sabato 29 marzo 2014

OSTELLINO IMBUFALITO SULLA QUESTIONE PENSIONI E CONTRIBUTO DI SOLIDARIETA'


Leggendolo con continuità, non mi sono fatto di Piero Ostellino l'idea di un interlocutore paziente. Colto, acuto, ntelligente sì, paziente no. Credo che influisca anche un po'  l'età, che andando avanti con gli anni le convinzioni si radicano, e centinaia se non migliaia di discussioni sugli stessi temi hanno spesso portato a convinzioni molto solide. Figuriamoci poi se il "diverso parere" viene espresso in modo arrogante e maleducato, come purtroppo non infrequentemente accade, soprattutto in epoca in cui mandare mail e scrivere commenti è estremamente facile, veloce e senza costi.
Stavolta però il lettore "critico" deve avere esagerato che, dal tenore della risposta, Ostellino si mostra inferocito, con un conclusivo "andate al diavolo !".
Destinatari ? Bè il popolo dei finti progressisti, quelli che in nome di nobili parole come "solidarietà" e "uguaglianza", vogliono riproporre l'incubo del socialismo reale che speravamo battuto per sempre con la scomparsa del Paese guida : l'Unione Sovietica.
Purtroppo il nostro è un paese dove le due grandi religioni, quella cattolica e quella comunista, hanno trovato terreno fertile e hanno impedito il formarsi di una cultura liberale, dove merito e libertà sono i valori fondanti e prioritari, senza evidentemente immaginare di ignorarne altri, ma conciliandoli secondo una laica e realistica visione della società. E così ogni esproprio, comunque realizzato, viene ben visto in un'ottica ossessivamente "redistributiva" dove alla fine tutti devono avere le stesse cose.  Il marxiano " a ciascuno secondo i suoi bisogni" a prescindere dalla capacità. Noi liberali alla parola "bisogni" preferiamo "meriti".  E così, se l'AD di FS Moretti guadagna 800.000 euro l'anno, ma fa ottimamente il suo lavoro, facendo salire il fatturato di Trenitalia e riportando il Bilancio in utile, a me va benissimo. Meno bene se vedo che ai numeri economici si accompagnano importanti inefficienze, che le frecce vanno benissimo e il resto no. Ma non ho dati per entrare in questa vertenza. Resta il principio : se sei bravo, e fai guadagnare l'azienda, puoi essere tranquillamente strapagato. Il problema è quando molti super manager queste ricche remunerazioni ce le hanno "a prescindere" ! Tornando ad Ostellino, il tema caldo nel caso di specie era la contestazione di un precedente articolo nel quale l'ex direttore del Corriere aveva criticato la nuova moda dell'assalto alle pensioni, finalizzato a reperire risorse, e specificamente l'imposizione di un contributo di solidarietà ( non vi sembra un ossimoro "solidarietà obbligatoria" ? ). Obiettivamente questione delicata , specie in un paese come il nostro che in materia previdenziale ha fatto bei casini e non è facile metterci le mani, anche da un non irrilevante punto di vista giuridico. Come conciliare le nuove "linee guida" con i "diritti acquisiti" ? E allo stesso tempo, come gestire la sperequazione tra chi la pensione l'ha avuto e la gode secondo criteri vantaggiosi che la nostra generazione, per non parlare di quelle successive, non potrà nemmeno sognarsi ?
Allo stesso tempo, passare dalle baby pensioni, raggiunte dopo 15-16 anni di lavoro (!!!!) alla soglia di 67 anni mi sembra un salto grande. Senza contare che, al di fuori dei soliti posti pubblici, dove ancora nessuno ti caccia, negli altri, anche volendo, nessuno ti tiene fino a quell'età ! E quindi, cosa accade nell'intervallo di tempo tra la cessazione del lavoro, e dello stipendio, e il raggiungimento dell'età pensionabile ? Chi prende oggi la pensione ce l'ha sulla base del calcolo retributivo, e quindi con emolumenti pari  quasi all'ultima retribuzione percepita e con nessuna effettiva relazione con i contributi versati. Più corretto il sistema contributivo ma il risultato economico per il pensionato è deprimente. Ovviamente in tutto questo agisce il peso delle pensioni "sociali", elargite a coloro che non hanno maturato il diritto alla pensione ma che devono essere in qualche modo mantenuti. Aggiungiamoci che non moriamo più, e che il periodo di godimento della pensione è passato da 10-15 anni di media a 20 e oltre, più le reversibilità ed ecco che le giustissime osservazioni di principio di Ostellino, che condivido e sottoscrivo, anche perché il tema specifico era la contestazione del "contributo di solidarietà", si potrebbero andare a scontrare NON con le obiezioni beceramente comunistoidi che intuisco gli siano state fatte, quanto con la sostenibilità del sistema.
L'intemerata merita comunque di essere letta


I diritti da difendere per non essere travolti
 
Un lettore di quelli che si credono progressisti e sono (solo) parolai, commentando il «Dubbio» di sabato scorso — dove parlavo del «contributo di solidarietà», una tassa arbitrariamente imposta su certe pensioni — mi rimprovera di preoccuparmi del mio «orticello»; quando si toccano gli interessi, dice, anche lei si inalbera e difende il proprio portafogli… Eppure, il «contributo di solidarietà» è stato condannato dalla Corte costituzionale, ma subito ripristinato; l’indicizzazione delle pensioni, nel frattempo, è stata abolita — col risultato che molti pensionati perderanno progressivamente potere d’acquisto — e c’è chi definisce «d’oro», e pensa di dimezzarle, assegni di duemila euro lordi al mese, mille netti dopo le tasse, con i quali molti non ci pagano neppure l‘affitto. Diciamola, allora, tutta. Nei Paesi civili il diritto di proprietà è a fondamento di tutte le libertà e a nessuno passerebbe per la testa di prendersela con chi lo difende.
Nella fattispecie, la pensione, per chi ha regolarmente pagato i contributi, è una proprietà. Solo da noi, per la diffusa cultura pauperista — a metà (ancora) fascista e per l’altra metà catto-comunista — la proprietà è condannata e chi la difende è accusato di pensare solo a se stesso. Difendere il frutto del proprio lavoro è riprovevole — da parte di chi definisce «la più bella del mondo» la nostra Costituzione — nella Repubblica «fondata sul lavoro». Ci sarebbe di che riderne, se, per dirla con Marx, immaginata come tragedia, tale cultura non trascolorasse nel ridicolo. Ora, come chi mi segue sa, io difendo i diritti e le libertà dell’uomo qualunque che il dispotismo burocratico tiranneggia in molti modi; in primo luogo, con una pressione fiscale oltre ogni elementare ragionevolezza. Gli stipendi dei nostri lavoratori sono i più bassi d’Europa ma, per le tasse che gravano sul lavoro, i loro costi sono i più alti. Tale situazione impedisce all’Italia di crescere e la relega agli ultimi posti, non solo in Europa, ma nel mondo, nella graduatoria dei Paesi industrializzati. Ma pare che preoccuparsene sia segno di egoismo. Pare che per molti italiani sia giusto che, in nome di un’idea di solidarietà sociale francamente alla rovescia, si ignorino diritti e interessi del lavoratore e si difendano quelli della burocrazia parassitaria che quegli stessi diritti mortificano. Ma quando la gente comune, che ne è vittima, ubbidisce alle parole d’ordine di un potere tendenzialmente dispotico — per di più, da noi, propagandate da media fra i peggiori del mondo per conformismo — vuol dire che la sindrome del totalitarismo si sta già diffondendo e il Paese è preparato a esserne travolto. A difendere la gente comune sono rimasti i quattro gatti liberali fra i quali mi annovero. Ma il Paese è in balia di un pauperismo da Terzo mondo o da Paese di socialismo reale, né pare capace e desideroso di risollevarsi. Allora, sapete che vi dico ? Da cittadini a sudditi cui vi stanno riducendo e state diventando senza ribellarvi, affogate pure nel vostro sinistrismo parolaio. Io mi sono scocciato. Andate al diavolo!

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