giovedì 17 aprile 2014

AINIS SUL CORSERA : "TAGLIAMO LE NORME E NON LE TESTE". PERCHE' NON ENTRAMBE ?

 
 Che dire ? Luci e ombre nell'articolo, comunque come sempre chiaro e ben scritto da Michele Ainis, docente ed esperto di diritto pubblico e costituzionale, sul Corsera di oggi. D'accordo, anzi di più, sulla denuncia del florilegio devastante del nostro ordinamento : 21.691 leggi statali,  30 mila leggi regionali e 70 mila regolamenti. Questo senza contare suppongo i codici, con quasi 3.000 articoli quello civile, sfiora i 1000 quello penale, così come le due procedure. La Legge non ammette ignoranza, noto paradigma, ma allo stesso tempo come è mai possibile conoscerla, vista l'immensità della stessa ? Senza contare la CONFUSIONE, che spessissimo queste norme finiscono per essere contraddittorie, si intralciano quando proprio non si elidono. 
Il vero compito dei futuri legislatori non dovrà dunque essere fare nuove norme, ma eliminare le vecchie, mettere ordine, semplificare ! Un'impresa assai più difficile che partorire nuove improbabili leggi. 
Ainis osserva, anche correttamente, come un simile labirinto poi crei sempre lo spazio per la scappatoia. Magari in diritto ammnistrativo accade più spesso, ma è anche assai presente il pericolo opposto, che francamente, da liberale, a me preoccupa di più : con così tante regole, impossibile che esista uno spazio di libertà, la possibilità che un cittadino non incappi, senza saperlo, in una di esse, violandola suo malgrado. A quel punto, ecco che lo Stato diventa "possibilista", che fa sì le leggi, ma poi tollera un certo grado di inosservanza, consapevole di aver creato un sistema infernale. Come si possano formare dei cittadini dotati di senso civico in questo modo, non è dato sapere. E infatti i risultati sono mediocri.
Altra cosa che condivido solo parzialmente. "Lo Stato siamo noi"....bé in Italia soprattuto si fa fatica a pensarlo. DA SEMPRE, storicamente, la divisione tra cittadini e Stato è stata FORTE, e le responsabilità in questo sono reciproche ma sicuramente le più gravi fanno capo al secondo soggetto, che ha il potere e deve dare l'esempio.
Inoltre, nel difendere il numero dei dipendenti pubblici, veramente un'impresa titanica caro Ainis, non giova fare confronti con paesi come Germania o Danimarca, se non altro - ma non è l'unica differenza che ci vede soccombenti - da quelle parti i servizi FUNZIONANO, mentre da noi molto poco. E non è un luogo comune, bensì realtà quotidiana. 
Insomma, cose vere e sacrosante- come non applaudire alla chiosa finale ? : troppe leggi equivalgono a nessuna legge ! mischiate ad altre opinabili o proprio non accettabili.
Il tema comunque è attuale, che Renzi annuncia le ruspe proprio verso la burocrazia e siamo in tanti a voler vedere se veramente lo farà.




UN LABIRINTO INESTRICABILE
 
Dipendenti pubblici? Una mandria di sfaticati. I loro dirigenti? Mandarini del Celeste Impero. Le burocrazie locali? Centri di spreco e corruzione. Nella furia iconoclasta che s’abbatte sugli uomini (e le donne) dello Stato, non si salva più nessuno. E il presidente del Consiglio offre un megafono a questo sentimento popolare, trasformando il rancore in urlo di battaglia: promette una lotta «violenta» alla burocrazia, annuncia che a maggio il suo governo entrerà «con la ruspa» nelle casematte della pubblica amministrazione. Giusto, se l’offensiva riuscirà a sgominare le inefficienze e prepotenze burocratiche. Sbagliato, se vi fiammeggia un odio verso tutto ciò che è pubblico, di tutti.
Perché siamo noi, lo Stato. È la maestra che insegna matematica ai nostri bambini, guadagnando meno d’una colf. È il poliziotto che fa il turno di notte nelle strade, a bordo di volanti scalcinate e sempre a corto di benzina. È il medico del Pronto soccorso, che s’arrangia risparmiando sulle garze. Ed è anche il burocrate con la sua penna d’oca in mano, come no. Ma per difenderci dalle vessazioni burocratiche, per ritrovare la nostra libertà perduta, dobbiamo restituire all’amministrazione pubblica la sua propria dignità perduta. Sfatando innanzitutto dicerie e leggende sul corpaccione dello Stato.
Non è vero che l’Italia sia la patria dei dipendenti pubblici: ne abbiamo 3,4 milioni, contro i 5,5 milioni del Regno Unito o della Francia. E sono 58 per ogni mille abitanti, come in Germania. Peraltro in calo del 4,7% nell’ultimo decennio, a differenza di tutti gli altri Stati europei. Non è vero che costano troppo: pesano l’11,1% del Pil, circa la metà di quanto si spende in Danimarca. Mentre il loro contratto di lavoro è bloccato dal 2010. È vero però che sono troppo vecchi (solo il 10% ha meno di 25 anni), con troppi marescialli e pochi soldati semplici (la Francia ha un terzo dei nostri dirigenti), ed è vero infine che sono mal ripartiti (in Calabria gli statali rappresentano il 13% degli occupati, in Lombardia il 6%).
Da qui il farmaco più urgente: razionalizzare. Con l’intelligenza, non con la violenza. Significa distribuire meglio i ruoli, ma significa altresì semplificare i procedimenti e gli accidenti del diritto amministrativo. Dove la legge annuale di semplificazione non interviene mai ogni anno, e si traduce per lo più nell’ennesimo fattore di complicazione. Dove regna (dal 1889) l’astrusa distinzione fra diritti soggettivi e interessi legittimi, ciascuno col suo giudice, ciascun giudizio un rebus per i cittadini. E dove s’accalca una folla di custodi, che ovviamente passano i giorni a litigare sulle rispettive competenze. Ma in un Paese che ospita 6 forze di polizia nazionali e 2 locali questa è la regola, non certo l’eccezione .
Ecco, è lì il virus che infetta l’organismo dello Stato. S’annida nell’eccesso dei controlli, delle giurisdizioni, dei procedimenti, delle norme (che peraltro fanno da scudo ai poco volenterosi). Quante ne abbiamo in circolo? Nel 2007 la commissione Pajno ha fatto un po’ di conti: 21.691 leggi statali, cui però dovremmo aggiungere 30 mila leggi regionali e 70 mila regolamenti. Ma in un sistema tortuoso come un labirinto nessuno risponde più di nulla: c’è sempre un comma che ti lava la coscienza. La fuga dalle responsabilità ha origine perciò da un pieno, non da un vuoto. Giacché troppi controllori vanificano il controllo, giacché troppe leggi equivalgono a nessuna legge. E allora tagliamo le norme, non le teste.

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