sabato 29 marzo 2014

TRA PUTIN E OBAMA CHI VORRESTE COME ALLEATO ?


Filo occidentale dalla nascita, grato agli americani per la liberazione dall'occupazione nazista post 8 settembre ( i partigiani avranno anche avuto la loro parte, ma se aspettavamo loro, stavamo ancora a parlare tedesco sopra la linea gotica) e per il piano Marshall, prima di Berlinguer ben contento di stare sotto l'ombrello Nato, tra i festanti il giorno della caduta del muro di Berlino e poi della dissoluzione dell'Unione Sovietica, non posso essere sospettato di filo putinismo. Però confrontando i due leader mondiali, Obama e Putin, ritengo che il primo si sia rivelato un bluff e abbia deluso anche gli entusiasti (noi NON fra loro) alla sua prima elezione, che vedevano arrivato alla Casa Bianca una sorta di mix tra Kennedy e Martin Luther King. Fascinazione che riguardò il mondo, se arrivarono a dargli "sulla fiducia" il Nobel per la Pace (che aveva fatto mai per meritarlo ?? Era stato eletto da un anno !!).  Lo scarso appeal del candidato repubblicano e la paura degli americani per la crisi ancora non superata, col conseguente pensiero che un presidente assistenzialista fosse da preferire ad uno più liberista, gli sono valsi la rielezione, che altrimenti non sarebbe venuta.  Se all'interno Obama può dire che il suo governo ha portato gli USA fuori dall'occhio del ciclone della tempeste economica - sommergendo il paese di dollari stampati, elevando ulteriormente il già enorme debito pubblico, sfiorando ogni anno il fiscal cliff ma anche riportando la borsa ai livelli pre Lehman Brother's e a riassorbire la disoccupazione...-  ancorché le ricette usate lascino molti dubbi sulla futura salute del paziente. Ma nella politica estera il bilancio è pessimo. A parte essere riuscito a individuare e uccidere Osama Bin Laden - cosa buona e giusta, e pazienza se ci sono voluti lustri, l'importante è che un nemico non possa mai sentirsi al sicuro, a dispetto degli anni in cui l'ha fatta franca - non mi pare ci siano successi nella politica estera obamiana. Senza entrare nel dettaglio dei vari scenari  - Siria, Libia, Egitto, Iran, conflitto palestinese, ora l'Ucraina - la sensazione che si ha è di un'America avvertita come debole, indecisa, e quindi anche poco affidabile come alleato.
Dall'altra parte Putin invece si mostra come modello esattamente opposto. Si potrà osservare che è più facile guidare un popolo come quello russo, ben poco avvezzo ai riti - e anche alle pastoie - della democrazia, rispetto a quello americano, però l'analisi che di seguito potete leggere di Maurizio Molinari, de La Stampa, è lucida ed acuta : alla fine della fiera, i governanti del mondo guardano con più rispetto a Putin che ad Obama, si "fidano" di più, se non altro perché il russo mostra di sapere quello che vuole ed è determinato a perseguirlo. Assad è un alleato poco presentabile, con una guerra civile di tre anni, 130.000 morti, milioni di profughi ? Putin se ne frega e non lo molla. In Crimea ha mandato truppe senza segni identificativi, per consentirgli di negare l'evidenza (manco fosse un adultero seriale ! ) , e oggi, a cose fatte, non ha problemi a decorare i soldati che hanno partecipato all'invasione di uno Stato sovrano, così come ad ammassare minacciosamente truppe ai confini ucraini. Ieri la scusa - buona, ma il metodo ?? - è stata che la Crimea è russofona, e la maggioranza della popolazione voleva tornare alla madre Russia ( senza contare il problema insuperabile della base navale di Sebastopoli, sbocco russo sul Mar Nero). Domani sarà che le minoranze russe sono vessate ? Insomma, il sistema presenta preoccupanti analogie con l'Ungheria del 1956 e la Cecoslovacchia del 1968. Nel vedere tutto questo, paesi assai poco o punto democratici come l'Egitto o l'Arabia Saudita, oggi collocabili nell'area di influenza americana, mostrano un nuovo interesse per il freddo e determinato Putin rispetto all'amletico Barak.


Mondo arabo: deluso da Washington
affascinato da Mosca
 
Dall’Egitto all’Arabia Saudita, si moltiplicano gli accordi commerciali e politici con la Russia e si allungano le distanze con il tradizionale alleato americano
maurizio molinari

Nelle capitali arabe più vicine agli Stati Uniti la tendenza è guardare con crescente interesse alla Russia di Vladimir Putin. E’ un processo che avviene a piccoli passi ma con continuità. Il caso più eclatante riguarda l’Egitto, maggiore alleato arabo di Washington, dove le tensioni bilaterali seguite al rovesciamento di Mohammed Morsi hanno portato l’amministrazione Obama a ridurre gli aiuti economici e militari spingendo Abdel Fattah Al-Sisi a cercare nuovi partner.  

I primi a farsi avanti per sopperire alla riduzione di aiuti Usa sono stati i sauditi, seguiti dagli Emirati, ma poiché l’Egitto è un gigante con 90 milioni di abitanti la maggiore preoccupazione di chiunque lo governa è il cibo per i cittadini ovvero il grano. E Al-Sisi vuole ottenerlo dalla Russia. Nasce così la trattativa in corso fra Il Cairo e Mosca per un accordo di libero scambio, limitato al grano, che potrebbe creare un legame di importanza strategica fra i due Paesi.  

Poi c’è l’Arabia Saudita che ha inviato il capo della propria intelligence a Mosca almeno in due occasioni negli ultimi mesi per discutere con franchezza la crisi siriana. Riad vuole la deposizione di Bashar Assad, che Putin sostiene, e dunque i sauditi si sono rivolti a Mosca per esaminare i possibili scenari futuri. Anche in questo caso le mosse di Riad nascono dallo scontento nei confronti di Washington, a cui rimproverano il mancato intervento militare e i ritardi nelle forniture all’opposizione armata.  

La Giordania invece non ha motivi di tensioni con Washington ma ciò non toglie che Amman ha registrato con un misto di timore e soggezione l’intervento russo in Crimea, leggendovi la conferma della determinazione con cui Putin difende i propri alleati. Per Putin significa aumento di credibilità personale e politica ad Amman ovvero la capitale più esposta all’impatto dei profughi siriani.  

Ultima, ma non per importanza, l’Autorità nazionale palestinese il cui leader Abu Mazen è a tal punto deluso dal ruolo del Segretario di Stato John Kerry nel negoziato di pace con Israele da voler guardare a Mosca: immaginando nuovi modelli di trattativa destinati ad esaltare il ruolo della Russia, come anche di Unione Europea e Onu, riducendo dunque di conseguenza quello degli Stati Uniti. Per invogliare Mosca a tornare protagonista in Medio Oriente, Abu Mazen gli propone ispezioni geologiche alla ricerca di petrolio e shalegas in Cisgiordania come anche nei giacimenti di gas davanti alle coste di Gaza. Tali e tanti episodi non implicano la scelta delle capitali arabe pro-Occidentali di allontanarsi da Washington ma descrivono un preciso campanello d’allarme per l’amministrazione Obama. Il Cremlino ha più opzioni per tornare protagonista sul fronte arabo.

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