Sempre un po' indigesti i temi economici. Giacalone ha il pregio di cercare di renderli più intellegibili magari con un po' di semplificazione (che a me va benissimo ma sulla quale immagino i lettori più addentro di questa fondamentale materia avranno di che ridire).
Quello che si comprende bene è che comunque, per liberare un po' di denari, dobbiamo convincere quelli di Bruxelles ( e Merkel e Draghi) , che non continuino a pretendere l'assoluta austerità sui conti, con la quale abbiamo prosciugato ancora di più il fiume già in secca della crescita della Nazione.
Abbiamo bisogno, spiega Giacalone, che si liberino i fondi bloccati degli Enti locali territoriali (non certo Roma, che ha una voragine di debiti, così come Napoli, Palermo...ma altri li hanno ), pagare le imprese creditrici della PA, utilizzando diversamente la Cassa Depositi e Prestiti, aumentare il gettito d'IVA... Cose così.
Non le hanno fatte prima perché la filosofia corrente era quella che, sistemando i conti (tramite la tassazione), avremmo respirato sul fronte del debito pubblico (giù lo spread e quindi minori costi per rifinanziare il costo dei titoli di stato), i mercati avrebbero ripreso a farci credito e prima o poi il PIL sarebbe tornato a crescere grazie alla fine della crisi e la ripresa dell'economia. In questi due anni non è andata esattamente così. Lo spread è sceso, ma senza l'intervento di Draghi potevamo essere morti di tasse e ancora stava sopra quota 500. Il debito pubblico, nonostante l'avanzo primario, è salito, sia perché non diminuiamo la spesa (per cui le maggiori entrate non vanno a ridurre il primo ma a compensare la seconda) , sia perché crescendo meno, il PIL scende e con esso il rapporto col debito. Dovremmo tagliare. Lo sappiamo, tutti, ma non lo facciamo, che ognuno di noi vorrebbe che toccasse SOLO al vicino, e non a sé.
Intanto che tergiversiamo su questo, il fatto di reperire risorse stavolta utilmente impiegate, per pagare le imprese e ridurre la tassazione sul lavoro, sarebbe già un invertire la rotta.
Buona Lettura
Meglio provarci
E probabile che Renzi fallisca, ma sarebbe meglio di no. Lo spread misura i difetti dell’euro, non peccati e virtù nazionali. Per mesi lo abbiamo sostenuto da soli, aggiungendo (con Luca Ricolfi) che, semmai, si doveva guardare allo spread dello spread, ovvero al debito italiano che continuava a essere considerato più a rischio di quello spagnolo. Autentica ingiustizia. Ebbene: quel rapporto volge al giusto. E questo è un fatto. Posto che i mercati sono alluvionati dalla liquidità, pertanto sia nervosi che promettenti, sia pronti a nuovi tsunami speculativi che a investire da noi, quel fatto può essere travolto, ma anche promettere il meglio.L’aria generale, dentro i confini, è quella di scommettere sul fallimento del governo Renzi, affetto da bullismo e approssimazione. Non sarebbe meglio incalzarlo affinché si eviti di farsi (ulteriormente) del male? In molti si chiedono: il governo dove prenderà i soldi per far le cose che promette? Ma i soldi per dar seguito alle cose immediate, indicate nei discorsi programmatici, ci sono. Il problema è nelle modalità e compatibilità con i vincoli di bilancio. Il prestigiatore non è un mago, il portafoglio (esempio pertinente) si sposta da una tasca all’altra perché una mano ce lo porta, solo che tutti guardano l’altra, impegnata a volteggiar per l’aere. La domanda, quindi, non è con quali soldi, ma in che modo e quale sarà la reazione della Commissione europea. Dal che discende l’orizzonte temporale del governo appena nato: la legge di stabilità, nel prossimo autunno.
I soldi per l’edilizia scolastica non sono da trovare o stanziare, perché il presidente del Consiglio ha fatto esplicito riferimento a quelli già presenti nei conti degli enti locali. Non tutti gli enti locali ne hanno e per le scuole delle grandi città (Roma in testa) non ci sarà un centesimo. Ma c’è chi ne ha. I soldi per il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione verso i privati fornitori si trovano, mediante garanzia della Cassa depositi e prestiti e relativo anticipo bancario. Lo abbiamo scritto molte volte. Una volta pagati quei debiti, mettiamo per 60 miliardi, si genera gettito iva per 13 miliardi e 200 milioni, da dove si possono ben prenderne 10 per tagliare il cuneo fiscale. E’ vero che quell’iva entra una sola volta, mentre il taglio dura negli anni, ma è anche vero che in quel modo il pil cresce più del previsto, generando gettito.
Ma, allora, perché gli altri, prima di lui, non hanno usato i soldi che ci sono? Le risposte sono due: a. perché sono stati degli incapaci; b. pur incapaci, non è che fossero matti, perché usare quei soldi significa mettere un dito nell’occhio della Commissione europea. Spendere quelli già sui bilanci degli enti locali significa sfondare il patto di stabilità. Pagare i debiti verso privati significa non solo aumentare il debito di qualche punto percentuale, ma anche far crescere il deficit. Qualcuno lo nega, perché dice che sono debiti già iscritti a bilancio, ma sbaglia, perché una parte di questo debito è nascosto dal non completamento delle procedure amministrative, quindi nei bilanci deve ancora entrarci. La fatturazione elettronica è ferma, da anni, mica per arretratezza tecnologica, ma per evitare che il debito pubblico cresca con un colpo di mouse. Usare i proventi dell’iva per detassare significa restare inerti innanzi alla crescita di deficit e debito. Tutte cose che, senza il consenso della Commissione, non sono possibili.
Anche senza il consenso della Ragioneria generale, che tutela quei vincoli. Ma pare che il governo abbia in animo di fare proprio quel che suggerivamo: portarla presso la presidenza del Consiglio e depotenziarne il potere di veto. Se il ministro Padoan pensa d’impedirlo fa cadere il governo. Subito.
Renzi è un illusionista, ma non solo. I dati diffusi dalla Commissione, relativi alla crescita 2014-2015, ove si dimostra che l’Italia ansima e arranca senza crescere, tutto sommato tornano utili, perché dimostrano che la ricetta del tassa&paga, impostata da Monti e non ancora smontata, non funziona. Renzi può dire loro: siete voi stessi a certificare che così non ne usciamo. Se, invece, noi italiani organizziamo una botta riformista e voi ci consentite una botta di liquidità, allora raddrizziamo le cose. Non le risolviamo, ma miglioriamo. E dobbiamo farlo subito, non per fregola attivistica, ma perché poi precipitiamo nel fiscal compact, facendo saltare o l’Italia o l’euro. Vale a dire entrambe.
A questo si aggiunga la possibilità di usare in modo accentrato e concentrato i fondi strutturali, così attrezzando una potenza di fuoco finanziario di tutto rispetto. Non solo ha un senso, ma è l’unico sensato. Per farlo serve approcciare la supremazia tedesca senza subalternità. A tale scopo torna utile una sponda statunitense. Se funziona, è una gran cosa. Lo sapremo entro la legge di stabilità: se conterrà manovre correttive sarà la certificazione del fallimento. Corollario: nuove tasse sarebbero la negazione del tutto, mentre i tagli sono coerenti.
Certo, al vecchio gruppo dirigente del Partito democratico, e alla maggioranza dei loro gruppi parlamentari, va di traverso. Ma se rompono si va a votare e si ritrovano fuori. I senatori sono financo disposti a discutere della loro soppressione, pur di non decadere subito. Certo, gli alleati minori credevano di prendere sangue e, invece, lo donano. Tutto. Ciò genera instabilità, induce a dire: dura minga. Ma all’Italia conviene che la sfida sia portata fino in fondo e in fretta. Di tempo ne abbiamo già sprecato parecchio.
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