Ieri avevamo pubblicato "il grido di dolore" di Michele Ainis ( http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/03/quel-pasticciaccio-brutto-della-legge.html ) in ordine al pasticcio che si sta compiendo attorno alla legge elettorale
Oggi sul tema ritorna, in modo meno tecnico e più politico, Antonio Polito, nell'editoriale del Corsera. Alle sue, aggiungo due considerazioni. Renzi è agli esordi e gli va dato tempo. Per cui le tante perplessità che quotidianamente insorgono è bene tenerle un po' a bada finché questo alibi sussisterà. Ciò posto, un pasticcio resta tale, e questo della legge elettorale, di cui lui pure tanto si vanta, lo è.
Quagliarello, coordinatore nazionale del NCD, mi suscita la classiva avversione da delusione. Lo reputavo un signore di idee liberali prestato alla politica. Lo sto scoprendo un politicante a 360 gradi : quelli che fanno retorica, propaganda, annunci, avendo ben presenti i soli propri interessi di bottega.
Il Nuovo Centro Destra ha il TERRORE delle elezioni, ben sapendo che il rischio "FINI" è una probabilità assai più che una possibilità. Ma siccome non vedo come questo destino probabile possa cambiare solo col passare del tempo, specie se, come è facile prevedere, l'NCD farà da scendiletto al PD renziano, allora l'obiettivo di questi signori NON è costruire la nuova casa dei liberali e moderati, bensì sopravvivere sulle loro poltrone qualche anno, e poi rassegnarsi alla scomparsa. Infatti, se le cose andassero come io temo, con gli alfaniani meri portatori d'acqua al governo di Renzino, per quale motivo noi di centrodestra dovremmo votarli ? Se il governo avrà fatto bene, allora voteremo Renzi, che ne è il leader, se non ci sarà piaciuto, certo non voteremo NCD.
Montecitorio deve essere come l'isola delle sirene. Chi ne sente il canto una volta, poi ne resta sedotto per sempre.
Quel filo ormai
troppo sottile
di ANTONIO POLITO
Il filo da acrobata su cui Renzi cammina ha resistito alla prima prova della legge elettorale, ma si è fatto molto più sottile. Ora che è al governo, il premier ha dovuto scegliere tra le due maggioranze, e ha ovviamente preferito quella di governo. Più ancora che Alfano, a imporlo è stato il Pd. Dal Pd non renziano, tuttora in maggioranza a Montecitorio, viene l’emendamento vincente che limiterà la riforma elettorale alla Camera, e da quel Pd Renzi rischiava, in caso contrario, una sonora bocciatura in Aula. Berlusconi, il contraente dell’altro patto, ha dovuto accettare, seppure con «grave disappunto». Per un po’ di tempo il Cavaliere non potrà fare molto altro. Da oggi le due maggioranze di cui disponeva Renzi si sono ridotte a una e mezza: quella con Alfano, che si allarga a Berlusconi sulle riforme. D’altra parte, l’ultima volta che una doppia maggioranza ha funzionato risale ai tempi di De Gasperi a Palazzo Chigi e Terracini alla Costituente. Altri uomini.
Il compromesso trovato ieri ha una sua logica. «Avremmo fatto ridere il mondo con una riforma elettorale inapplicabile per il Senato», ha detto ieri il senatore Quagliariello, e ha ragione. Però la soluzione escogitata non suscita minore ilarità: una riforma applicabile solo alla Camera. Il che vuol dire che se per caso o per scelta il Parlamento non eliminerà del tutto il Senato elettivo, alle prossime votazioni avremo un sistema che dà certamente una maggioranza a Montecitorio e altrettanto certamente non la dà a Palazzo Madama. Provate a spiegarlo a un marziano, o anche a un tedesco. Se si aggiungono le tre soglie diverse, un premio di soli sei seggi e la deroga alla Lega, si apprezza fino in fondo l’«esprit florentin » della riforma che sta nascendo.
Come tutte le soluzioni a metà anche quella trovata ieri contiene una buona opportunità ma anche un immenso rischio. Garantisce al Parlamento il tempo necessario, gliene servirà più di un anno, per cambiare la Costituzione. Ma il fallimento, o la dilazione alle calende greche, stavolta ci precipiterebbe in una situazione perfino peggiore di un pessimo passato.
Sospettare che qualcuno dei giocatori stia barando sotto il tavolo è del resto legittimo. Suona infatti strano che, mentre tutti la danno per scontata, non sia stata in realtà neanche presentata da Renzi una bozza di riforma del Senato. Eppure aveva indicato un cronoprogramma che ne prevedeva entro l’estate l’approvazione in prima lettura, e proprio al Senato.
È quello il vero ostacolo della corsa. E non è un caso se la proposta di legge non c’è ancora. Il fatto è che il progetto iniziale di Renzi non convince: in molti, pare di capire anche nella Consulta, hanno seri dubbi a trasformare la Camera Alta in una sorta di Cnel di sindaci piuttosto che in un Bundesrat alla tedesca.
È giunto dunque il momento di scegliere. Ieri il premier ha salvato la velocità della macchina che ha messo in moto, ora deve indicare il traguardo.
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