lunedì 26 maggio 2014

QUELLI DE LA STAMPA VEDONO IN EUROPA ALTRE ELEZIONI. ALDO CAZZULLO COMMENTA SUL CORRIERE QUELLE VERE


Mentre quelli de La Stampa non si sa che film abbiano visto o da chi siano finanziati per scrivere le cose che pubblicano sui giornali, e quindi straparlano di un'Europa che ha tenuto, di una astensione che non tracima, scambiando evidentemente i desideri con la realtà, su Corriere, Repubblica , giornali certo non anti euro, anzi, si leggono resoconti più veritieri. La mia l'ho già detta (     ), qui mi limito a ribadire che aver confermato il dato di voto più negativo della storia europea, quello del 2009, con il 43% di votanti e il 67 a casa, con paesi storici fondatori dove vince il partito più euroscettico, il Fronte Nazionale della Le Pen, senza contare il clamoroso risultato di Farage, primo in GB, e gli altri concreti risultati dei partiti più critici con l'Europa com'è, non mi sembra quello che si dice una "tenuta". L'Europa stava male nel 2009 e non è certo guarita nel 2013. Anzi. Dopodiché non è morta, e allora se questo era il timore si può esultare che il caro malato non sia ancora estinto.
ma sulle cure da portargli la confusione e i contrasti restano grandi.

Di seguito, il sensato commento di Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera.




il Rigetto della Classe Dirigente Europea


 L’eclissi dei partiti tradizionali. Il rigetto dell’establishment europeo. Proprio quando i cittadini sono chiamati per la prima volta a indicare il presidente della Commissione di Bruxelles, scelgono invece in percentuale mai viste movimenti che negano l’Europa e sostengono il ritorno al passato delle monete e delle sovranità nazionali.
Nel Regno Unito l’Ukip triplica il 3% delle Politiche del 2010, umiliando conservatori e laburisti. Il Front National passa dal 6% delle scorse Europee al 25, diventando il primo partito di Francia. E la bassa affluenza (a Londra ha votato solo un terzo dell’elettorato, a Parigi meno della metà, sia pure in leggera crescita rispetto al 2009) non può essere certo un alibi; semmai è un aggravante. Tanto più che le forze ostili all’Europa crescono dappertutto, dalla Danimarca all’Austria.
Il risultato di ieri indica due cose. L’Europa ha sbagliato la risposta alla crisi. Tutto il mondo ha reagito al crollo finanziario e industriale con una politica di espansione e di investimenti; solo l’Europa a guida tedesca ha seguito la linea dei tagli e del rigore, impoverendo tutti i Paesi tranne la Germania. Non deve stupire che il voto in Germania sia stato l’unico a riprodurre schemi tradizionali, isola rocciosa e refrattaria nel cuore della tempesta. Ma non è solo questione di politica economica. Il voto europeo conferma una tendenza diffusa ben oltre il continente: il segno del nostro tempo è la rivolta contro le élites, contro le istituzioni, contro le forme tradizionali di rappresentanza. E l’Europa è sentita come fondamento e garante di quelle élites contro cui ci si ribella: perché, come ha detto Marine Le Pen, «il popolo è stanco di obbedire a leggi che non ha votato e di sottomettersi a commissari che non hanno ricevuto la legittimità del suffragio universale».
Ovviamente, il successo di forze xenofobe e scioviniste deve preoccupare. Ma la risposta non è gridare allo scandalo. È un cambiamento profondo: apparati meno costosi, burocrazia più snella, un ceto politico capace di riformare se stesso, di rinunciare ai privilegi, di combattere la corruzione. In quasi tutta Europa, la sinistra non approfitta del fallimento di una Commissione di Bruxelles egemonizzata dal centrodestra, anzi arretra: perché la sinistra stessa è vista come parte di quelle élites, di quell’establishment, di quel sistema che viene rifiutato. Ma leggere un risultato epocale con le lenti tradizionali della dicotomia destra-sinistra non aiuta a capire. Il vero confronto di queste elezioni è stato tra l’alto e il basso della società: un confronto senza vincitori tra classi dirigenti anchilosate e populismo, tra il pensiero unico monetarista e la velleità di un impossibile balzo all’indietro.
L’Italia non fa affatto eccezione. Mai si era visto in una democrazia occidentale il movimento fondato da un ex comico arrivare alle percentuali raggiunte da Grillo un anno fa e quasi confermate ieri.. E il Pd si afferma perché si affida a un giovane considerato fino a ieri un usurpatore, un alieno, un corpo estraneo al partito, emerso grazie alla rude richiesta di rottamare la nomenklatura della sinistra, e che pure a Palazzo Chigi ha continuato a costruire la propria politica «contro»: scegliendo come obiettivo polemico i sindacati, Confindustria, la burocrazia, le prefetture, la Rai, insomma il sistema. Un’Europa che funzioni meglio e una politica economica che mobiliti risorse ed energie contro la crisi saranno domani i rimedi migliori. Ma l’onda populista non refluirà tanto facilmente. E ogni Paese cercherà la propria soluzione. In Francia, ad esempio, il trionfo del Front National finirà per rimettere in campo l’unico che, piaccia o no, ha il carisma per contrastare Marine Le Pen: il vituperato Nicolas Sarkozy .

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