mercoledì 12 marzo 2014

BERSANI STA MEGLIO : HA RIPRESO A DIRE SCEMENZE


"Voto sì, perché poi al Senato ci rimetteranno le mani...." Che logica è ? Sfugge al senso comune, che difetta ai politici, specie a quelli di una certa aerea,  che infatti Roberto Speranza, capogruppo alla Camera dei PIddini, può dire una cosa del genere, annunciando il voto favorevole all'Italicum, senza imbarazzo.
Ora, che per fare politica attiva ci vogliano stomachi pelosi e faccia di tolla senza vergogna, questo si sapeva e non mi scandalizzo. Che però si stiano toccando vertici inediti, non mi sembra una buona cosa.
Ieri gli emendamenti alla legge elettorale sono stati respinti con soli 20 voti favorevoli, e c'è voluta la rampogna di Renzi al Nazzareno per richiamare all'ordine i riottosi. Oggi il voto è andato meglio e Bersani ha potuto dire "nessun complotto". L'ex segretario del PD non deve esagerare nel troppo pretendere dalla umana indulgenza che giustamente va riconosciuta ad uno colpito in meno di 12 mesi da due colpi durissimi, il primo politico il secondo alla salute. Perché poi le cazzate e le falsità restano tali, anche se chi le pronuncia è persona sulla quale non si vuole infierire. Quindi, prima di dire cose tipo "se avessi invitato io Berlusconi al Nazzareno chissà cose avrebbero scritto " o " l'Italicum al Senato sarà cambiato, Berlusconi se ne faccia una ragione", si quieti, che ancora non sta bene : NON è il Cavaliere che   ha marginalizzato, lui e i suoi, nel suo partito. Ed è infantile e fastidioso questo suo parlare a nuora perché suocera intenda.
Dal canto suo, Renzi sta assaggiando la realtà che non era difficile prevedere : andare al Governo senza avere una SUA maggioranza parlamentare, che tale NON è quella uscita dalle urne del 2013, è stata scommessa temeraria. In Parlamento, nonostante la non vittoria elettorale, ma grazie al defunto porcellum, il PD ha molti eletti (specie alla Camera) che appartengono alla pre rottamazione. DI renziani "duri e puri" ce ne saranno forse una cinquantina, non di più. Certo, adesso si sono aggiunti quelli delle correnti che si sono schierate dietro al nuovo segretario, Veltroniani, Franceschiani e i giovani turchi (un po' a sorpresa questi ultimi), però in Parlamento l'opposizione a Renzi è molto più numerosa e forte rispetto alla direzione del partito.
L'arma del tutti a casa, con l'Italicum valido solo per la Camera e NON per il Senato, in attesa dell'abolizione di quest'ultimo (se ci sarà...), è spuntata, e Renzi non è uno stupido da non saperlo.
Ritiene una "svolta" aver comunque ottenuto il voto a Montecitorio. Vediamo come andrà a Palazzo Madama. che il rumor di spade è forte...

E il lettiano Meloni pensa già al referendum «per il ripristino delle preferenze» Bersani lancia l’attacco: cambieremo il testo 
ROMA — «Non mi piglio la responsabilità di dire ai miei figli che ho votato questo schifo di legge». La deputata Enza Bruno Bossio non esprime un giudizio sfumato sulla riforma ideata e voluta dal suo segretario, Matteo Renzi. E non è l’unica. I franchi tiratori nel Pd crescono ogni giorno, ogni ora. E nel pomeriggio diventano un centinaio, numero che ricorda sinistramente i 101 che affossarono Romano Prodi nel segreto dell’urna. Al primo banco di prova, dunque, non solo scricchiola pesantemente il «patto di ferro» stipulato da Renzi e la «doppia maggioranza» con Nuovo centrodestra e Forza Italia. È lo stesso Partito democratico a essere scosso dalle fondamenta. Con un pericoloso intrecciarsi di dissensi sui contenuti e di risentimenti politici. Un grumo di ostilità a Renzi, che rimanda alla fine brusca del governo Letta e che sembra ricostituire un’opposizione da tempo silente nel partito.
La giornata comincia con lo strappo dell’ex segretario Pier Luigi Bersani: «L’Italicum andrà cambiato al Senato e Berlusconi se ne dovrà fare una ragione». Il messaggio è solo apparentemente indirizzato al Cavaliere. Il destinatario è chiaramente Renzi, criticato anche per aver ospitato Berlusconi al Nazareno: «Se lo avessi fatto io — dice Bersani — sarebbero venute giù le cateratte: avrei avuto titoli di giornali furibondi».
Alle nove del mattino, dopo avere ascoltato le parole pronunciate da Bersani ad Agorà , Renzi riunisce il partito al Nazareno. Usa un po’ il bastone e un po’ la carota. L’intervento è duro. Striglia i suoi, chiede di votare la legge elettorale alla Camera. Mette sul tavolo tutto il suo impegno e non solo. «Non l’ha detto, ma implicitamente — spiega Ermete Realacci — ha fatto capire che era pronto ad andarsene in caso di voto contrario». Poi, in conclusione, fa una virata e apre uno spiraglio, convocando una Direzione per il 19 marzo: «Ci sarà un approfondimento con tutti sulle questioni in discussione sulla legge elettorale al Senato». Come a dire, qualche modifica è possibile. Roberta Agostini, la più convinta sostenitrice delle quote, urla dal fondo: «Sì, ma dacci un impegno vero». L’impegno arriverà più tardi, con una nota di Lorenzo Guerini, che sottolinea come «riprendere» il tema della parità di genere sarà «un impegno prioritario» del Pd al Senato.
Durante la segreteria c’è il tempo di uno scontro con Rosy Bindi. Che prima interrompe il segretario, poi interviene criticando il voto sulla parità: «Il Pd è un partito ferito dai 100 voti mancati». In Transatlantico promette di non partecipare al voto finale. E più tardi interviene apertamente alla Camera votando sì all’emendamento sulla doppia preferenza.
In segreteria parlano in dissenso anche Valentina Paris e Maino Marchi, che si dimette dalla Commissione Bilancio: «Sono a disagio. Voterò la legge elettorale ma da soldato semplice». Gianni Cuperlo parla di «una ferita», alludendo ai franchi tiratori. Il lettiano Francesco Boccia è furibondo: «Questa legge è una porcata. Nel Pd c’è un’ipocrisia gigantesca». Sono pochi, in effetti, a «metterci la faccia», come spiega la prodiana Sandra Zampa, che parla di «trappole».
Stefano Fassina, a domanda su cosa farà alla fine, fa una lunga pausa. Lo sguardo mesto: «Voterò a favore». Per lui, i franchi tiratori sulla parità di genere «sono renziani. Altra cosa quelli di ieri». Tra chi la faccia ce la mette tutta c’è Marco Meloni, che fu nella segreteria Bersani: «Non solo non voto questa legge. Ma ho già parlato con alcuni costituzionalisti. Se rimanesse così anche al Senato, sono pronto a lanciare un referendum per il ripristino delle preferenze».

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