mercoledì 11 dicembre 2013

ECCO LA SENTENZA CHE HA ANNULLATO LA CONDANNA DEL 60ENNE LEGATO AD UNA 11ENNE. "ERA RELAZIONE AMOROSA, SI VALUTI CONCESSIONE ATTENUANTE".

Lui 60 anni e lei 11: per la Cassazione è amore
Annullata condanna a dipendente Comune Catanzaro
Qualche giorno fa avevamo riportato la notizia (http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2013/12/era-vero-amore-e-la-cassazione-annulla.html )  letta su Libero, di una sentenza della Corte di Cassazione, esattamente la 45179 del 15 ottobre 2013, e pubblicata in dicembre, con la quale veniva annullata la  condanna in Corte d'Appello (confrome la prima decisione del GUP) di un uomo di 60 anni che aveva avuto una relazione con una ragazza di 11 anni. 
Ovviamente, letto così, fa venire un coccolone. In realtà Libero aveva titolato peggio, parlando di ASSOLUZIONE. Viceversa, scorrendo bene, setacciando tra le molte inesattezze, confrontando la notizia con altri siti, si capiva che appunto si trattava di annullamento per la mancata concessione delle attenuanti da parte della Corte di merito. Quindi non era in discussione che un adulto che abbia rapporti sessuali, ancorché "consenzienti" con una minore di 14 anni (il limite minimo di età per la validità del consenso; poi la soglia si alza tenendo conto di vari fattori che qui non ci occupano ) commettesse il reato di violenza sessuale, bensì che non fosse stata considerato, ai fini della concessione delle attenuanti, il fatto che la ragazzina nutrisse un sentimento "d'amore" per l'uomo. 
Stigmatizzata la cattiva cronaca trovata sul giornale (ma non è inconsueto, specie nel campo della pagina giudiziaria) , avevo rimandato l'approfondimento alla possibilità di leggere la sentenza per esteso per superare le comunque molte perlessità che la notizia suscitava.
Due lettori hanno collaborato, inviando il testo della pronuncia, pubblicata su vari siti tra cui quello dell'AMI (Associazione avvocati matrimonialisti italiani ). Di questa riporto la parte che interessa, vale a dire l'accoglimento della censura del ricorrente in ordine alla mancata concessione delle richieste attenuanti e la motivazione relativa. 
Ecco, si tratta di cosa NON facile da spiegare, perché alla fine il Diritto, di cui in tanti ormai dissertano al bar e al ristorante grazie ai processi mediaticamente ormai illustrati (in genere male) in tutte le salse, non è cosa semplice, che non basta mica la logica, la ragionevolezza, il buon senso. Il Diritto è anche tecnicismo, conoscenza delle norme e della giurisprudenza, vale a dire l'interpretazione e l'applicazione delle stesse ai casi concreti. 
Proverò ad essere semplice, ma chiedendo venia fin d'ora se non riuscirò e/o risulterò impreciso.
Se non ho capito male la questione è questa : il reato di violenza sessuale nei confronti di una minore è previsto dalla legge e ha la sua pena, con un minimo e un massimo che varia anche in funzione della concessione o meno delle attenuanti. Ora, il legislatore non ha stabilito che per questo reato, la violenza ad un minore, nessuna attenuante è possibile. Se lo avesse fatto, il problema non si porrebbe. Invece, anche in questo caso, è astrattamente possibile. A quel punto NON si può, credo di capire, escludere tale possibilità per il fatto che la vittima ha 11 anni. Questo, quando è accertato, è già sanzionato, è l'essenza stessa del reato (violenza contro un minore).  A quel punto si tratta di vedere se le modalità del reato, come lo stesso è stato commesso, ammetta o no la concessione del beneficio.
In questo caso, l'adulto aveva instaurato con la ragazzina (a 11 anni non sei più bambina forse, certo non sei una ragazza) una relazione sentimentale, i due si scambiavano messaggi, si telefonavano, la piccola sentiva di vivere una storia d'amore e questo non può non essere, mi sembra dire la Corte, una circostanza di minore gravità rispetto ai casi in cui la violenza venga perpetrata senza che ricorrano queste particolari circostanze (rapporti obbligati con minacce, percosse, terrore). Quindi la colpa c'è, il reato contro il minore è stato consumato, ma è stato perpetrato in modo meno "infame" e questo comporta la possibilità dell'applicazione richiesta dalla difesa.
E se la Corte d'Appello avesse motivato l'esclusione delle attenuanti evidenziando che quel consenso, quella relazione amorosa era stata ottenuta capziosamente per il ruolo dell'uomo cui la bambina era stata affidata ? (Peraltro, di questo affidamento, letto su alcuni media, NON c'è traccia nella sentenza)? In questo caso la Cassazione avrebbe forse deciso diversamente.
Insomma, non è nemmeno detto che la Corte d'Appello di rinvio debba applicare l'attenuante in questione, ma se NON Lo fa, dovrà spiegare perché, tenuto conto dei criteri che le norme in questione, e la giurusprudenza su di esse,  dettano nella materia.
Complicato vero ? Sicuramente, e molto lontano dal "buon senso comune". 
Ma la Legge non è mero buon senso, logica, ragionevolezza. E' REGOLA. Il suo valore essenziale è quello di regolare i rapporti tra i cittadini. Poi certo, le norme del legislatore si spera che siano informate ai migliori principi, ma questo non avviene sempre e non necessariamente (tra l'altro non di rado si verifica che un diritto pacificamente riconosciuto venga sacrificato ad un altro, ritenuto prevalente, degno di maggior tutela).
Insomma, i giudici nel giudicare non devono tener conto del "cuore" della gente, e a volte prendono decisioni che li allontanano molto da questo.
E, alla fine dei conti, valutati i pro e i contro, probabilmente è meglio così. Che il cuore della gente non è poi né così saggio e nemmeno tanto buono.
Ecco la sentenza




Cassazione3



Con la sentenza in epigrafe la corte d’appello di Catanzaro confermò la sentenza emessa l’11.2.2011 dal Gip del tribunale di Catanzaro, che aveva dichiarato L.P. responsabile del reato di cui agli artt. 81 e 609 quater c.p., per avere compiuto atti sessuali con P.P., che non aveva ancora compiuto 14 anni, e con le attenuanti generiche e la diminuente del rito lo aveva condannato alla pena di anni 5 di reclusione, oltre pene accessorie e risarcimento dei danni in favore delle parti civili F.A. M., P.M., P.L. e P.P..

nullità della sentenza per violazione dell’art. 609 quater c.p., comma 4, e art. 133 c.p.; contraddittorietà e carenza della motivazione. Lamenta l’erronea negazione dell’attenuante della minore gravità perchè ritenuta incompatibile con il danno apoditticamente ritenuto subito dalla minore, e con la condotta in contestazione per la consumazione del rapporto sessuale, protrattosi nel tempo. In sostanza, secondo la corte d’appello, non può essere riconosciuta l’attenuante in questione perchè vi è stata congiunzione carnale e perchè si tratta di minore di 14 anni. Sono state in tal modo introdotte oggettive “eccezioni” applicative dell’attenuante di cui all’art. 609 quater c.p., non previste e non volute dal legislatore.
Inoltre, la giustificazione è tautologica. In particolare non si è considerato che il fatto è avvenuto nell’ambito di una relazione amorosa.
4) nullità della sentenza in relazione all’art. 62 c.p., n. 6, e art. 133 c.p.; carenza e contraddittorietà della motivazione.

E’ invece fondato il terzo motivo, in quanto è in parte erronea e in parte contraddittoria la motivazione con la quale la corte d’appello ha negato il riconoscimento della attenuante del fatto di minore gravità di cui all’art. 609 quater, comma 4. La sentenza impugnata, invero, ha motivato questa statuizione in considerazione del fatto che l’atto sessuale consumato dall’imputato costituiva la forma più invasiva e, pertanto, più grave di lesione dell’altrui integrità psicofisica; mentre non rilevava che l’imputato non avesse adottato forme di violenza o coartazione verso la vittima. Erano poi irrilevanti il consenso della vittima e la circostanza che i rapporti sessuali si erano innestati nell’ambito di una relazione amorosa.
Ciò perchè il fatto che il L. avesse potuto provare un amore non meramente filiale verso la ragazza costituiva un sentimento innaturale, che comunque non aveva come ineludibile portato il congiungimento carnale. Un tale sentimento di affetto, anzi, avrebbe dovuto indurre il L. a preoccuparsi del corretto sviluppo psico-fisico della ragazza. Infine, l’imputato aveva dimostrato una notevole pervicacia.
In sintesi, secondo la corte d’appello, al di là delle frasi di stile, l’attenuante in questione non poteva essere riconosciuta perchè vi era stata congiunzione carnale e perchè si trattava di una ragazza minore degli anni quattordici, il cui consenso non rilevava. L’attenuante è stata quindi esclusa sulla base di elementi in realtà non voluti e non previsti dal legislatore, nonchè di una giustificazione tautologica. Invero, esattamente il ricorrente osserva che il reato in esame indica senza dubbio un disvalore;
tuttavia la prospettazione di una attenuazione in termini sanzionatori presuppone che, pur rimanendo fermo quel disvalore oggettivo, si possano ipotizzare ragioni mitigatorie attenuative, che certamente devono trarsi al di fuori di questo. La difesa aveva messo in rilievo che nel caso in esame, come emerge anche dalle sentenze di merito, l’atto sessuale si inseriva nell’ambito di una relazione amorosa; e che, sebbene l’abuso sessuale sia sempre connotato da grave invasività fisica, lo stesso nel caso di specie non poteva ritenersi invasivo allo stesso modo dell’ipotesi in cui avvenga con forza e violenza e al di fuori di una relazione amorosa, atteso che nel primo contesto derivano più contenute conseguenze negative alla minore sul piano psicologico.
La corte d’appello in sostanza ha omesso di prendere in esame le considerazioni della difesa, e si è limitata a negare l’attenuante per ragioni che però non sono conformi alla costante giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale “la circostanza attenuante fondata sulla minore gravità del caso è riferibile tanto alle condotte di violenza sessuale (art. 609 bis c.p., comma 3), eventualmente aggravate per l’età inferiore ai dieci anni della vittima (art. 609 ter c.p., comma 2), quanto all’ipotesi di atti sessuali con minorenne di analoga età (art. 609 quater c.p., comma 4, in relazione all’art. 609 ter c.p., comma 2). Ne consegue che la ricorrenza dell’attenuante non può essere negata per il solo fatto della tenera età della persona offesa, dovendosi piuttosto individuare dal giudice elementi di disvalore aggiuntivo, sulla base dei criteri delineati all’art. 133 c.p., rispetto all’elemento tipico dell’età inferiore ai dieci anni” (Sez. 3^, 9.7.2002, n. 37656, Capaccioli, m. 223672); “La circostanza attenuante della minore gravità nel reato di violenza sessuale non può essere negata per il solo fatto della tenera età della persona offesa (nella specie infradecenne), essendo necessari a tal fine elementi di disvalore aggiuntivo sulla base dei criteri delineati dall’art. 133 c.p., comma 1″ (Sez. 3^, 26.1.2010, n. 11085, D.S., m. 246439) “in quanto, seppure gli atti sessuali commessi in danno di bambini in tenera età sono reati da considerare gravi per le ripercussioni negative sullo sviluppo del minore, non può escludersi che, per le circostanze concrete del fatto, tale delitto possa manifestare una minore lesività” (Sez. 3^, 10.5.2006, n. 22036, Celante, m. 234640).
In particolare la giurisprudenza ha osservato che, premesso che la minore gravità del fatto può ravvisarsi in presenza di una più lieve compromissione della libertà sessuale della vittima e dello sviluppo del minore, resta fermo che essa è il risultato di una valutazione che deve tenere conto di tutte le componenti del reato, oggettive e soggettive, nonchè degli elementi indicati nell’art. 133 (Sez. 3^, 1.7.99, Scacchi; Sez. 3^, 3.10.06, m. 235031). Si è, peraltro, precisato che, nell’utilizzare i parametri di cui all’art. 133 c.p., (ai fini del riconoscimento dell’attenuate speciale in parola), si deve avere riguardo solo agli elementi di cui al primo comma in quanto, quelli del secondo comma, possono essere impiegati solo per la commisurazione complessiva della pena (Sez. 4^, 4.5.07, m. 235730). Invero, poichè l’attenuante in discussione non risponde ad esigenze di adeguamento del fatto alla colpevolezza del reo, ma concerne la minore lesività del fatto in concreto rapportata al bene giuridico tutelato, assumono particolare importanza: la qualità dell’atto compiuto (più che la quantità di violenza fisica), il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni (fisiche e mentali) di quest’ultima, le caratteristiche psicologiche (valutate in relazione all’età), l’entità della compressione della libertà sessuale ed il danno arrecato alla vittima anche in termini psichici (Sez. 3^, 29.2.00, Prillo della Rotonda; Sez. 3^, 24.3.00, Improta).
Nella specie, la corte d’appello, invece, nel respingere la richiesta di attenuante formulata dal ricorrente, ha focalizzato la propria attenzione solo su uno (il turbamento e le conseguenze patite dalla vittima anche in un’ottica futura) dei molteplici aspetti da prendere in considerazione; per di più, senza nemmeno dare prova di avere ancorato il proprio asserto su emergenze specifiche (sì che l’assunto si propone quasi come un’affermazione di principio frutto di mera supposizione). In particolare, la sentenza impugnata ha focalizzato la propria attenzione sulla esistenza degli elementi che caratterizzano la fattispecie criminosa (età e atto sessuale), ritenendoli incompatibili con la specificata circostanza, senza considerare e valutare gli ulteriori e attenuativi aspetti della vicenda prospettati dalla difesa, quali il “consenso”, l’esistenza di un rapporto amoroso, l’assenza di costrizione fisica, l’innamoramento della ragazza. Sul punto la motivazione è anche manifestamente illogica laddove riferisce gli effetti della dedotta relazione sentimentale all’imputato, anzichè alla ragazza. Manca poi la motivazione sulle ragioni per cui gli elementi addotti dalla difesa non possano qualificare la “minore gravità”; nonchè in ordine alla c.d. entità della compressione della libertà sessuale e al danno arrecato alla minore.
7. E’ fondato anche il quarto motivo, essendo effettivamente carente e contraddittoria anche la motivazione con la quale è stata negata l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, richiesta per avere il L. formulato prima che iniziasse il giudizio un’offerta reale di risarcimento dei danni nei confronti della minore della somma di Euro 40.000,00; al fratello della minore della somma di Euro 5.000,00; di Euro 2.500,00 a ciascuno dei genitori e di Euro 5.000,00 nei confronti del comune di Catanzaro (che li aveva accettati).
La sentenza impugnata ha negato l’attenuante avendo ritenuto incongrue le somme offerte in considerazione della rilevanza e della portata dei beni interessi, anche di rango costituzionale, oggetto di lesione, sicchè non poteva assumersi come sufficiente ed idoneo parametro di valutazione e liquidazione quello equitativo puro, ma dovevano considerarsi tutte le componenti del danno, ed in particolare la lesione cagionata alla dignità della minore, attraverso condotte che ne avevano compromesso il regolare sviluppo psico-fisico e le capacità di relazione sociale, tenuto conto, sotto tale profilo, della condizione di isolamento in cui la P. aveva vissuto nel corso della relazione con l’imputato e della maturazione di un distorto modello di rapporti interpersonali, foriero di inevitabili conseguenze sull’assetto di vita della minore. La corte d’appello ha poi parlato di un assetto psicologico inevitabilmente alterato, con serio e grave pericolo che gli effetti dello stress post-traumatico si ripercuotano sul futuro della ragazza condizionandone negativamente e definitivamente l’assetto di vita personale e di relazione, e ciò pur in assenza di qualsiasi accertamento descrittivo di vera e propria malattia.
Si tratta di una motivazione meramente apodittica e presuntiva, perchè si ammette che è mancato qualsiasi accertamento scientifico medico o psicologico sui danni concreti subiti dalla minore e di motivazione altresì contraddittoria, perchè si afferma contemporaneamente che la liquidazione del danno non può basarsi su criteri equitativi, sicchè dovrebbe fondarsi su basi concrete, che però non vengono individuate nè scientificamente accertate. La sentenza impugnata, invero, non fornisce alcuna prova di avere ancorato il proprio asserto su emergenze specifiche. Manca comunque qualsiasi puntuale e reale valutazione del danno al fine di poterne definire la capacità risarcitoria integrale della offerta reale o della manifestata volontà risarcitoria. Esattamente il ricorrente lamenta che la motivazione si risolve in una affermazione di principio frutto di mera supposizione, quasi da ritenersi non ammissibile e non riconoscibile l’attenuante invocata per reati di questa specie. Fra l’altro, la sentenza non risponde adeguatamente al motivo di appello con cui si lamentava l’incongruità della sentenza di primo grado, laddove, pur descrivendo la madre come colei che aveva “irresponsabilmente soprasseduto su episodi allarmanti” e il padre come “figura assente nella vicenda”, aveva poi giudicato incongrua la somma offerta. La corte d’appello, infatti, ha respinto la censura con mere illazioni, sostenendo che i genitori, oltre alla disgregazione familiare, avevano subito “una condizione di chiaro patimento personale derivante non solo dalle serie preoccupazioni, che nell’ottica genitoriale, le vicende della figlia ponevano loro in termini di corretto sviluppo psico-fisico della minore, ma anche dalla negazione del loro ruolo genitoriale rispetto alle scelte ed all’assetto di vita della figlia minorenne”. Si è però omesso di considerare e valutare le specifiche contestazioni mosse sul punto dalla difesa, che aveva eccepito come nessuna preoccupazione genitoriale fosse stata manifestata nel corso della vicenda che, pur conosciuta dalla madre, si era lasciato che si protraesse per alcuni mesi. La difesa, in particolare, aveva specificamente eccepito: che il padre era rimasto sempre assente ed era comparso solo per chiedere il risarcimento dei danni; che il comportamento della madre era stato già censurato dal giudice di primo grado; che il fratellino già non viveva con la sorella; che la famiglia era già distrutturata prima della comparsa dell’imputato; che la solitudine della ragazza apparteneva già ad un vissuto precedente, tanto che dalla sentenza di primo grado risulterebbe che cercasse il L. proprio per colmare un vuoto affettivo; che pertanto dovevano considerarsi congrue le somme offerte come risarcimento del danno, compresa quella di Euro 40.000,00 offerta per la ragazza. La sentenza impugnata ha in sostanza omesso di rispondere a queste specifiche eccezioni, e non ha offerto una dimensione quantitativa derivante da dati fattuali concreti, anche per l’inesistenza di una consulenza psichiatrica o psicologica sulle conseguenze dannose del reato.
8. La sentenza impugnata deve dunque essere annullata in ordine alla valutazione sul riconoscimento dell’ipotesi attenuata del fatto di minore gravità e della attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, con rinvio per nuovo giudizio al giudice del merito.
Il giudice di rinvio, peraltro, dovrà necessariamente compiere una nuova globale valutazione dell’intero trattamento sanzionatorio, nell’ipotesi che accolga entrambe, o anche una sola, delle suddette attenuanti.
L’ultimo motivo di ricorso – con il quale si censura anche la motivazione sulla determinazione della pena base – resta pertanto assorbito, ma non precluso. Il giudice del rinvio, quindi, anche qualora ritenesse non concedibile nessuna delle dette attenuanti, dovrà comunque compiere una nuova globale valutazione del trattamento sanzionatorio alla luce anche delle eccezioni sollevate con il ricorso sulla contraddittorietà della giustificazione addotta dalla sentenza impugnata in punto di perimetrazione della pena base, fissata in misura alquanto elevata rispetto al minimo edittale. La sentenza impugnata ha invero giustificato la pena facendo riferimento alla gravità della condotta ed alla intensità del dolo, anche perchè il L. avrebbe dotato la ragazza di un cellulare per consentire “comunicazioni protette” e l’avrebbe indotta a costruire la falsa apparenza di una normale vita di relazione con un suo coetaneo per celare il proprio rapporto amoroso. Ciò però contrasta con quanto risulta da entrambe le sentenze di merito, le quali non indicano elementi di prova in ordine alla premeditazione nella dotazione del telefonino e nella costruzione di una falsa relazione con tale A., la quale al contrario viene invece spiegata come invenzione della ragazza volta a generare gelosie nell’imputato (pag. 2 della sentenza impugnata).
9. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio in ordine alla valutazione sulle richieste attenuanti ex art. 609 bis c.p., u.c., ed ex art. 62 c.p., n. 6, restando assorbito, ma non precluso, il motivo relativo alla determinazione della pena base.
Nel resto il ricorso deve essere rigettato.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Catanzaro limitatamente alle richieste attenuanti ex art. 609 bis c.p., u.c., ed ex art. 62 c.p., n. 6. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 15 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2013

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