venerdì 7 marzo 2014

E GLI AVVOCATI CHIEDONO IL FALLIMENTO DEL TRIBUNALE DI VICENZA


Oggi nel mirino del Corriere della Sera ci sono i tribunali e la loro ammissione di impotenza. Abbiamo riportato l'articolo di Bianconi che commentava la notizia che il Tribunale penale di Roma ha comunicato che per quest'anno non sarà possibile prendere in carico più di 12.000 procedimenti. Scelti come ? E gli altri ? Potete leggere qui  : http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/03/il-numero-chiuso-dalle-universita-ai.html
Gian Antonio Stella dedica invece spazio all'iniziativa, in realtà una "denuncia provocazione", degli avvocati di Vicenza che di fronte alla sostanziale paralisi del loro Tribunale, depositano istanza di fallimento per palese stato di "insolvenza". Carente di giudici e personale, ingolfato di cause, il Tribunale in questione (rappresentativo della più diffusa realtà nazionale) non riesce letteralmente più a dare ancorché una minima risposta alla domanda di giustizia.
Nel lasciarvi alla lettura, ricordo una cosa. NON è che in Italia per la giustizia si spenda poco, e soprattutto non è vero che i giudici siano pochi . Siamo assolutamente nelle medie, sia per numero di toghe magistratuali che per spesa, dei paesi europei a cui normalmente facciamo riferimento : Germania, Francia, GB... Il problema è sempre il solito : spendiamo MALE, con una sistema organizzativo che nell'era digitale viaggia ancora con le carrozze , e non riesce a distribuire in modo razionale le risorse umane, con uffici sotto organico e altri con personale in esubero, e molti magistrati distaccati altrove rispetto alle aule di udienza. 
Poi certo, c'è il problema enorme di una valanga di procedimenti, che gli italiani sembrano diventati litigiosissimi (civile) e delinquenti (penale). C'entrerà la crisi, la maggiore complicazione della società, i troppo avvocati che incoraggiano il contenzioso ? Probabilmente ognuna di questi elementi dà un suo contributo.
Resta che i processi sono troppi, e la macchina giudiziaria, che già rantolava, adesso sta proprio esalando l'ultimo respiro. 
Ecco l'articolo annunciato




Un tribunale può anche fallire? Gli avvocati di Vicenza ci provano
di GIAN ANTONIO STELLA
SEGUE DALLA PRIMA La fissazione delle udienze al Tribunale di Vicenza somiglia ormai alla vecchia barzelletta sovietica sui tempi biblici della burocrazia. E così l’Ordine degli avvocati, appoggiato da un po’ tutte le associazioni di categoria, ha deciso di fare un passo mai visto. Questa mattina presenta infatti al Tribunale berico un’istanza di fallimento del Tribunale stesso. Per insolvenza.
Che la situazione della giustizia vicentina sia pesante è noto. Non tanto per la penetrazione nella società della mafia, della camorra e della ‘ndrangheta, che pure hanno infettato pezzi del mondo della produzione e del commercio. Né per la violenza in generale, contenuta entro limiti accettabili rispetto ad altre parti d’Italia. Il punto è che, come dicono tutte le analisi, una giustizia semiparalizzata causa danni gravissimi all’economia.
Per capirci, verreste dall’estero a investire in terra berica sapendo che un’azienda artigiana che doveva avere dei soldi da un debitore insolvente ottenne dal tribunale (dopo una denuncia, un’istruttoria e una sentenza) un’ingiunzione di pagamento nel lontano 2005 ma, a causa di una litania di ricorsi del debitore e una via crucis di rinvii, il processo andrà a chiudersi (auguri) il 3 febbraio 2017 e cioè 12 anni dopo l’ordine al debitore di pagare? Rischiereste i vostri soldi lì?
Dicono i numeri che i magistrati di Vicenza, che già sarebbero pochi a pieno organico (36, più 18 onorari) sono scesi a 21. Con un carico ciascuno di 1300 fascicoli pendenti. Oltre il doppio, secondo gli avvocati, di quelli che gravano mediamente sugli altri giudici della penisola. Per non dire dei vuoti mai colmati tra il personale amministrativo. Per dare un’idea: in questa provincia che si vanta di avere la quarta associazione confindustriale d’Italia, un reddito pro capite che nel capoluogo passa i 26 mila euro, depositi bancari che sfiorano i 60 mila euro a famiglia, c’è un magistrato ogni 3.142 imprese, uno ogni 714 milioni di euro di export, poco più di uno ogni 2 miliardi (per l’esattezza 1.809 milioni) di fatturato industriale. A farla corta: il pianeta economico vicentino è così vasto e complesso da imporre una giustizia molto più efficiente.
Mettetevi al posto di Jean Pierre, un operaio d’origine francese licenziato nel 2011: difficile trovare un posto, a 54 anni. Conoscere il proprio destino (ha ragione lui o ha ragione il suo ex datore di lavoro?) è una questione di vita o di morte. Bene: depositato il ricorso nel novembre 2011, la prima udienza fissata nel luglio 2012 è stata rinviata al gennaio 2014 ma, arrivata finalmente la data agognata, non c’era più il giudice, trasferito alla fine del 2013 a Roma. Dunque? Tutto rinviato di nuovo. A data non ancora stabilita: «e non si tratta di un caso limite. Anzi».
Come può reggere un sistema così? Ed ecco che Fabio Mantovani, il presidente dell’Ordine degli avvocati vicentini, con l’appoggio di Confindustria, Apindustria, Confartigianato, Confcommercio, Cgil, Cisl, Uil e altri ordini professionali («i magistrati, per evitare ovvie conseguenze di natura disciplinare non possono aderire formalmente altrimenti lo farebbero»), ha deciso, come dicevamo, di presentare oggi un’istanza di fallimento.
Il documento, firmato anche da Claudio Mondin e Paolo Dal Soglio, accusa il Tribunale di essere «largamente venuto meno» all’adempimento «di gran parte degli obblighi istituzionali dei quali è portatore». Denuncia «intollerabili ritardi nella definizione dei procedimenti pendenti, con rinvii di udienza che, nelle cause civili ordinarie, giungono persino a cinque anni, specialmente per le udienze di precisazione delle conclusioni». Lamenta che «le condizioni di obiettivo e generalmente noto dissesto si sono andate progressivamente aggravando nel tempo, nonostante l’impegno dei magistrati e del personale amministrativo, il cui numero è peraltro andato gravemente diminuendo».
Sotto accusa, insomma, non sono i giudici locali «insostenibilmente congestionati» e impossibilitati a reggere carichi di lavoro impossibili ma quanti, a dispetto di tutte le proteste e tutte le pubbliche denunce cominciate nel lontano aprile del 2001, hanno abbandonato tutto in uno «stato di grave insolvenza».
Conclusione: «Poiché dai fatti menzionati si evidenzia l’assoluta incapacità da parte dell’Amministrazione della Giustizia di adempiere ai fondamentali obblighi propri di una istituzione tenuta a erogare il bene fondamentale della giurisdizione», gli avvocati «fanno istanza affinché il Tribunale (...) dichiari lo stato di insolvenza del Tribunale di Vicenza».
Una provocazione? Certo. Difficile che una corte condanni per insolvenza se stessa. Ma non è anche risolvendo questi problemi che passa il rilancio dell’economia?

4 commenti:

  1. VALERIO GIULIANO

    d'accordo per tutte le concause che contribuiscono al risultato finale, ma sono i magistrati quelli che alla "Schettino" abbandonano sempre per primi la barca che fa acqua parcheggiandosi in altri incarichi, o scrivendo libri, andando ai convegni, dimenticandosi di scrivere le motivazioni delle loro sentenze ecc.

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  2. e se fosse invece la legge 'penale' che crea un ingorgo ????
    Forse è amche il caso di rivedere i gradi di giudizio e diminuirli a due...
    Infine una domanda: perchè nella maggior parte dei casi di ricorso, l'eventuale conferma della condanna comporta quasi sempre una riduzione della pena??? Che i giudici di primo grado siano 'stupidi' o quelli di cassazione di manica troppo larga ????

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    1. La prima affermazione non sono certo di averla capita. Nell'articolo, il "panpenalismo", e quindi l'ipertrofia dell'attribuzione di fattispecie penalistiche alla vita sociale veniva formulata, ancorché riferita soprattutto ai cittadini. Ma i magistrati, specie i pubblici ministeri, non ne sono esenti. Ma forse lei non si riferisce a questo. Quanto ai gradi di giudizio, bisogna mettersi d'accordo. Applicando il principio anglosassone, la regola diventerebbe il ne bis in idem, per cui un imputato assolto in primo grado non potrebbe mai essere processato in secondo. In Italia ci provò l'avv. Pecorella a introdurre questo principio ma la Corte Costituzionale lo bocciò. Quanto al fatto che i giudici di merito siano più severi di quelli della CAssazione, non ho dati statistici per confermare tale assunto. Travaglio chiama la corte d'appello "scontificio" e se ne è valso in almeno una circostanza. Ammettendo vera la sua ipotesi, forse una spiegazione può essere trovata che per età e per distanza temporale dal fatto oggetto di reato, i giudici della Cassazione sono più "freddi" e quindi portati a esaminare i processi con più distacco. Peraltro, la CAssazione NON commina pene, conferma, o cassa, le sentenze d'appello. Nel secondo caso, se le boccia, pe rlo più rimette ad ALTRA corte d'appello il processo, perché lo ripeta. Ma non è Piazza Cavour a fare sconti.

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  3. Leggendo il commento di Hamlet - il quale si domanda se sia la legge penale a creare ogni ingorgo - devo dire che l'interrogativo posto lascia molto riflettere, anche sui costi e sui risultati. Il pensiero corre immediatamente alla riforma del 1989 che ha sostanzialmente ingigantito gli apparati, addirittura creandone di nuovi, con costi elevatissimi, tuttavia sempre con insoddisfacenti risultati ... Chi paga? Sarà forse questa la ragione dei continui aumenti esponenziali per il contributo unificato e le marche necessarie all'iscrizione a ruolo delle cause civili? Se in un contenitore si versa liquido ed in altro, al primo collegato, si preleva lo stesso liquido, nessuno dei due contenitori sarà mai pieno... Credo che sino ad oggi nessuno si sia preoccupato di verificare separatamente quanto costi in Italia amministrare la giustizia penale (in essa inclusa la fase delle indagini) e quanto invece costi amministrare la giustizia civile, a prescindere dal fatto che è solo quest'ultima (con i contributi unificati, le marche, le tasse di registrazione delle sentenze e quanto altro) a rimpinguare le casse dello Stato che, invece, dovrebbe rendere un ai cittadini un servizio pressoché gratuito..

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