Un collega ed amico dell'Unione Camere Penali, Francesco Maisano, segnala uno delle tante quotidiane brutture che si realizzano in quello che pure dovrebbe essere l'universo della Giustizia, dove vorresti diversa attenzione, preparazione e sensibilità, e invece ti trovi troppo spesso con gente distratta, ormai arresa di fronte alla mole delle pratiche e le tratta tutte come un mediocre travet che non vede l'ora di staccare dall'ufficio per andarsene a casa.
La storia è semplice nella sua crudeltà. Una donna, malata terminale di AIDS, oltretutto vittima di un tumore, viene incarcerata per non aver pagato la pena pecuniaria inflittagli a seguito di una condanna per detenzione di droga. Il Giudice del merito non era stato particolarmente severo, due mesi e mezzo e pena commutata. Però la donna non ha mezzi, non ha un legale di fiducia che le spiega che se non paga la somma di denaro, finisce in carcere, che magari familiari e amici si mobilitavano per radunare la somma. Insomma, la commutazione decade e scatta la prigione. Tutto regolare, se non fosse che questa donna deve scontare nemmeno tre mesi ed è in condizioni di salute gravissime.
Sospendergli la pena no ?
L'avvocato che ora l'assiste, per umana pietà, quella che manca a certi magistrati (dire "non tutti" è cosa ovvia, ma meglio essere ovvi, che poi, figlio di un magistrato stimato ed ammirato, mi dicono che ho un personale livore contro la categoria) , dice di aver scritto anche alla Cancellieri ma di non aver ricevuto risposta.
E il sito, TODAY ne fa un titolo. Polemica fuoriposto, ma resta il merito, assolutamente prevalente, di aver divulgato la cosa.
E bravo Francesco Maisano ad averla a sua volta segnalata, biasimando con vigore il giudice di sorveglianza . Anche, ma meno, , il PM e spiega perché : " Lasciamo magari da parte il PM al quale passano il fascicolo del l'esecuzione ( ma di solito se la vedono gli impiegati in segreteria) senza alcun certificato medico; vede che non può sospendere ex art. 656 e tira dritto per l'esecuzione. Ma, e sottolineo, ma ...volete che qualcuno non abbia avvisato il magistrato di sorveglianza?? Ed allora , dico io, ma grande testa di giurista, non ti poni manco il problema di sospendere in via immediata e cautelativa l'esecuzione per una poveraccia ridotta in questa situazione??
Da leggere per riflettere
Malata terminale in carcere scrive alla Cancellieri: il ministro non risponde
Ha
scritto alla Guardasigilli l'avvocato Liberati che si sta occupando
della storia di Giulietta Vinci Aquila, la donna affetta da cancro e
aids che è detenuta nel carcere di Rebibbia e ha recentemente tentato il
suicidio. Ma ancora nessuna risposta
Ha minacciato di suicidarsi Giulietta Vinci Aquila,
la donna di 44 anni detenuta nel carcere di Rebibbia a Roma dal
13 gennaio per scontare due mesi e mezzo, per una pena pecuniaria non
pagata in relazione a una vicenda di droga di molti anni fa. La donna è anche affetta da diverse patologie gravi per cui non riceve l'assistenza consona alle sue condizioni, visto che si trova nell'infermeria del carcere romano.
Secondo l'avvocato della donna Giancarlo Liberati "a distanza di molti giorni nessuna iniziativa o decisione è stata ancora assunta per risolvere la sua situazione". L'avvocato nei giorni scorsi aveva anche scritto al ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri ma senza ricevere risposta: "Il guardasigilli ha in più occasioni sbandierato la sua attenzione e la sensibilità verso casi di particolare interesse sul piano umano e della tutela della salute dei detenuti ma non si è degnata neanche di dare un cenno di risposta all'appello che le ho rivolto lo scorso 25 gennaio".
Nell'appello il legale della donna racconta come ha scoperto il caso di Giulietta, attraverso la segnalazione di un frate francescano di Roma, suo amico: "Nell’Italia dove si discute del sovraffollamento delle carceri e di soluzioni deflattive, come indulto e amnistia, una sfortunata donna di 44 anni affetta da HIV B2, epatopatia cronica da HCV, esiti di un intervento al cervello per un tumore, disturbi dell’equilibrio e sindrome ansioso-depressiva, è stata 'catturata', senza troppe 'delicatezze' e tradotta nel carcere di Rebibbia".
Il caso di Giulietta è talmente disperato che sembra un'eccezione eppure l'avvocato Liberati conferma che non è la prima volta che nella sua carriera professionale si trova davanti a storie del genere: "Purtroppo, questo è solo uno dei tanti casi in cui la giustizia, nel fare il suo corso, trascura l’humana pietas che dovrebbe costituire il fondamento di ogni società civile".
In realtà si potrebbero risolvere casi del genere se venissero fatte delle riforme a livello legislativo. Andrebbe infatti colmata "una lacuna all'interno dell'articolo 656 del Codice Penale": si potrebbe prevedere la possibilità in capo al Pubblico Ministero dell'applicazione di una misura alternativa che tenga conto delle condizioni soggettive e oggettive del detenuto.
Una proposta che l'avvocato vede come soluzione adatta all'emergenza che colpisce coloro che hanno storie come quella di Giulietta: "Tale estensione normativa produrrebbe il suo maggior effetto a favore delle fasce più deboli ed emarginate della società che non sempre hanno la possibilità di ottenere un’adeguata assistenza legale anche a causa dell’assenza di una fissa dimora che spesso rappresenta il motivo principale del verificarsi di tali situazioni" sottolinea Liberati.
Una misura da mettere in atto il prima possibile, visto che la crisi accelera i tempi: "Ritengo doveroso, da parte di chi ne ha la possibilità, in un periodo di grande crisi, generatrice di forti tensioni sociali, come quello attuale, contribuire a risolvere questo e altri problemi con interventi urgenti, mirati e concreti, utili per tutti i cittadini ma indispensabili a colmare il divario sempre più evidente tra i ricchi ed i potenti ed i poveri, spesso, senza voce e senza mezzi" conclude l'avvocato che rimane ancora in attesa di una risposta del ministro Cancellieri.
Intanto Giulietta si trova ancora in infermeria a Rebibbia e ha già più volte minacciato il suicidio. Quello che chiede al suo avvocato e alle istituzioni non è molto: "Questa povera donna, già pienamente consapevole di essere priva di ogni futuro - conclude Liberati - vorrebbe vivere il tempo che le resta tra persone amiche e in ambienti più consoni alle sue patologie". Nelle sue condizioni, chi non lo vorrebbe?
Secondo l'avvocato della donna Giancarlo Liberati "a distanza di molti giorni nessuna iniziativa o decisione è stata ancora assunta per risolvere la sua situazione". L'avvocato nei giorni scorsi aveva anche scritto al ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri ma senza ricevere risposta: "Il guardasigilli ha in più occasioni sbandierato la sua attenzione e la sensibilità verso casi di particolare interesse sul piano umano e della tutela della salute dei detenuti ma non si è degnata neanche di dare un cenno di risposta all'appello che le ho rivolto lo scorso 25 gennaio".
Nell'appello il legale della donna racconta come ha scoperto il caso di Giulietta, attraverso la segnalazione di un frate francescano di Roma, suo amico: "Nell’Italia dove si discute del sovraffollamento delle carceri e di soluzioni deflattive, come indulto e amnistia, una sfortunata donna di 44 anni affetta da HIV B2, epatopatia cronica da HCV, esiti di un intervento al cervello per un tumore, disturbi dell’equilibrio e sindrome ansioso-depressiva, è stata 'catturata', senza troppe 'delicatezze' e tradotta nel carcere di Rebibbia".
Il caso di Giulietta è talmente disperato che sembra un'eccezione eppure l'avvocato Liberati conferma che non è la prima volta che nella sua carriera professionale si trova davanti a storie del genere: "Purtroppo, questo è solo uno dei tanti casi in cui la giustizia, nel fare il suo corso, trascura l’humana pietas che dovrebbe costituire il fondamento di ogni società civile".
In realtà si potrebbero risolvere casi del genere se venissero fatte delle riforme a livello legislativo. Andrebbe infatti colmata "una lacuna all'interno dell'articolo 656 del Codice Penale": si potrebbe prevedere la possibilità in capo al Pubblico Ministero dell'applicazione di una misura alternativa che tenga conto delle condizioni soggettive e oggettive del detenuto.
Una proposta che l'avvocato vede come soluzione adatta all'emergenza che colpisce coloro che hanno storie come quella di Giulietta: "Tale estensione normativa produrrebbe il suo maggior effetto a favore delle fasce più deboli ed emarginate della società che non sempre hanno la possibilità di ottenere un’adeguata assistenza legale anche a causa dell’assenza di una fissa dimora che spesso rappresenta il motivo principale del verificarsi di tali situazioni" sottolinea Liberati.
Una misura da mettere in atto il prima possibile, visto che la crisi accelera i tempi: "Ritengo doveroso, da parte di chi ne ha la possibilità, in un periodo di grande crisi, generatrice di forti tensioni sociali, come quello attuale, contribuire a risolvere questo e altri problemi con interventi urgenti, mirati e concreti, utili per tutti i cittadini ma indispensabili a colmare il divario sempre più evidente tra i ricchi ed i potenti ed i poveri, spesso, senza voce e senza mezzi" conclude l'avvocato che rimane ancora in attesa di una risposta del ministro Cancellieri.
Intanto Giulietta si trova ancora in infermeria a Rebibbia e ha già più volte minacciato il suicidio. Quello che chiede al suo avvocato e alle istituzioni non è molto: "Questa povera donna, già pienamente consapevole di essere priva di ogni futuro - conclude Liberati - vorrebbe vivere il tempo che le resta tra persone amiche e in ambienti più consoni alle sue patologie". Nelle sue condizioni, chi non lo vorrebbe?
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