giovedì 13 marzo 2014

CHE AVETE CONTRO I VENDITORI DI TAPPETI ?


Non sarò io a contestare a Matteo - siamo nel regno della informalità quindi si può chiamare per nome, non si offenderà...- lo stile friendly da lui adottato in occasioni ufficiali, quali le conferenze stampa in cui dà conto dell'operato del governo, presente e futuro. Non condivido quindi la critica di Dario Di Vico che sposa la tesi di un Premier "banditore" e quindi poco credibile. Sia il Vostro dire Sì quando è Sì, e NO quando è NO, è un passo evangelico che mi piace molto. Certo, governare è complicato e non è che con gli annunci si risolvano i problemi. Però trovo un bene che un Premier indichi con chiarezza il suo obiettivo. Dopodiché vedremo se l'avrà realizzato. Il politichese, i linguaggi criptici, in codice, per "esperti", spesso hanno proprio l'intento di fare nebbia, ed evitare un domani che si possa contestare a chi li ha fatti contraddizioni e , peggio, fallimenti. 
Questo sistema di parlare fumoso, ambiguo, cercavano di usarlo gli aruspici a cui nell'antichità ci si rivolgeva chiedendo il futuro.  Berlusconi è stato il primo a rivoluzionare questo sistema, nei salotti bene è stato criticato ed irriso per questo, poi lui vinceva le elezioni e i dotti a bocca aperta a prendersela con gli scellerati italiani che votavono un venditore di tappeti. Ecco, adesso ce ne sono altri due di venditori, Grillo e Renzi. E infatti godono entrambi di vasta popolarità così come di critiche feroci. Però la prima è superiore alle seconde, perché alla maggior parte della gente piace chi parla chiaro, in modo che si capisca.
E gli piacciono anche i provvedimenti popolari, come la cancellazione dell'ICI sulla prima casa, che fece Berlusconi, la social card, la pensione sociale minima portata a circa 500 euro, e oggi il cadeaux di 1000 euro sulle buste paga medio basse. Il problema, come scriveva Ricolfi qualche giorno fa, è che questo regalo forse finisce nelle tasche sbagliate, visto che va ad aiutare persone che hanno sì redditi non alti, però hanno un lavoro SICURO, e quindi un'entrata certa. In altri paesi, gli stessi facenti parte del mortificante acronimo PIIGS, ai soggetti che godevano di un lavoro garantito le buste paga sono state TAGLIATE, per diminuire la spesa pubblica. Pare che i loro conti siano oggi migliori dei nostri, specie alla voce crescita.Pensiamo (speriamo) che Renzi non abbia voluto aiutare il suo elettorato, fatto soprattutto di dipendenti pubblici, che il suo intento è mettere 10 miliardi di liquidità nelle tasche di persone che si spera per lo più li spendano, aiutando così anche le imprese, piccole e no. Però non dicesse che ha aiutato i più bisognosi, che non è vero. Chi ha un reddito di 1500 euro non se la passa bene (se sono in due in famiglia a portatrlo, ovviamente cambia), ma chi non ha nemmeno quello, che magari un mese lavora e due no, uno guadagna 2000 e l'altro 200, sta sicuramente peggio.
Ha ragione da vendere Dario Di Vico quando invece sottolinea come, mentre ancora non si è ben capito da dove verranno questi 10 miliardi (voci diverse, ma al momento certezze nessuna), è sicuro che la tassazione delle rendite aumenterà e non di poco : 6%.  Sappiamo la litania : in Italia siamo sotto la media europea. Giacalone ha obiettato che questa cosa non è poi così vera, che ci sono parecchi paesi nel continente ( Irlanda, Gran Bretagna tanto per citarne due) che per attrarre capitali tengono bassa la tassazione per imprese e capitali, e poi il discorso, posto così, è fuorviante, perché è la somma che fa il totale e noi avremo pure avuto (ormai vale parlare al passato) una tassazione finanziaria più bassa, ma la pressione globale è la più alta in assoluto (ormai abbiamo raggiunto i mitici paesi scandinavi che ben altri servizi restituiscono a fronte di simili salassi).  Stavolta, sembrerebbe, un aumento di tasse andrà a ridurne di altre, spostando i pesi. Non credo sia la ricetta giusta, però, se veramente fosse così, almeno le nuove tasse non andrebbero a finanziare nuova spesa. Già qualcosina. Certo, cosa strana, le uniche cifre certo vengono sempre da lì, dalle tasse, mentre quando si parla di risparmi sui costi la nebbia, anche con il simpativo venditore, torna a farsi fitta...
Ah, anche DI Vico sente puzza di patrimoniale...

P.S.  Gli amici renziani mi perdoneranno, ma Matteo offre l'occasione di togliersi troppi sassolini dalle scarpe a coloro che per 20 anni si sono sorbite le irrisioni e le battute da due soldi sull'approccio informale, fino all'imbarazzo istituzionale, di Berlusconi. Ecco, oggi ce l'hanno loro un Premier molto disinvolto, per tanti, troppo. Io non mi iscrivo a questi ultimi, che, come ho spiegato, preferisco chi parla semplice e diretto. Poi, certo, sono i fatti quelli che contano, che fanno la differenza ( e per quelli aspettiamo). Ma all'epoca la derisione riguardava pregiudizialmente il metodo. E allora chiedo a questi amici, anche cari : che fate, non ridete più ?


Annunci e Realtà
 
Dire che le conferenze stampa alla Renzi sono ispirate alla più completa irritualità è diventato in poco tempo un eufemismo. Il neopremier ieri ha illustrato le scelte e i provvedimenti votati poco prima in Consiglio dei ministri alla stregua di un banditore e francamente il metodo non aiuta. Specie quando sono in gioco misure complesse, quando si tratta di valutare i delicati equilibri di finanza pubblica o solo individuare il perimetro delle novità normative, una più pacata trasmissione delle informazioni giova. Sicuramente al lavoro dei media (compresi quelli stranieri) ma ancor di più a quella trasparenza del rapporto tra politica e cittadini che rientra tra gli intendimenti prioritari di Matteo Renzi.
Ieri quest’obiettivo non è stato centrato perché alla fine dello show sappiamo i titoli dei provvedimenti che il premier ha fatto approvare, conosciamo l’indirizzo di alcuni di essi ma ci è rimasta la sensazione di non aver del tutto chiara la relazione che intercorre tra le decisioni di spesa adottate (e scandite) e le coperture di bilancio. Al punto che dovremo giocoforza aspettare il Def (il Documento economico-finanziario) per poter usufruire di elementi più certi di valutazione. Come riuscirà, ad esempio, il bisturi della spending review nel 2014 a raddoppiare i risparmi dai 3 miliardi previsti finora da Carlo Cottarelli ai 7 promessi ieri da Renzi? E ha senso adottare come riferimento per il rimborso dei debiti della pubblica amministrazione una stima di Bankitalia (90 miliardi) contestata ancora pochi giorni fa dal ministro del Tesoro uscente, che ha parlato di un pregresso limitato a 50 miliardi?
I dubbi, dunque, ci sono e abbracciano sia metodo che merito ma non per questo annullano il valore di singole scelte operate ieri dal governo. Al di là delle stime quantitative è giusto sbloccare i pagamenti dello Stato e degli enti locali alle imprese, è più che sensato semplificare la via crucis dell’apprendistato, hanno una loro ratio provvedimenti-ossigeno come quelli destinati a mettere in sicurezza le scuole, è utile venire incontro alle imprese tagliando i costi dell’energia, dell’Irap e dell’Inail ma soprattutto va apprezzata l’idea di ridurre le tasse ai redditi fino a 25 mila euro con la speranza che la mossa generi un rilancio dei consumi. E ha fatto bene Renzi anche a individuare per il suo jobs act lo strumento della legge delega invece che riscrivere di botto e per l’ennesima volta le regole del mercato del lavoro.
Restano tutte in campo, invece, le perplessità per l’aumento della tassazione delle rendite finanziarie. Nessuno nella condizione in cui versa il nostro Paese ha voglia di vestire i panni di Cassandra ma intravediamo il pericolo che in mezzo a tante coperture aleatorie alla fine la contropartita più corposa e certa passi ancora una volta attraverso l’incremento delle entrate fiscali. E temiamo che ciò possa rivelarsi alla fine un indigesto antipasto della patrimoniale
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