mercoledì 5 marzo 2014

GENTILE SI E' DIMESSO. ASPETTIAMO I MAGNIFICI QUATTRO DEL PD

 
In politica la regola è lo strabismo, meglio conosciuto come doppio pesismo. Lo si vede sempre e specialmente nelle questioni di giustizia, per cui si è garantisti quando ad essere indagati, posti sotto inchiesta, sono gli "amici", e viceversa, se l'avviso di garanzia viene notificato agli "altri", il passo indietro è reclamato ancor più che richiesto. Non si fa bella figura nell'applicare questa regola, però, con un po' di fortuna, tra un salto della quaglia e l'altro, magari passa un pochino di tempo e si confida nella poca memoria della gente, e più agevolmente si operano i distinguo : "quella era una situazione del tutto diversa" e via così.
Stavolta ai democratici dice male, che le dimissioni di Gentile, in quota NCD, perché "impresentabile", sono state pretese, e ottenute,  con un pressing asfissiante  dai custodi dell'etica piddina appena ieri, e si prova un certo imbarazzo con quattro dei loro, indagati, e nonostante questo assurti a poltrone governative. Peraltro, non risulta che Alfano abbia detto a Renzino "va bene, però allora anche i tuoi...", che tanto da quelle parti basta il fuoco amico.
L'articolo che segue lo narra molto bene, con Bindi e Civati ad esprimere tutto il loro disagio, e altro, per la situazione creatasi.
Non lo cito più per nome, però rammento che un mio amico e collega ebbe uno scontro politico vivace in ordine a questo problema : quale deve essere la condotta dei singoli e del partito di fronte ad una inchiesta penale. Sospensione sempre e comunque ? Passo indietro ? Dimissioni ? "Non facciamoci dettare la lista elettorale dai magistrati" tuonò il "nostro". Non venne ascoltato, ma francamente secondo me diceva la cosa giusta. La presunzione d'innocenza deve essere la golden rule, tanto più per chi fa politica e potrebbe troppo facilmente essere azzoppato da denunce farlocche, con PM troppo compiacenti. Così quando a mettersi in moto sono campagne di stampa, le cosiddette "macchine del fango".
Però è una regola che deve valere SEMPRE. Se no mica vale...
Si dirà che mettere la mordacchia alla libertà di stampa è più grave dell'accusa - da provare - di essersi messi in tasca qualche soldo.
Possiamo essere d'accordo, ma il punto non è questo, a mio avviso. SE, e ripeto SE, questi deputati venissero riconosciuti colpevoli, al governo non ci potrebbero stare comunque no ? Anche se il loro "peccato" non è di grande momento. Quindi la ragione per cui possono restare ai loro posti è che NON si sa se sono colpevoli. E quindi, finché non si sa, sono INNOCENTI.
Ecco, chiudete gli occhi, non guardate il colore della maglie, e applicatelo a tutti. 
 


Da Bindi a Civati, cresce l’imbarazzo tra i democratici
 

ROMA — «Mi sono rotto le scatole di questa storia! È una non notizia, una cosa di diciotto maledetti mesi fa. Un avviso è un avviso, punto. Se invece per voi un avviso di garanzia è una anticipata sentenza di condanna... Ma chi lo decide, i Cinquestelle? I giornali? È una situazione aberrante». Il tono è pacato, ma l’umore di Umberto Del Basso De Caro è nero come la pece. Il senatore del Pd non ne può più di ripetere che non lascerà la poltrona di sottosegretario alle Infrastrutture per l’inchiesta sui fondi regionali campani. Perché mai dovrebbe mollare, visto che nessuno glielo ha chiesto? «Renzi non mi ha chiamato e dal partito non si è fatto sentire nessuno...».
Il caso degli esponenti del Pd approdati al governo a dispetto di qualche grana con la giustizia agita l’albero dei democratici, ma all’apparenza è solo un stormir di foglie. E il motivo sta tutto nel ragionamento di un deputato della minoranza: «Con tutti i casini che abbiamo ci mettiamo a spararci addosso? Non possiamo fare la caccia alle streghe in casa nostra». No, la caccia alle streghe non c’è. E però le dimissioni di Antonio Gentile — il senatore del Nuovo centrodestra che ha lasciato la seggiola alle Infrastrutture, pur essendo l’unico non indagato tra i cosiddetti impresentabili — hanno aperto una breccia in Parlamento.
Nel Pd si parla sottovoce di «doppia morale». Molti si chiedono perché Francesca Barracciu, accusata di peculato nell’inchiesta sui rimborsi spese ai consiglieri regionali, abbia dovuto lasciare la corsa alla presidenza della Sardegna e però possa sedere al governo. E che dire di Filippo Bubbico e Vito De Filippo? Tra legge elettorale ed emergenze economiche Matteo Renzi ritiene di avere altre priorità e nel suo staff c’è la sensazione diffusa che il problema dei fondi ai gruppi consiliari sia «una questione minima».
Gianni Cuperlo difende i quattro indagati e sfida Grillo: «È paragonabile ciò che ha fatto Bubbico con quello che ha fatto Gentile?». Ma intanto il malessere cresce. Rosy Bindi chiede di aprire «una riflessione» e rimprovera al premier-segretario di aver usato «due pesi e due misure». Per la ex presidente del Pd il caso «meno limpido» è quello dell’eurodeputata sarda, che dovrà spiegare come ha usato 33 mila euro di soldi pubblici. «Non mi piace l’idea che possa esserci una vetrina e un retrobottega» attacca la presidente dell’Antimafia e spiega che, nella sua metafora, la vetrina è la campagna elettorale per la Sardegna e il retrobottega è il governo del Paese. Ma Barracciu ha detto al Corriere che il Pd «è un partito garantista, il codice etico non esclude che ci si possa candidare in caso di avviso di garanzia»... E due, pure Barracciu quindi non molla. La Bindi però non ha finito e critica anche il sottosegretario Del Basso De Caro, il quale secondo Repubblica non intende lasciare il governo per 500 euro al mese. «Per quasi cinque milioni di italiani quella cifra equivale all’assegno di pensione» lo sferza Bindi e consiglia agli indagati «un po’ più di attenzione alle giustificazioni che accampano». E qui bisogna ascoltare la replica di Del Basso De Caro, l’avvocato che a suo tempo difese Bettino Craxi: «Forse non mi sono spiegato bene, non sono così stupido. I consiglieri regionali indagati sono 53 su 60 e se ci avessero detto che dovevamo rendicontare quei soldi lo avremmo fatto. Che problema c’era a rendicontare 500 euro al mese per le spese del collegio elettorale?».
Eppure, persino i garantisti tradiscono un certo imbarazzo. Ecco Gero Grassi, area ex popolare: «In linea generale è sempre preferibile che l’indagato faccia un passo indietro, ma la decisione è frutto della sensibilità personale». E Pippo Civati: «Renzi ci deve una spiegazione, sta a lui metterci la faccia».
Filippo Bubbico non farà alcun passo indietro. E tre. Il senatore che fece parte della squadra dei «saggi» del Quirinale spiega serafico di essere stato rinviato a giudizio a Potenza per concorso in abuso di atti d’ufficio: da presidente della Basilicata spese 23.869 euro per una consulenza esterna. Un decennio dopo, lo rifarebbe? «Si, era la persona giusta per quell’incarico — risponde orgoglioso — Se decideranno che è un reato mi prenderò la pena, ma dovranno spiegarmi il motivo. C’è sempre un giudice a Berlino». Non lascia, dunque? Bubbico ride: «E per quale motivo? Sono assolutamente tranquillo». Tranquillo come mai prima è anche Vito De Filippo, sottosegretario alla Salute. Deve rispondere di peculato per aver acquistato 2300 euro di francobolli, parte dei quali non risultano rendicontati, quando era «governatore» della Basilicata. «È una vicenda che si commenta da sé, nelle sue dimensioni e nella sua dinamica — sorride amaro l’unico lettiano del governo Renzi — Ma davvero pensate che un presidente della Regione si vada a comprare i francobolli da solo?».

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