giovedì 27 febbraio 2014

L'ERRORE DI ASPETTATIVE MIRACOLOSE. IN ITALIA NON E' SOLO UN PROBLEMA DI UOMINI




Mi pare assolutamente ineccepibile il ragionamento svolto da Giovanni Orsina nel suo Editoriale apparso oggi su La Stampa e che ho sintetizzato nel titolo di questo post : sono sempre sbagliate le aspettative miracolose. E se di tanto in tanto spunta qualcuno, ieri Berlusconi, oggi Renzi, che le alimentano, bè nella delusione successiva abbiamo anche noi qualche responsabilità.
Il nostro è un sistema incagliato. Ci abbiamo messo molto, in tempo e applicazione, per arrivare ad incasinarci così. E' illusorio pensare che un uomo, da solo, possa sciogliere il nodo gordiano che si è formato. Senza contare che quando si arriva a livelli di intreccio così aggrovigliato, poi serve la spada se si vuole risolvere in fretta...
In Italia i mali sono noti , molteplici, complessi e la coperta si è fatta sempre più corta. Non si tratta solo di mancanza di risorse - anche - ma di un sistema diventato insopportabilmente ferraginoso. e NON sarà la volontà e l'ambizione - presunzione di un singolo a modificarlo. Non ci riuscì Berlusconi che pure aveva voti, parlamentari, e in più che discreto fuoco amico mediatico (ne aveva anche molto nemico), non credo che ci riuscirà il pur veloce Matteo.
Soluzione ? Orsina suggerisce di riprovare con una Costituente, che ammoderni la macchina e risolva almeno la metà del problema. Poi certo, fatta la macchina nuova ed efficiente, toccherà trovare i soldi per la benzina...
Buona Lettura

Per le riforme servirebbe la costituente

I PADRI COSTITUENTI

Malgrado il regime nordcoreano gli abbia costruito intorno un culto monumentale, dal chiuso del suo sarcofago di cristallo il «grande leader» Kim Il-Sung si starà rodendo d’invidia nel vedere di quanta attenzione è circondato «Matteo». Nell’osservare come ogni più piccolo dettaglio di «Matteo», della sua biografia, delle sue azioni, del suo mondo mentale, sia sottoposto a interpretazioni e analisi degne dei migliori teologi bizantini.

Scontiamo però la moltiplicazione dei flussi comunicativi generata dalla Rete. Scontiamo l’ossessione dei media italiani per la politica interna. Scontiamo infine il fatto che per vent’anni il personaggio è stato Berlusconi, e non vedevamo l’ora di cambiare. Bene: una volta scontato tutto questo, e al netto quindi degli eccessi e del ridicolo, in fondo all’attenzione che circonda Renzi resta pur sempre una ragione seria. Una doppia ragione, anzi, che su queste pagine ha ben descritto Luca Ricolfi, ma che negli ultimi giorni è riecheggiata un po’ ovunque. Per un verso la convinzione che Renzi sia la nostra ultima spiaggia, e che al di là del suo fallimento restino soltanto o Grillo o il commissariamento da parte della cosiddetta «troika» – Fmi, Bce, Commissione europea –, o tutte e due le cose insieme.

Per un altro, però, che le sue possibilità di successo siano in verità assai scarse. 

Entrambe le convinzioni appaiono più che fondate. La seconda, poi, lo è tanto di più perché l’immensa scommessa che l’Italia sta facendo su Renzi si fonda su un ragionamento in larga parte erroneo: che le difficoltà del Paese dipendano dalla qualità di chi lo amministra e che perciò, per risolvere i problemi, sia sufficiente individuare la classe politica «giusta». Negli ultimi vent’anni abbiamo provato governi di destra e governi di sinistra. Politici di lungo corso e imprenditori di successo. Poi ci siamo affidati ai tecnici. Hanno fallito tutti e li abbiamo tutti scartati. Soltanto nell’aprile scorso abbiamo tentato col ricambio generazionale chiamando al potere i quarantenni. Ma abbiamo dato loro a malapena il tempo di mettersi all’opera: dieci mesi e via, ennesima dichiarazione di fallimento e spazio ai trentenni. I sentieri che abbiamo battuto finora si sono rivelati tutti dei vicoli ciechi perché ci siamo sempre posti, e continuiamo ossessivamente a porci, la domanda sbagliata. 
 Il problema non è – o almeno non è soltanto – la qualità della classe politica. Sono le istituzioni. Che rendono impossibile a qualsiasi governo dare al Paese le riforme ambiziose che il Paese pretende e delle quali ha bisogno. 

Come rompere però il circolo vizioso ormai trentennale per cui è proprio la paralisi politica e istituzionale a impedire il rinnovamento delle istituzioni e della politica? Illudersi che per rispondere a questa domanda sia sufficiente sostituire il ceto di governo – Letta con Renzi, Quagliariello con Boschi – significa perseverare nel ragionamento erroneo di cui sopra. E anche le riforme della legge elettorale, del bicameralismo e del federalismo sulle quali intende concentrarsi questo esecutivo, ammesso pure che riesca davvero a farle, sarebbero del tutto insufficienti in mancanza di una revisione profonda della forma di governo. Non se ne esce, insomma, se non con un’iniziativa straordinaria, ambiziosa e lungimirante. Un’iniziativa non soltanto coraggiosa ma strategica – là dove «Matteo» finora è stato sì coraggioso, ma soprattutto tattico. 

Il circolo vizioso per il quale la politica e le istituzioni sono paralizzate a tal punto da non riuscire a riformare se stesse lo si potrebbe rompere convocando un’assemblea costituente che riscriva la seconda parte della carta del 1948. Un’ipotesi tanto ardita da essere impraticabile, si dirà. Forse. Anzi: probabilmente. Soltanto un’iniziativa così ardita, però, darebbe a un’Italia avvilita e sfiduciata una vera prospettiva strategica, le garantirebbe un risultato certo in tempi certi, le trasmetterebbe il senso di un nuovo inizio. Il governo perderebbe il controllo sulle riforme istituzionali, ma potrebbe concentrarsi sull’economia, sul lavoro, sulla burocrazia, sulla scuola – il daffare certo non manca. E intestandosi l’iniziativa ne trarrebbe comunque un grandissimo vantaggio politico: Renzi sarebbe indiscutibilmente il giovane padre della nuova repubblica. Il suo «peccato originale» – esser entrato a Palazzo Chigi senza passare per le elezioni – sarebbe almeno in parte risanato dall’eccezionalità dello sforzo costituente. E pure l’ombra di delegittimazione non giuridica magari, ma politica, che la sentenza della Consulta sulla legge elettorale ha gettato su questo parlamento sarebbe fugata. Grillo e Berlusconi, poi, non potrebbero certo lamentarsi: avrebbero il voto e un posto garantito al tavolo delle riforme.

Ma soprattutto, al Paese sarebbe risparmiato il rischio gravissimo di aver puntato tutti i pochi denari che gli rimangono su un cavallo solo. E un cavallo, per giunta, al quale auguriamo sì il massimo della fortuna, ma che fin dalla partenza appare gravato di troppi pesi e frenato da troppi vincoli.

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