Come la DC nel 58, scrive Antonio Polito , il terzo opinionista (trovate sul blog quelli di Panebianco e Battista) "ospitato" oggi dal Camerlengo in questa giornata dedicata ai commenti autorevoli post elezioni, accostando il successo di Fanfani alla guida della Balena Bianca nelle politiche di quell'anno (con il 42,3%) e il 40,8 del PD renziano ( la cosa non va mai scissa, che il nesso tra la percentuale trionfale e la leadership del Toscano è indiscutibile, e oggi lo scriveva, per "onestà intellettuale", lui stesso l'ha definita così, Gianni Cuperlo).
Ma la similitudine non è solo numerica. Anche quel Fanfani, ricorda Polito, costituì una "rottura" con la vecchia nomenclatura democristiana, realizzando di fatto quello che era la via indicata da De GAsperi e che la situazione internazionale aveva ostacolato : il partito cristiano cattolico come polo di centro che guarda a sinistra.
Ecco, Renzi, secondo Polito, ha realizzato qualcosa di simile, in questo copiando più recenti leader Liberal, come Clinton (che fu mentore di Blair) , lo stesso leader inglese che rivoluzionò e desindacalizzò il Labour party, e Schoreder, cui la Germania deve le riforme del welfare che le hanno permesso di tornare a primeggiare in Europa ( e per le quali il politico socialdemocratico NON venne rieletto, che questo è il prezzo che i veri statisti sono disposti a pagare per il loro paese, facendo le riforma GIUSTE anche se IMPOPOLARI).
In questo modo ha ottenuto i voti del centro che MAI avrebbe votato leader di sinistra-sinistra (l'ultimo a sperimentarlo, a sue dolorosissime spese, il povero Pierluigi Bersani). Certo, perde voti nella sinistra più dura, che magari vota Tsipras (pochini) o Grillo (di più), ma il saldo è assolutamente attivo, come dimostrano i risultati di domenica.
Nonostante il suo essere un "visitor" (copyright Mentana) per la sinistra storica (io conosco tante, ma tante persone che veramente provano il mal di mare a vedere Renzi leader del "loro" partito, che chissà qual è nel loro immaginario) , Renzi raduna , in periodo di grande astensione (più del 40% degli elettori, una marea ) ben 11 milioni di voti, che non sono nè i 12.700.000 di Berlinguer nel 1976 (massimo storico, mai più ripetuto dalla sinistra, nemmeno nel 1984 quando per la prima ed unica volta, curiosa coincidenza, sempre nelle europee, ma forse coincidenza non è..., superò la DC, prendendone 11.700.000, col 33,3% ) ma nemmeno i 12.100.000 presi da Veltroni nel 2008. Però sono tantissimi, in assoluto, e tanti di più tenendo conto che sono il DOPPIO rispetto ai grillini, secondi, e a Forza Italia.
Renzi lo aveva detto, nel 2012, partecipando alle primarie per la leadership elettorale del 2013 : con me si vince. Probabilmente sapevano che aveva ragione, ma pensarono che potevano vincere lo stesso, anche se con minori voti. Tanto ci avrebbe pensato il Porcellum e il suo mostruoso premio di maggioranza (infatto poi abrogato perché incostituzionale) a riempire quello che mancava dalla urne...
Il diavolo fa le pentole....E così gli identitari preferirono Bersani, e persero le elezioni.
La lezione gli è servita, hanno preso il famoso maalox, in dosi anche massicce, e stavolta il Toscano se lo sono fatto andar bene, consegnandogli prima il partito e poi Palazzo Chigi.
Domenica la prova che l'antiacido meritava di essere preso.
Come la Dc del '58
ma il Partito
corre un Rischio
di ANTONIO POLITO
Per la prima volta il maggior partito della sinistra sfonda i confini dell’«altra Italia» fatta di progressisti, lavoratori dipendenti, intellettuali. E ci riesce perché finalmente possono votarlo anche quelli dell’Italia normale, i ceti medi, i lavoratori autonomi, la gente del Nord, che vive in provincia.
È come se si fosse sciolta una montagna di ghiaccio, e l’acqua avesse preso finalmente a fluire tra un mare elettorale e l’altro. Era il Santo Graal della Seconda Repubblica, la chiave sempre cercata e mai trovata per un bipolarismo maturo e non più rusticano. Seppure in circostanze del tutto eccezionali, e vedremo quanto ripetibili, Matteo Renzi l’ha trovata.
Per la prima volta il maggior partito della sinistra sfonda i suoi confini tradizionali, quelli dell’«altra Italia», un mondo fatto di progressisti, di lavoratori dipendenti, di intellettuali, di ceti urbani, di Raitre, in cui era stato sempre rinchiuso anche al massimo della sua capacità di espansione. E ci riesce perché finalmente possono votarlo anche quelli dell’Italia senza aggettivi, il Paese normale, i ceti medi, i lavoratori autonomi, la gente del Nord, quella che vive in provincia e guarda Raiuno. L’altra Italia, al suo meglio, erano dodici milioni di voti, mai di più. Il Pd di Renzi ieri ne ha presi undici, e seppure niente ci possa assicurare che con un’affluenza più alta sia capace di raggiungere ugualmente il 40%, si può ragionevolmente dire che lo sfondamento del muro è ormai avvenuto, e che se ieri si fosse votato per le politiche l’avremmo contato anche in voti assoluti. Tutti i militanti di mezza età che ieri ripetevano estasiati «per la prima volta dopo trent’anni ho vinto le elezioni», avevano dunque ragione alla lettera. Trent’anni esatti infatti ci dividono dallo sfondamento elettorale di Berlinguer nel 1984. Con la differenza che quello di oggi non avviene alla fine di una storia, come risarcimento morale a un leader che non c’è più, ma all’inizio di una storia e di una leadership.
Ne viene fuori un partito completamente differente da tutti quelli che l’hanno preceduto nella lunga catena genetica della sinistra. Favorito dalle circostanze, Renzi ha giocato la carta della «triangolazione», che fu l’invenzione strategica di Clinton: contro il vecchio populismo di destra (Berlusconi) e contro il nuovo populismo di sinistra (Grillo), per un nuovo centro. «Nuovo centro» è come Schroeder chiamava la sua Spd. «Center of left», centro della sinistra, è come Blair chiamava il suo Labour.
È successo, sorprendentemente per molti, di sicuro per chi scrive, che il partito della sinistra ha occupato il centro dell’elettorato. E questo potrebbe essere un vero e proprio «riallineamento», e cioè uno di quei cambiamenti sismici nella geografia elettorale di un Paese che sono destinati a durare a lungo. Il Pd è diventato, almeno per una notte, ciò che Beniamino Andreatta definiva «il partito del Paese». Un partito che è votabile anche da chi non solo non è di sinistra, ma è anche contro la sinistra (o il sindacato). Basti il fatto che sia andato meglio nel Nord delle partite Iva e dei padroncini che nel Sud statalista: ha raggiunto elettori che non avrebbero mai votato non solo D’Alema, ma neanche Veltroni, e forse nemmeno Prodi. Qualcuno ha fatto paragoni con la Dc di Fanfani, in quanto a dimensioni del successo elettorale: l’accostamento non sembri blasfemo anche dal punto di vista sociologico. Il Pd è ormai un partito che dal centro guarda a sinistra, proprio come la Dc ai suoi inizi; è un partito modernizzatore e rottamatore della vecchia classe dirigente, come fu nel trionfo di un altro 25 maggio, quello del ‘58, la Dc con Fanfani; ed è il centro di gravità di un sistema politico frammentato nel quale la seconda forza, Grillo, non è in grado di coalizzarsi per vincere, esattamente come succedeva al Pci ai tempi della Dc.
Come c’è riuscito Renzi? Ci sono mille spiegazioni plausibili. La più forte delle quali è però banale: il Pd di Renzi si è tolto di dosso la maledizione fiscale. Oggi votare a sinistra non comporta più la sicurezza assoluta che aumenteranno le tasse.
Questa nuova sinistra-centro durerà? Dipenderà dai successi del governo, ma soprattutto dipenderà da quanto il «New Pd» diventerà un partito o invece resterà un one-man-show . Questo è, anche dopo il trionfo, il tallone d’Achille dell’esperimento politico in corso, e un elettorato diventato molto mobile potrebbe sanzionare molto rapidamente una promessa di cambiamento che si rivelasse velleità.
È fuor di dubbio, in ogni caso, che ora il Pd di Renzi diventa un modello per la sinistra europea, e che verrà certamente corteggiato e imitato. In un’Europa in cui la sinistra di governo (forse con l’eccezione della Spd) è stata considerata parte del problema piuttosto che una possibile soluzione, un leader di sinistra che stravince le elezioni stando al governo, seppur da poco, è una specie di Superman. Renzi potrebbe trarne vantaggio nel semestre europeo, speriamo a favore dell’Italia.
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