europa ancora fragilissima.
Questi rischi non vanno
necessariamente prezzati. Non è razionale fasciarsi la testa prima di essersela
rotta. È però importante ricordarsi della loro esistenza prima di lasciarsi
prendere la mano e usare livelli di leva pericolosi.
Curb your enthusiasm.
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