domenica 18 maggio 2014

LA RISSA DELLA PROCURA DI MILANO RIPROPONE L'IPOCRISIA DELL'OBBLIGATORIETA' DELL'AZIONE PENALE


DA qualche tempo accade una cosa che mi fa piacere e un po' m'inorgoglisce, in qualità di autore del Camerlengo : delle persone mi sottopongono vicende che le hanno colpite e su cui mi chiedono un commento, da pubblicare sul Blog. A volte sono dei Colleghi, che mi espongono dei casi di ordinaria ingiustizia, nell'intento di farli conoscere. Chissà che, usando la rete come fonte di divulgazione, si riesca a migliorare un minimo la critica sensibilità sui temi di giustizia del nostro Paese. 
In questa ottica, sono stato per l'appunto contattato da un amico e collega, su FB, che mi ha sottoposto due casi di cui si occupa, e dei quali parleremo, anche se non oggi, visto che l'udienza è imminente.
Dirò solo che l'accusa è di diffamazione a mezzo stampa.
Bene, oggi, leggendo il perfetto editoriale di Angelo Panebianco, mi sono venuti in mente gli articoli incriminati del cliente del collega, e mi sono domandato se non sia il nome, l' autorevolezza del Professore e del Corsera, a difendere opinionista e testata dalle ire querelanti dei magistrati, notoriamente permalosissimi e avvantaggiati nell'assecondare la loro suscettibilità dal fatto che le loro doglianze e accuse saranno valutate poi da dei COLLEGHI !!  Sembrerà un problema insolubile questo, ma il fatto che in una questione delicata come la giustizia, una parte possa contare sul fatto che chi decide è un proprio collega, a me sembra non accettabile. Si cerca di risolvere la cosa spostando la sede del giudizio, per cui, per esempio, un processo che coinvolge un magistrato di Roma viene discusso a Perugia. Dimostrazione che il problema è obiettivo, ma che più di questo per risolverlo non viene in mente. A me sembra poco.
Ciò posto, Panebianco parlando della Procura di Milano, parla apertamente di un "centro di potere" - e questo non è il loro ruolo costituzionale - facendo chiaro riferimento anche al carattere politico di questo potere. Il Consiglio Superiore della Magistratura viene descritto come organo lottizzato dalle correnti magistratuali, cosa verissima, ma non per questo ammessa dai diretti interessati. 
Il tutto di fatto delegittima - come è inevitabile e giusto che accada - sia l'importante procura meneghina, sia il costituzionale organo di controllo dei magistrati. Riceverà una querela Panebianco ? No, per fortuna. Mi aspetto, per domani o post, una lettera di una delle tante toghe che si sarà risentita per la reprimenda editoriale, con una lunga replica a cui de Bortoli non mancherà di dare spazio. Meglio così, ma altrove non è questa la strada che percorrono.


IL CONFLITTO IN PROCURA
 
 La Procura di Milano non è una Procura qualsiasi. Le inchieste di Mani Pulite di venti anni fa modificarono la nostra «costituzione materiale». Da allora, la Procura di Milano è uno dei centri di potere più importanti del Paese. È un fatto che qualunque analisi del nostro assetto istituzionale che dimentichi il ruolo strategico di quella Procura si riduce a una finzione formalistica. La Procura di Milano, nel mezzo di inchieste delicatissime, è ora dilaniata da violenti conflitti (fra Bruti Liberati e Boccassini da una parte e Robledo dall’altra). Fioccano accuse reciproche di dire falsità, ci si rinfaccia comportamenti e invasioni dei campi di competenza altrui. Se il Consiglio superiore della magistratura fosse cosa diversa da ciò che è agirebbe con tempestività per stroncare la guerra in corso. E magari anche per spostare nelle mani di persone più serene le inchieste più delicate. Ma il Csm è un organo lottizzato dalle correnti e le sue decisioni (e le sue non decisioni) sono il frutto di negoziazioni fra i diversi gruppi organizzati della magistratura. È improbabile che da lì vengano, per giunta con tempestività, provvedimenti risolutivi. Temporeggiare e sopire in attesa che i rumori si plachino e che una decisione, presa col bilancino, diventi alla fine possibile, sarà quasi sicuramente la strategia che il Csm adotterà. Come sempre, quando è chiamato a dirimere risse fra magistrati. Solo che questa volta non siamo in presenza di una zuffa qualsiasi. Dato il ruolo della Procura di Milano e il peso politico-simbolico da essa assunto negli ultimi venti anni, questa volta ciò che è in gioco è, niente meno, il rapporto fra la magistratura e il Paese. Se una Procura viene identificata per tanti anni da una parte rilevante dei cittadini come il «tempio della giustizia» per eccellenza e poi si scopre che i sacerdoti si scannano fra loro, difficilmente il rapporto fra la magistratura nel suo complesso e il Paese ne usciranno indenni. Tenuto anche conto che un’altra parte di cittadini, di quella Procura e di molte sue azioni non ha mai pensato bene. Chi ama le immagini suggestive, spesso sbagliate, potrebbe sostenere che la fine di quella che è stata chiamata Seconda Repubblica porti con sé anche il ridimensionamento (o un mutamento di posizione e di ruolo) della Procura che, più di ogni altra, vi ha svolto una parte fondamentale. Come sempre, le cose sono più complicate. Il conflitto in atto porta alla luce aspetti noti agli addetti ai lavori ma ignorati dal grosso dei cittadini, soprattutto il fatto che sotto l’ombrello della «obbligatorietà dell’azione penale» stanno sempre le azioni discrezionali dei magistrati in carne e ossa alle prese con problemi molto complessi. Nel caso dell’Expo, ad esempio, il conflitto, per quel che s’è capito, verte sul disaccordo fra Robledo e Bruti Liberati sul fatto che contro gli accusati siano stati utilizzati certi capi d’accusa piuttosto che altri. Ogni medaglia ha il suo rovescio. L’aspetto negativo della lotta in corso è che mina la fiducia di tante persone nella correttezza e nella lucidità dell’azione dei magistrati. L’aspetto positivo è che, a partire da quanto avviene alla Procura di Milano, diventa forse possibile affrontare argomenti fino ad oggi tabù. Il primo dei quali riguarda proprio la questione dell’obbligatorietà dell’azione penale, una finzione, una foglia di fico, utile solo per nascondere un certo grado di discrezionalità. Di fronte alla discrezionalità dell’azione giudiziaria ci sono due possibilità. La prima è quella di negare cocciutamente l’evidenza, negare il carattere discrezionale dell’azione giudiziaria (è stata, fin qui, l’ipocrita scelta italiana). La seconda è ammetterla apertamente e, per conseguenza, collegare strettamente discrezionalità, responsabilità e controllo. Il magistrato si prende i suoi rischi ed eventuali abusi e inefficienze potranno essere più facilmente individuati e sanzionati: chi ne colleziona troppi non fa carriera. Forse è un’ingenuità sperare che qualcosa di buono venga fuori dal caos di questi giorni. Probabilmente, la strategia che, quasi certamente, adotterà il Csm si rivelerà vincente: placati i rumori, tutto si risolverà con qualche sostituzione al vertice della Procura di Milano. Senza che nessuno, né fra i politici di governo né fra gli alti magistrati, si mostri desideroso di incidere sui nodi di fondo. Anche perché bisognerebbe rimettere in discussione troppi luoghi comuni e ribaltare strategie consolidate. A cominciare da quelle che hanno reso così fallimentare, per ammissione di tutti, l’azione di contrasto alla corruzione. Già si sente dire che occorrono nuove leggi, più severe. Bugie o stupidaggini. Occorrerebbe invece fare il contrario di quello che si è fin qui sempre fatto: occorrerebbe semplificare drasticamente la legislazione sugli appalti e modificare, rendendoli molto meno formalistici e molto più sostanziali, i meccanismi amministrativi di controllo. Ma, a quanto pare, l’Italia non è capace di imparare dai propri errori. Anche in materia di conduzione di inchieste giudiziarie, sembra che ci sia poco spazio per ripensamenti. Se, in questo modo, risulterà alla fine che ci saremo giocati anche l’Expo, il vulnus sarà per il Paese pesantissimo, forse irrimediabile. Per ora, possiamo solo ricordare una «regolarità». Le istituzioni forti, capaci di imporsi anche alle altre, sono sempre internamente coese. Quando si dividono, quando sono dilaniate da lotte intestine, perdono di colpo la forza. E anche il prestigio."

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