lunedì 31 marzo 2014

PANEBIANCO E LO SCHIAFFO SALUTARE ALL'EUROPA


Sono d'accordo con il prof. Angelo Panebianco quando, nell'editoriale odierno del Corriere, fa notare la disomogeneità palese tra i vari gruppi anti Europa, come i Lepenisti francesi, i leghisti e i grillini italici, i separatisti inglesi e così via. Marie Le Pen rivendica un recupero della piena sovranità nazionale, i pieni poteri dello Stato centrale, non esattamente l'obiettivo di Salvini, per dire. Ma è solo un esempio. Come spesso accade in politica e nella vita, il collante unificante di realtà eterogenee è l'ANTI qualcosa. In questo caso il soggetto demonizzato è l'Unione Europea.
Sono anche d'accordo quando l'autorevole opinionista si augura un parziale successo di queste formazioni, pure così lontane dal suo pensiero. La ragione è semplice : dalle elezioni di maggio deve COMUNQUE arrivare la bocciatura di QUESTA EUROPA.
Non sia mai che i tedeschi e i loro alleati - finlandesi ( adesso contano pure loro !! 5 milioni e mezzo di abitanti, quanto Roma e provincia ! ) e danesi (idem come sopra...) principalmente - si ritrovino con un risultato che gli permetta di dire : va bene così.  No, lo schiaffone deve arrivare forte e sonoro. 
Allo stesso tempo quest'ultimo, per Panebianco e chi, come me, la pensa allo stesso modo, dovrebbe favorire non la fine dell'idea di un'Europa sostanzialmente federata, ma l'adozione di riforme che portino all'eliminazione della burocrazia tecnocratica, del clamoroso gap democratico - non c'è nulla di meno democratico delle attuali governance europee - e alla correzione dell'equivoco Euro.
Ormai è stato detto da tutti e in tutte le salse : creare la moneta unica come viatico per l'unione politica è stato un clamoroso Errore. Unico esempio al mondo di una banca centrale senza funzioni di garante ( Draghi ha corretto di fatto questa anomalia, ma è al vaglio della Corte Europea la legittimità del suo indirizzo ) , con Stati che si giocano la partita della concorrenza sull'importante mercato interno ed esterno con carte truccate, con discipline bancarie non omogenee e così via, che l'elenco è lungo.Insomma, ci sono molte cose da rivedere, e i partiti europeisti dovrebbero fare il favore di non limitarsi a dire "non votate le formazioni populiste", ma spiegare SE e COME vogliono modificare l'attuale assetto della cd. Unione.
Renzi per esempio dice cose giuste ma non dice appunto COME vorrebbe favorire il cambiamento indispensabile dell'attuale assetto, del tutto inadeguato in epoche di perdurante malessere economico e quindi sociale, e questo mi pare un vizio che caratterizza anche la sua politica nazionale. 
Buona Lettura



i Demolitori in Ordine sparso 
com’è diviso il Fronte antieuropeo

 

Per gli alti tassi di astensione che le caratterizzano, e per la loro natura di consultazioni sui generis (i cittadini non vengono chiamati a decidere della formazione di un governo), le elezioni europee non sono mai davvero rappresentative dei reali orientamenti degli elettorati. E quasi mai anticipano quanto accadrà nelle successive elezioni politiche nazionali. Non abbiamo motivo di pensare che le consultazioni europee di maggio possano essere diverse. Nonostante ciò, sappiamo che i loro risultati avranno comunque conseguenze. Sull’Europa (intesa come Unione) e anche, più ambiguamente, sugli equilibri politici dei diversi Paesi. Sappiamo, inoltre, che, proprio a causa dell’alto tasso di astensione — praticamente, si tratta di un copione già scritto — le prossime elezioni europee saranno una specie di saga di quelli che, apparentemente, si presentano come gli sfasciacarrozze. Sarà il trionfo di tutti coloro che vorrebbero demolire, in tutto o in parte, l’Unione Europea così com’è.
Il fronte (europeo) anti-Unione che si va formando, galvanizzato anche dal successo di Marine Le Pen nelle elezioni amministrative francesi, è assai eterogeneo, in esso si riflettono le diverse specificità nazionali. Per esempio, se non fosse perché in campagna elettorale tutto fa brodo e nessuno guarda troppo per il sottile, l’incompatibilità di fondo fra gli scopi dei lepenisti e quelli dei leghisti italiani (e movimenti europei analoghi) dovrebbe saltare subito agli occhi.
I lepenisti puntano al recupero pieno della sovranità nazionale francese. I leghisti, così come tutti gli altri difensori (in Catalogna e altrove) della ideologia delle «piccole patrie», sono nemici della sovranità nazionale. In teoria, sono dunque anche nemici di Marine Le Pen (della quale, però, si dicono oggi alleati). Di più: quale futuro potrebbero mai avere le agognate piccole patrie, si chiamino Catalogna, Padania o altro, se non entro la cornice di una Unione Europea ove le sovranità nazionali fossero progressivamente dissolte? Come potrebbero le piccole patrie affermarsi se non godendo della protezione dell’Unione? Cosa potrebbe mai combinare la Catalogna, tutta sola, in giro per il mondo?
Il protezionismo economico nazionale che piace ai 5 Stelle (e che oggi porta loro consensi da destra e da sinistra), oltre che a diversi altri movimenti politici anti-euro, il «sovranismo» del Front National francese, l’orgogliosa insularità rivendicata dall’Ukip (il partito per l’indipendenza della Gran Bretagna), l’ideologia delle piccole patrie, tutto ciò, messo insieme, non fa un fronte politico. C’è da scommettere che i contrasti fra tutti questi movimenti emergeranno con forza, presto o tardi, all’interno del Parlamento europeo.
Ma questi gruppi sono solo un pericolo per l’Europa, come sostengono i difensori della ortodossia europeista, oppure rappresentano anche un’opportunità? Dipenderà dall’entità del loro successo. Un successo travolgente (che, per esempio, vada oltre quel terzo di seggi, oggi previsto, nel Parlamento europeo ) potrebbe aggravare la crisi dell’Unione, portarla oltre il punto di non ritorno. Invece, un successo forte ma non travolgente, potrebbe rivelarsi una buona cosa. Non si può fare finta di non sapere che i consensi di cui oggi godono i movimenti anti-Unione sono un effetto, una conseguenza, di tutto ciò che non funziona nell’Unione così com’è

Lasciate perdere parole come «populismo» che non significano nulla e sono solo la spia della pigrizia mentale di chi le usa. Lasciate perdere persino il termine antieuropeismo: essere contro l’Unione così com’è non significa necessariamente essere anche contro l’Europa in quanto tale. Non tutti i movimenti di protesta sono come il Front National o l’Ukip britannico, non tutti sono, in questo senso, antieuropeisti.
L’Europa così com’è non va, richiede di essere riformata. Abbiamo ormai sperimentato quali siano le conseguenze di un’Unione che, al contrario di quanto accade negli autentici federalismi, centralizza troppo il potere, a beneficio, inevitabilmente, degli Stati più forti. Abbiamo visto come ciò porti a un conflitto distruttivo fra democrazie nazionali e Unione. Abbiamo bisogno di un’Europa assai più flessibile, meno camicia di forza di quanto oggi non sia. Sperando, naturalmente, che si trovi il modo di rendere compatibile l’auspicabile maggiore flessibilità con il mantenimento della moneta unica.
La combinazione di forza e di eterogeneità dei movimenti anti-Unione può diventare una opportunità, una risorsa, sfruttabile da chi vuole riformare l’Unione, da chi ha capito che essa potrà sopravvivere solo se verrà cambiata.
C’è almeno una buona notizia. Il riavvicinamento fra Stati Uniti ed Europa, dopo anni di disinteresse americano, un riavvicinamento dovuto a pressanti esigenze geopolitiche (Putin, Medio Oriente) e geoeconomiche (la competizione con i giganti emergenti), può, sommandosi alla protesta anti-Unione, dare una mano ai riformatori europei.
La grande crisi europea ha coinciso con la fine della special relationship , della relazione speciale fra le due sponde dell’Atlantico. Se essa si ricostituisce in modo non episodico (che sia questo il vero significato dell’incontro fra Obama e Renzi?), i riformatori dell’Europa avranno una sponda e una leva in più su cui giocare per ammorbidire i tedeschi e incanalare in modo costruttivo la protesta degli sfasciacarrozze.

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