venerdì 29 novembre 2013

E SICCOME SIAMO TUTTI EUROPEI, IN GERMANIA INTRODOTTO IL PEDAGGIO STRADALE AI NON TEDESCHI



Qualche giorno fa, parlando di Renzi e della disillusione crescente che provavo osservando l'involuzione del sindaco fiorentino (per altri magari lo spostamento del buon Matteo verso posizioni più popUlari di sinistra sarà considerata un'evoluzione), un carissimo amico, Paolo Cavuto, mi ha ricordato come, ai tempi della maggiore euforia attorno al rottamatore, lui avesse espresso forti perplessità sul "nuovo che avanzava". Vedeva molto fumo ma ben poco arrosto. Molte battute, poche soluzioni veramente concrete, al di là dei titoli.
Ammisi che i fatti gli stavano dando ragione. Certo, l'avventura di Renzi è all'inizio. Finora il suo è stato un guascone "quando sarò a Rodi salterò 10 metri !". Ecco, pare che a Rodi ci stia arrivando. Adesso vedremo se e che salto farà.
Però con Paolo c'era un altro tema dibattuto, ed era sull'evoluzione Europea. E qui forse l'amico dovrebbe fare l'ammissione che ho fatto io per Renzi : delusione. 
Perché non credo proprio che QUESTA Europa possa piacere a chicchessia, europeisti convinti compresi. 
Paolo è molto contento dell'abbattimento delle frontiere, della libertà degli spostamenti, dell'Erasmus universitario, e a parte queste belle cose, sicuramente evidenzierà come le politiche di progressiva unificazione abbiano contribuito  a favorire la pace in un continente che nella prima metà del XX secolo era stato il centro principale e sanguinoso di due conflitti mondiali, con decine di milioni di morti. 
Tutto vero. Ma da un po', ed essenzialmente dall'avvento della moneta unica, non solo i progressi si sono fermati ma le istituzioni dell'Unione Europea - la Commissione Centrale,  la BCE, la stessa Corte di Strasburgo - vengono sempre più viste come strumenti  arcigni, punitivi. 
E' sicuramente corretto che i mali dei singoli stati nascano da problemi INTERNI, per avere tutti vissuto al di sopra dei propri mezzi, falsamente finanziando col  debito  un welfare e sostegni economici ipertrofici, firmando "cambiali" sul futuro non potendo drenare ulteriormente le  risorse reali, già sfiancate da troppe tasse. Ma è anche vero che l'esistenza di una unica banca e di una unica moneta SENZA un unico Stato, ancorchè federale, è un'anomalia unica al mondo che NON sta funzionando. Anzi.
Oggi sul Corriere della Sera , che certo non è giornale antieuropeista, tutt'altro, compaiono  due articoli proprio dedicati al  problema Europa. Uno guarda alla Francia, con il Front National al 20%, e una paura crescente ( il consenso all'Unione è al 41%...) verso l'immigrazione, che si integra sempre meno, e per la perdita crescente del controllo del proprio destino nazionale. Il giornalista, Luigi Ippolito, chiude così : "la sensazione è di una disconnessione crescente fra le élite tradizionali e i sentimenti collettivi. Qualche settimana fa un rapporto dei prefetti metteva in guardia da una «situazione pre-insurrezionale». La Francia è di nuovo in incubazione. Ma di qualcosa che potrebbe rivelarsi assai spiacevole."
Non migliore il quadro che fa Arturo Ferrari, prendendo spunto dalla notizia che in Germania, nel patto tra CDU e SPD, è previsto   il pagamento del pedaggio delle autostrade tedesche da parte dei soli non teutonici. 
Siccome la manutenzione delle strade la pagono con le loro tasse, che gli "stranieri" pagassero l'uso. Il che non farebbe una piega se non fosse strano che questa cosa avviene ORA, mentre le autostrade erano sempre state gratis, anche quando c'erano le frontiere...
Insomma, in primavera ci sono le elezioni fintamente politiche - che il Parlamento conta pressoché zero, e questo E' il grosso problema europeo : mancanza di una unione che sia anche e finalmente politica e non solo economica -  e l' Idea Europea non ha mostrato mai una salute più cagionevole.
DI seguito, l'articolo integrale di Ferrari

"I pedaggi stradali per i non tedeschi e quella volontà di solitudine" 


Tempo fa ebbi modo di consigliare a un amico illustre di non mettere nel titolo di un libro che si apprestava a pubblicare la parola Europa. Non perché nutrissi sentimenti autieuropeisti (che anzi...), ma perché l’esperienza storica era lì a dimostrare che bastava la sola presenza di quella parola per provocare un considerevole rallentamento, se non una paralisi, dell’auspicato gesto d’acquisto. E dunque delle vendite. L’ amico, che dentro e per l’Europa aveva a lungo lavorato, essendo oltre che illustre molto intelligente non diede mostra di risentirsi. Osservò tuttavia che un simile atteggiamento dall’italiano medio se l’aspettava, ma dal lettore di libri no. Ma proprio i più evoluti, gli feci notare, erano, e sono, i più sospettosi perché abituati dalle buone letture a diffidare di fumosi oggetti retorici e a badare al concreto. Che non è necessariamente costituito dai soldi o dai soli soldi, ma da tutto ciò che ha efficacia pratica. E dunque anche, e forse principalmente, dai grandi gesti e fatti simbolici. Nei quali, da che mondo è mondo, gli uomini tendono a cercare e trovare la propria identità, a riconoscersi, e che dunque agiscono direttamente e profondamente sui loro comportamenti. Ora, tra i grandi misteri del nostro tempo uno dei principali è l’insipienza simbolica dell’Europa cioè la sua incapacità a rappresentarsi in maniera non si dice affascinante o anche solo attraente, ma almeno sopportabile. Basti pensare alla sinistra visione dei palazzoni comunitari di Bruxelles in cui i poveri europei, ingrugnati davanti ai telegiornali della sera, vedono scomparire le proprie tasse. O a quel Parlamento di Strasburgo, peraltro sempre semivuoto, di ampiezza e squallore aeroportuale. Nella sua costruzione l’Europa ha saltato — per incapacità? per timidezza? per chiusura nazionalista? — il piano simbolico. Non è quindi riuscita a creare un sentimento europeo e alla fine ha creduto di poter sopperire attraverso la materialità — e la brutalità — dei soldi. Cioè dell’euro. Con un effetto finale di «o la borsa o la vita» che non le ha giovato. Insomma, sotto lo stretto profilo del marketing pochi prodotti sono stati peggio gestiti e venduti della povera Europa (prendere in proposito utili lezioni non solo dagli Stati Uniti, ma dalla Cina, dal Brasile e dall’attuale Città del Vaticano). A peggiorare se possibile le cose ci hanno pensato e ci pensano gli Stati membri, in perenne e irrisolta oscillazione tra identità nazionale e sovranazionale (e lasciamo correre la risibile faccenda delle radici...). In prima fila per goffaggine i tedeschi. Ineffabili. I quali, non contenti di sollevare sopraccigli e fare sorrisetti, di battere la bacchetta sulla cattedra, di dare qualche ulteriore piccolo tratto di corda e stringere ancora un po’ la vite, non contenti di tutto questo hanno avuto la bella pensata di inserire nel voluminoso patto fondativo (180 pagine) della Grosse Koalition l’introduzione del pedaggio autostradale per i non tedeschi. Essendo ben noto che le autostrade tedesche erano, fin qui e per chiunque, gratuite. Tutto perfetto, naturalmente. Il voluminoso patto in primo luogo: dettagliato fino alla minuzia, altro che il contratto firmato nel salotto di Vespa, la cui precisione si misurava dall’assioma «abbasseremo le tasse». E poi il principio: le autostrade ce le paghiamo noi, con le nostre di tasse, e perché gli altri dovrebbero usarle senza pagare? E poi ancora l’ecologia, non disgiunta dal portafoglio: perché dovremmo farci inquinare gratis? Tutto vero, tutto giusto, per carità. Ma come non cogliere il significato simbolico, cioè reale? Come non vedere il colpo di piccone, lo sfregio, alla tremolante identità europea? Questa è Germania, non Europa, essere tedeschi è molto più importante di essere europei, gli europei non tedeschi sono stranieri. Non è una questione economica (quanto peseranno mai i pedaggi sul bilancio della Germania?), ma una questione di principio e i principi li stabiliamo noi. E infine, più importante di tutto, noi siamo di qua, tutti gli altri di là. Noi siamo tedeschi. Noi siamo soli,vogliamo essere soli. C’è qualcosa di profondamente inquietante nella volontà di solitudine della Germania. A parte l’ovvia ambizione egemonica, c’è il senso di una propria distanza, di una propria diversità radicale, assolutamente non disposta a sciogliersi in una appartenenza più vasta. Gli spettri del passato sono scomparsi, fuori di dubbio. Ma c’era e c’è qualcosa d’altro dietro il sangue e la terra, dietro la razza e la forza militare. Qualcosa di più profondo.



Nessun commento:

Posta un commento