A leggere, la dr.ssa Giorgi. Gip di Savona, sembra meglio della collega Todisco, la nemica dei Riva e dell'Ilva di Taranto. Anche lei ha adottato un provvedimento cautelare in seguito al quale la centrale di energia (carbone) della Tirrena Power di Vado Ligure è stata, al momento, parzialmente chiusa.
Anche qui gli operai e i lavoratori penalizzati dal provvedimento, oltre 500, sono fortemente ostili al magistrato, reo di non comprendere che il lavoro è un valore PRESENTE e CERTO, mentre la SALUTE è problema futuro (magari prossimo, ma NON OGGI ) ed eventuale (mica si ammalano tutti, è il ragionamento, duro da mandare giù, ma reale ). Il Giudice, descritta dall'approccio aperto, dialogante - altra cosa della Todisco, militante...- spiega con calma che per lei non è così, che tra i due valori quello alla salute resta primario. Ma ciò posto, dice anche che non è una talebana, contro le imprese e l'industria. Ha indicato delle cose da fare che, a sua detta, sono realizzabili in poco tempo, addirittura pochi giorni, e se l'impresa provvederà ad adeguarsi (come promesso e mai fatto, secondo il Giudice, da molto tempo in qua ) si sarà adeguata lei non ha proprio nessun problema a dissequestrare gli impianti.
Da quello che ho capito, l'azienda conta di ottenere lo stesso risultato rvolgendosi al Tribunale del Riesame.
A Taranto, gli schiaffoni presi dalla procura e dalla Todisco da parte della Cassazione e anche della Consulta non si contano più ( leggere per credere : http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/01/la-corte-di-cassazione-abnorme-il.html ), il clima e pessimo e non dipende solo dalle immissioni degli stabilimenti.
A Savona questo giudice sembra più ragionevole, però ha a che fare con un nemico che ha un fuoco mediatico più potente dei Riva : De Benedetti and Son...
Vedremo.
Il servizio è del Corriere della Sera,
«La salute conta più del lavoro
Perciò
ho chiuso la centrale »
La giudice Giorgi e i sigilli. Gli operai: abbiamo figli
SAVONA — Fra pane e salute, grande dilemma dell’industria contemporanea, sceglie la seconda: «Il diritto ad un ambiente salubre prevale sul diritto al lavoro e su quello d’impresa, che comunque vanno tutelati». È soprattutto per questa ragione che Fiorenza Giorgi, eclettico giudice del tribunale di Savona, ha deciso il sequestro e il blocco degli impianti a carbone della Tirreno Power di Vado Ligure, creando naturalmente un problema occupazionale: circa 500 addetti fra dipendenti diretti (250) e indiretti che di colpo vedono stagliarsi sul loro futuro una prospettiva grigia come il cielo sopra le ciminiere. Lei, magistrato di lungo corso, appassionata d’arte e scrittrice di gialli «dopo le undici di sera» — tiene a precisare —, è persona serena, gioviale e dialogante. «E pure sommersa di lavoro, guardi qua come sono stata costretta a lavorare sulla Tirreno Power, seguendo altre decine di cause…».
Siamo nel suo ufficio al quinto piano del Palazzaccio ligure. Ci sono decine di faldoni, fra cui quelli che scottano, e c’è una grande vetrata dalla quale si vedono il mare e una collina, oltre la quale si sta consumando il dramma dei cinquecento. I quali, se potessero, la strangolerebbero. «Ho due figli e questa mi lascia a casa», si scalda un dipendente appena fuori dai cancelli di Vado. «Venga a casa mia a parlare con mia moglie», alza la voce un altro. «Qui, a impianti chiusi, bastano 80 persone, e gli altri 170? Disoccupati?», domandano i sindacati. Insomma, laggiù, dicono che ha esagerato con i sigilli. Perché una scelta così dirompente? «Sia chiaro che non voglio fare crociate ma solo affermare delle regole di condotta che sono state troppo a lungo ignorate. Capisco l’emotività, le ragioni dei lavoratori e quelle dell’azienda. Ma un giudice deve fare anche i conti con la salvaguardia di un diritto fondamentale come quello alla salute. Non si può dire: io preferisco mangiare e rischiare». Nel frattempo la Tirreno Power, dove sono indagati in cinque per disastro ambientale e sanitario e per violazioni varie, preannuncia il ricorso al Tribunale del Riesame per il dissequestro degli impianti e mentre lo fa sforna cifre allarmanti: dai 200 ai 400 mila euro persi per ogni giorno di chiusura, mentre Sorgenia (società controllata dalla famiglia De Benedetti e che ha il 50% di Tirreno Power attraverso Energia Italia) sta trattando con le banche la pesante situazione debitoria. «Dunque — sospira il magistrato — Io non voglio che gli impianti rimangano chiusi, non sono una persecutrice di aziende. Anzi, spero che Tirreno Power provveda al più presto all’installazione di un sistema di controllo delle emissioni (Sme) adeguato. Devono mettere la centralina in cima al camino e non alla base come hanno fatto fino a ieri. Poi io nominerò un tecnico che dovrà accertare quotidianamente il mantenimento delle emissioni sotto i limiti previsti dall’Aia e, se così fosse, nel giro di qualche giorno farò il dissequestro gli impianti». Il fatto è che, dal suo punto di vista, l’azienda non ha mai voluto davvero provvedere in questo senso. Avevano anche detto che avrebbero costruito un altro impianto a carbone, demolendo poi gli altri due. Ma non l’hanno mai cominciato. È stato il classico specchietto per le allodole». Nel capo d’imputazione del procuratore di Savona, Francantonio Granero, si fa l’elenco delle inadempienze: non provvedevano a installare il misuratore di portata sul camino, non rispettavano il cronoprogramma dell’Aia sull’inizio dei lavori di costruzione del nuovo impianto, utilizzavano olio con contenuto di zolfo superiore allo 0,3%, in violazione di quanto prescritto dall’Aia.
Alla Tirreno Power scuotono la testa: «Abbiamo la certezza di aver rispettato le prescrizioni. In ogni caso cercheremo ogni strada per far ripartire al più presto gli impianti perché dobbiamo difendere l’impresa e l’occupazione».
Il giudice Giorgi ascolta e osserva le colline di Savona: «È stato un lento, progressivo disastro ambientale, non uno tsunami ma un’acqua alta della quale non t’accorgi quando sale e quanto devasti. Questo è un deserto lichenico».
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