lunedì 31 marzo 2014

PIERLUIGI BATTISTA E QUEL LIBERISMO SELVAGGIO CHE NON C'E'


Proprio ieri postavamo ( http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/03/fassina-si-tranquillizzasse-che-lunica.html ) l'articolo di Davide Giacalone in cui quest'ultimo chiedeva lumi all'onorevole Fassina su dove avesse mai visto questo liberismo imperante in Italia, che francamente assomigliamo sempre di più ad un paese del vecchio est europeo, dove imperava il socialismo reale. Sul tema torna oggi nella sua rubrica "Particelle elementari" Pierluigi Battista del Corriere, che ci ricorda qualche utile numero sulla"scarsa" presenza della mano pubblica nella nostra sfortunata nazione.
Da leggere 




"IL LIBERISMO STRAVOLTO DAI LUOGHI COMUNI"
  
I luoghi comuni hanno una forza irresistibile. Non si lasciano sopraffare dai fatti. Dietro di loro soffia il vento del pregiudizio, dei tic diffusi, del conformismo lessicale. A furia di ripeterli diventano verità, una seconda natura indiscutibile. Basta captare i discorsi diffusi che parlano di un’Italia prigioniera del «liberismo». Vanno in default le banche? È il liberismo. Gli Stati? Il liberismo. Il luogo comune si rafforza se si aggiunge l’immancabile aggettivo «selvaggio»: «liberismo selvaggio», ed è perfetto.
Poi però ci si chiede: ma che c’entra il liberismo se il Comune di Roma, soffocato dagli sprechi, dall’assistenzialismo, dallo statalismo dirigista, dal clientelismo, rischia di sprofondare nella bancarotta? Non c’entra, ma il luogo comune dice imperiosamente che c’entra. Da un’inchiesta di Repubblica emergono alcuni numeri che dovrebbero indurre a una maggiore prudenza quando si parla a sproposito di «trionfo del liberismo». Dunque: sarebbero oltre 7.000 le partecipate agli enti pubblici (Regioni, Comuni, Province e pure Comunità montane). Numero dei dipendenti delle imprese dove la mano pubblica è sopra il 50 per cento: 300.000, un’industria gigantesca. Numero delle sole poltrone: 30.000 per le «partecipate» ai Comuni, con circa 12.000 componenti degli organi di controllo. Da aggiungere altre 3.000 persone gratificate da incarichi ben remunerati. A Roma il numero dei dipendenti delle società «che fanno capo al Campidoglio» è cresciuto in soli tre anni di 3.500 unità. Lo spreco complessivo delle spa pubbliche (pubbliche, non private) è di circa 13 miliardi ogni anno. E dove sarebbe il liberismo? E dove sarebbe la dittatura del mercato? E dove sarebbe il trionfo del privato? Da nessuna parte, ma il dogma del luogo comune non ammette obiezioni e repliche. Si alimenta coralmente e la forza del coro fa sentire ogni riferimento ai fatti come qualcosa di molesto e di inopportuno. Per esempio, come scrive Nicola Porro sul Giornale , la stessa «Confindustria è di fatto governata dalle partecipazioni statali». Il tempio dell’impresa, il mausoleo del fronte padronale, la centrale del deploratissimo «liberismo» (selvaggio, beninteso) sono in mano alle industrie di Stato e la mano pubblica, cioè dominata dalla politica, dalle assunzioni clientelari, dalle nomine lottizzate, dallo spreco assistenzialistico delle risorse, influenza maggioritariamente le scelte del sindacato degli imprenditori. E, anche qui, dove sarebbero il liberismo e la dittatura del mercato? La più grande industria culturale del Paese? È nelle mani dello Stato e dei partiti che lottizzano. Persino lo Stato biscazziere perde un sacco dhttp://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/03/fassina-si-tranquillizzasse-che-lunica.htmli soldi. E senza che il liberismo e il mercato possano mettere una parola. Solo che il pensiero unico racconta che c’è poco Stato e troppo mercato. Malgrado i numeri dimostrino il contrario. Ci rassicuriamo così e diamo tutta la colpa ai cattivi del denaro. Per deplorare tutti insieme il liberismo: «selvaggio», ovvio."

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