giovedì 27 marzo 2014

IN APPELLO L'ACCUSA A SORPRESA : "ASSOLVETE DOLCE & GABBANA"

 
Mi ha dato enorme soddisfazione che il Sostituto Procuratore Generale di Milano, Gaetano Santamaria Amato, abbia a gran voce chiesto l'assoluzione di Dolce e Gabbana.  perché "il fatto non sussiste".
Il Camerlengo si era decisamente dedicato alla vicenda  ( http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2013/06/tra-i-condannati-dolce-e-gabbana-e-la.htmlhttp://ultimocamerlengo.blogspot.com/2013/07/chiuso-per-indignazione-bravi-dolce-e.html ; http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2013/07/il-documento-di-d-contro-la.htmlhttp://ultimocamerlengo.blogspot.com/2013/07/dolce-e-gabbana-intervistati-ma-chi.html ) che aveva visto alternarsi i pronunciamenti dei giudici, con un proscioglimento iniziale, poi il nuovo processo disposto dalla Cassazione, la condanna in primo grado, ora l'appello con questa spettacolare e sorprendente "arringa" difensiva da parte di chi normalmente veste i panni dell'accusa.
Però il nostro ordinamento lo prevede : se l' ufficio del Pubblico Ministero si convince, dalle emergenze processuali, che chi è imputanto è innocente, DEVE chiedere l'assoluzione, che il suo compito NON è ottenere una condanna a tutti i costi ma, possibilmente, contribuire a far rispettare la legge. 
Non accade di sovente, però succede. Curiosamente il cronista, l'ineffabile Luigi Ferrarella del Corriere, ci tiene a informare che il magistrato in questione è della corrente Unicost...
Nel mondo pazzo dell'associaizone dei magistrati, è la corrente "moderata", contrapposta ai giacobini di magistratura democratica. Non so se sia già accaduto, ma sarebbe bellissimo che tutti i processati s'informino dai loro avvocati sulla tessera politica - sindacale dei giudici e inizino a ricusarli solo per quella !
Casi isolati sarebbero rigettati ovviamente, ma se divenissero migliaia ??
Tornando ai due stilisti, accade che a smontare la sentenza di condanna, e con foga, sia il Pubblico Ministero, osservando che non è nel potere del giudice sostituirsi all'imprenditore nelle sue scelte aziendali, che i magistrati hanno iniziato a soffrire di tuttologia, cosa buona, in quanto innocua, a cena o in salotto, non in un'aula di Giustizia. 
Nel primo round, quello poi annullato dalla Cassazione, dove il giudice aveva negato il rinvio a giudizio, si erano sentiti concetti analoghi, e all' Agenzia delle Entrate era stato ricordato il suo ruolo di PARTE, che quindi le sue tesi non potevano essere assunte come verità assodate solo perché provenienti da un ufficio pubblico. 
Nella sua "non" requisitoria, il PM dell'appello ha toccato un altro tasto dolente, vale a dire il danno enorme al "marchio" D&G per l'accusa di evasione fiscale, con iniziative becere di qualche assessore milanese della giunta Pisapia, che proponeva l' "oscuramento" cittadino dell'azienda dei due incalliti "evasori", negando alla stessa spazi pubblicitari nelle zone "rappresentative" di Milano.
In caso di assoluzione, chi pagherà tutto questo ? Befera ? Pisapia ? il suo ottuso assessore ?
Non è finita. Comunque si concluderà questa vicenda, una cosa resta assodata : la nostra legislazione fiscale è pazzesca, il regno dell'arbitrio e dell'ingiustizia, e il caso di Dolce e Gabbana, con magistrati diversi che dicono tutto e il contrario di tutto, sono uno spot pubblicitario alla rovescia : imprenditori di tutto il mondo, state alla larga !




«Trasferirsi in Lussemburgo libera scelta industriale
Assolvete Dolce e Gabbana»
La richiesta del sostituto procuratore generale 
 
MILANO — Demolisce con foga la condanna di Tribunale degli stilisti Domenico Dolce e Stefano Gabbana a 20 mesi per omessa dichiarazione al fine di evadere le imposte, si mette nei loro panni quando «l’invasione della GdF» gli pare «anche un colpo alla credibilità del marchio», e trova «censurabile» che il giudice di primo grado abbia ragionato da «tuttologo che pensa di poter entrare nelle scelte di gestione concreta di un gruppo mondiale»; argomenta che non di evasione si può parlare ma tutt’al più di elusione fiscale e abuso del diritto, teorizza che «l’ottimizzazione del regime impositivo è lecita» e che a favore degli imputati militano «ragioni concrete e non fantasiose, come le difese ci ricordano che sarebbe potuto essere confermato dai molti e prestigiosi testi ammessi e poi revocati».
Spettacolosa arringa. Solo che in Appello non la sta facendo uno degli avvocati, ma il rappresentante dell’accusa in Procura Generale, il sostituto pg Gaetano Santamaria Amato, presidente uscente del Csm dei giudici tributari, esponente di spicco di Unicost. Che a sorpresa, esercitando il proprio convincimento opposto a quello dei pm del pool di Francesco Greco, non sostiene la conferma della condanna degli stilisti di cui i pm Laura Pedio e Gaetano Ruta avevano ottenuto il rinvio a giudizio dopo che la Cassazione aveva annullato l’iniziale proscioglimento, ma chiede l’assoluzione «perché il fatto non sussiste». Cioè non sussiste la «esterovestizione» in Lussemburgo della Gado srl, per i pm servita solo a conseguire 130 milioni di risparmio fiscale frutto delle differenti aliquote fra Italia e Lussemburgo. Per il pg, con questa operazione gli stilisti hanno invece «pensato in grande, così come si conviene a un grande gruppo italiano che va in Lussemburgo perché il regime fiscale è capace di attrarre capitali, le amministrazioni pubbliche sono efficienti, e ci sono molti trattati che regolano la doppia imposizione». Alla GdF, che di Gado srl in Lussemburgo segnalava microlocali e assenza di dipendenti, il pg obietta che «bisogna fare un salto culturale e confrontarsi con le moderne realtà imprenditoriali: pretendiamo debbano avere strutture faraoniche? Avere sede presso una società di servizi è comune a tutte quelle società che non vogliono avere a che fare con malattie e gravidanze». Le 40 mail «che tanto hanno influenzato la GdF» vengono liquidate dal pg perché «non mi sembrano sballate, pretestuose o incoerenti le letture alternative» delle difese. «Come contribuente — dice Santamaria — posso indispettirmi e magari sono contento che la GdF accenda un faro, e allora posso anche aspettarmi l’intervento su Marchionne e Fiat quando trasferiranno la sede legale in Olanda»: ma «come operatore del diritto devo dire che la cessione dei marchi rientra nelle libere legittime scelte imprenditoriali», peraltro di «stilisti in tutt’altre faccende affacendati, che vivono nel mondo della creatività, affidandosi per il resto a competenti consulenti di fiducia». «Non è che esiste l’esimente-stilista», proverà poi sommessamente a replicare l’Avvocato dello Stato Gabriella Vanadia per l’Agenzia delle Entrate. Ma per il pg anche «il fatto che gli stilisti ci abbiano guadagnato non è una prova nel penale. Nel tributario pagheranno quello che c’è da pagare (sinora 346 milioni in Commissione tributaria di secondo grado ndr ), ma nel penale andiamoci piano:  una condanna sarebbe contraria al buon senso».

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