Il voto per l'"Indipendenza" del Veneto viene giudicata, dalla maggioranza dei media italiani, per lo più una carnevalata a cui non dare peso. Figuriamoci se il Veneto si stacca e ricostituisce la Repubblica Veneziana !
Gli stranieri invece pare si mostrino più curiosi della cosa, magari perché la collegano ad una inquietudine diffusa in altre e importanti parti d'Europa. Sappiamo dell'imminente referendum scozzese, pare cosa fatta la prossima divisione del Belgio in due parti, con Valloni da una parte e fiamminghi dall'altra. Preme la Cataluna per costituire uno Stato a sé diviso da quello Spagnolo, e immagino che i baschi, che l questione indipendneza l'avevano sollevata prima, addirittura con le armi, non resteranno indietro.
In Italia la Lega aveva posto seriamente la questione nordista, e il federalismo poteva essere una risposta seria e valida. E' purtroppo stato partorito un ibrido, costoso, inefficiente ed irresponsabile, con continui rimpallamenti di accuse e di colpe tra Stato Centrale e Regioni (per non parlare dei Comuni).
La devastante crisi economica, che ha colpito soprattutto il tessuto economico e sociale delle medie e piccole imprese, ha acuito enormemente malcontento e disagi.
E quindi i numeri della pronuncia veneta vanno esaminati meglio, e facendolo - come ha fatto Ilvo Diamanti, con Demos, società demoscopica che dirige - si ha la conferma che magari non ci si trova di fronte al plebiscito propagandistico pubblicizzato dagli organizzatori, con 2 milioni e mezzo di voti e quasi il 90% di Sì, però l'idea indipendista è sicuramente MAGGIORITARIA.
Dopodiché Diamanti fa interessanti distinguo tra Veneto ed altre regioni del Nord, negando che si possa parlare di Padania e nemmeno di Macro Regioni, che le istanze del Nord Est sono molto diverse da quelle del Piemonte, per non parlare della Liguria. Ma differenze ci sono anche con la vicina Lombardia.
Insomma, un problema complesso, articolato, però SERIO, che veramente tanta gente di Roma e del governo centrale non ne può più. Disposti a scoprire che quelli locali sarebbero peggiori, ma almeno avrebbero una vicinanza "fisica" con i responsabili.
A 150 anni questa Italia unita piace pochino, e non è una cosa di cui, personalmente, sono contento.
Però questo è.
Buona Lettura
L'indipendenza del Veneto
non è uno scherzo
Bocciato lo Stato centrale,
no alla politica locale
Sondaggio Demos. Questa regione pone oggi una questione che conta più di quella settentrionale
di ILVO DIAMANTI
SONO state accolte con qualche sorpresa e molta perplessità — per non dire incredulità — le notizie riguardo al referendum sull’indipendenza del Veneto. Promosso e organizzato dai movimenti autonomisti, il “plebiscito” si è svolto la scorsa settimana. Secondo i promotori, vi avrebbero partecipato circa tre elettori veneti (aventi diritto) su quattro. Quasi 2 milioni e mezzo. Con un esito “plebiscitario”: 89% di “sì”. Naturalmente, i dati sono ipotetici e non verificabili. Così, in Italia, è prevalsa la tendenza a liquidare l’iniziativa con un misto di sarcasmo e di scetticismo.
LE TABELLE
A differenza degli osservatori stranieri, che hanno, invece, trattato l’evento con attenzione. Non solo per il precedente (immediato) della Crimea. Ma, ancor più, per le tensioni indipendentiste che scuotono altri Paesi europei. In Gran Bretagna, Spagna, Belgio... Così, mentre cresce l’insoddisfazione verso l’Unione Europea, si acuiscono le divisioni all’interno degli stati nazionali. Per questo conviene prendere sul serio il segnale che proviene dal Veneto. Anche perché rivela sentimenti estesi. In misura, magari, non “plebiscitaria”, come quella dichiarata dai “venetisti”, ma, tuttavia, maggioritaria.
Lo conferma un sondaggio di Demos, condotto presso un campione rappresentativo di elettori veneti nei giorni scorsi (per la precisione: il 20 e il 21 marzo). La partecipazione al referendum, dai dati, esce ridimensionata. Ma resta, comunque, molto significativa. Quasi metà degli elettori veneti, infatti, sostiene di aver votato oppure di essere intenzionato a farlo. E poco meno dell’80% di essi si dice favorevole al quesito referendario: l’indipendenza veneta. Una posizione condivisa, d’altronde, da un terzo di coloro che dicono di non essere intenzionati a votare.
Nell’insieme, la maggioranza degli elettori (compresi nel campione) si dice d’accordo con l’ipotesi che “il Veneto diventi una repubblica indipendente e sovrana”. Circa il 55%. Mentre i contrari sono poco meno del 40%. Dunque, l’indipendenza costituisce una prospettiva attraente per la maggioranza della popolazione. Piace, soprattutto, agli imprenditori e agli operai. I lavoratori dipendenti e autonomi della piccola impresa, che costituiscono il “distintivo” economico e sociale del Veneto. Solo tra i più giovani — e, quindi, fra gli studenti — la posizione contraria all’indipendenza prevale nettamente. Oltre che fra i disoccupati. Anche dal punto di vista politico, gli orientamenti sono molto chiari. L’indipendenza veneta piace agli elettori di Destra (in particolare di FI) e, ovviamente, ai leghisti e agli “autonomisti”. Ma prevale nettamente anche fra gli elettori del M5s, dove, peraltro, negli ultimi due anni è confluito gran parte del voto leghista. Il Veneto, d’altronde, è politicamente una zona di centrodestra. Forzaleghista (come la definiva Edmondo Berselli).
La distanza dei veneti dallo Stato nazionale, dunque, è cresciuta e oggi si traduce in aperto distacco. In misura molto maggiore che in passato. Tuttavia, molte cose sono cambiate, negli ultimi anni.
La crisi, anzitutto, ha accentuato il risentimento verso lo Stato, riassunto, non solo simbolicamente, in Roma capitale. Le difficoltà economiche, infatti, hanno sollecitato maggiore sostegno e hanno reso più acuto il contrasto con il ceto politico e la burocrazia centrale.
A differenza del passato, inoltre, la rivendicazione indipendentista, oggi, non evoca patrie immaginarie, come la Padania, ma neppure aree poco definite e, internamente, differenziate, come il Nord. Com’è divenuto lo stesso Nordest. Richiama, invece,
il Veneto. La Regione. Considerata l’ambito che suscita maggiore appartenenza da circa il 25% dei Veneti (Oss. Nordest per Il Gazzettino, settembre 2012). Non a caso, la Lega (Padana), inizialmente tiepida verso l’iniziativa, l’ha, in seguito, sostenuta. Il governatore, Luca Zaia, in particolare. Che si prepara, a sua volta, a far votare al Consiglio veneto una proposta di legge per indire un referendum “formale” per l’indipendenza. Anche se incostituzionale, costituirebbe, comunque, per Zaia, il manifesto per una Lista civica (personale) in vista delle elezioni regionali dell’anno prossimo. Per compensare la debolezza della Lega.
D’altronde, la Liga Veneta è “la madre di tutte le leghe”, come ebbe a definirla uno dei fondatori, Franco Rocchetta. Che venerdì sera era in piazza, a Treviso, a festeggiare il referendum e il mito dell’indipendenza veneta.
Bisogna, dunque, prendere sul serio il segnale che proviene dal referendum. Al di là delle misure — ipotetiche — della partecipazione e del consenso dichiarate dagli organizzatori, la rivendicazione autonomista appare fondata e largamente maggioritaria. Al tempo stesso, bisogna interpretarne correttamente il significato. In-dipendenza significa, infatti, “non dipendenza”. E, dunque, autonomia. Autogoverno. Non necessariamente “secessione”. Ne danno conferma le opinioni circa il modo migliore “per sostenere gli interessi del Veneto”. La “piena indipendenza del Veneto”, infatti, è sostenuta da una quota ampia, ma non superiore al 30%. Meno di quanti riterrebbero più utile “eleggere parlamentari migliori” (dunque, capaci di esercitare maggiore pressione “su Roma”). Mentre appaiono ampie anche le componenti “federaliste”. È significativo come, fra gli stessi sostenitori dell’indipendenza veneta al referendum, quanti vedono nell’indipendenza “piena” la via maestra per affermare gli interessi regionali siano una maggioranza larga. Ma non assoluta: il 45%.
L’indipendenza, dunque, costituisce per i veneti e il Veneto un modo per denunciare, in modo estremo, il disagio nei confronti dello Stato centrale. L’insoddisfazione contro la classe politica e di governo. Non solo nazionale, ma anche regionale.
Da ciò, un’altra indicazione significativa. Soprattutto se si pensa al diverso impatto ottenuto dal referendum dei giorni scorsi rispetto alla manifestazione per l’indipendenza padana, promossa nel settembre 1996. Quando, in marcia lungo il Po per marcare la frontiera del Nord, si recarono pochi leghisti, spaesati e sparsi. Per rappresentare il sentimento e il risentimento territoriale, oggi, conviene rinunciare a patrie immaginarie, come la Padania. Ma anche alle macroregioni oppure ad aree ampie — e differenziate. Come il Nord e lo stesso Nordest. Per storia, economia, identità e interessi, infatti, è sempre più difficile tenere insieme il Veneto con il Piemonte, la Lombardia e lo stesso Trentino Alto Adige. Treviso con Milano e Bolzano. La “questione Veneto”, oggi, conta più di quella “settentrionale”. E affievolisce il Nordest.
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