Mi piacerebbe che il Presidente Napolitano, che così acriticamente mi sembra difenda le riforme partorite dal governo e criticate da più parti per i loro testi attuali, rispondesse alle obiezioni di Michele Ainis su quella che riguarda il Senato ( e s'intuisce anche la legge elettorale). Così come sono, le riforme, collegate, creano un potere troppo forte del partito - o coalizione - che si assicuri col 37% dei voti (magari col 50% di astenuti...) la maggioranza assoluta alla Camera e a quel punto finisce per avere una sorta di opzione forte anche sulla carica del Capo dello Stato. Tramite quest'ultima anche la Consulta (e mettiamoci pure il CSM) vedrebbero uno sbilanciamento sempre a favore di quell'unica forza. Da troppo poco a troppo, conclude Ainis.
Che però vede la possibilità di utili correttivi, per ristabilire equilibri tra poteri e salvaguardare le garanzie istituzionali, ed elenca quali.
Non pochi, il che, caro Presidente Napolitano, suggerisce che il parto del Governo e della commissione non sia stato ottimale.
Ci saranno pure gli "sfascisti" in Parlamento, ma non basta l'obrobrio del Titolo V, riformato da Prodi & Co, e adesso urgentemente da rivedere radicalmente, per capire che non basta "riformare", ma che bisogna farlo BENE ??
I contrappesi delle istituzioni
Il labirinto delle garanzie
Le riforme rischiano di naufragare per una serie di ostacoli, ecco quali
Il Titanic delle riforme rischia
d’affondare sbattendo contro un doppio iceberg. L’elezione diretta del
Senato, in primo luogo: respinta dal governo, però caldeggiata da
Grillo, auspicata da Alfano, bramata da un fronte eterogeneo del
dissenso tra le file del Pd e di Forza Italia. E in secondo luogo le
preferenze per eleggere i nuovi deputati, negate anch’esse dall’
Italicum , ma agognate anch’esse come il primo amore. Errore: non è su
questi ostacoli che può interrompersi la navigazione. Dopotutto,
«Batman» Fiorito ottenne 26 mila voti di preferenza. E un Senato non
elettivo costituisce la regola in Europa: funziona così in Francia,
Germania, Austria, Olanda, Regno Unito, e almeno parzialmente in Belgio e
in Spagna.
Dov’è allora lo scoglio? Sott’acqua:
c’è, ma non si vede. Come la trama impercettibile di relazioni e di
reciproche influenze tra i poteri dello Stato, come il gioco di pesi e
contrappesi che garantiscono la tenuta del sistema. Ecco, le garanzie.
Il bicameralismo paritario rispondeva a quest’ultima funzione, nel bene e
nel male. Se ce ne sbarazziamo, se al contempo iniettiamo vitamine
nelle vene del governo, dobbiamo giocoforza individuare altri presidi
della legalità costituzionale. Perché vale pur sempre l’antidoto del
vecchio Montesquieu contro ogni deriva autoritaria: «Il potere arresti
il potere». E quale potere dovrà armarsi d’un fischietto? Non il nuovo
Senato: per come si va configurando, diventerà un raccordo fra lo Stato e
gli enti decentrati, non un organo di garanzia. Nemmeno un’altra
authority , come se le 14 esistenti non fossero abbastanza. Ma è
sufficiente rafforzare i garanti già indicati dalla Costituzione, a
partire dal capo dello Stato.
Qui però sbuca l’inghippo. Con un
Senato di 100 componenti, e senza più il concorso dei delegati
regionali, il presidente verrà eletto da un collegio di 730
parlamentari. Ergo , al partito che incassa il premio di maggioranza
nell’aula di Montecitorio basteranno 26 senatori per spedire un proprio
fiduciario al Quirinale. E il fiduciario nominerà a sua volta 5 persone
di fiducia alla Consulta, dispenserà grazie e medaglie ai fedeli del
partito, ne eseguirà ogni ordine da uomo fidato. E no, non ci fidiamo.
Ma il rimedio è già nero su bianco: l’emendamento Gotor-Casini, che
allarga la platea dei grandi elettori ai 73 europarlamentari, votati con
il proporzionale. D’altronde, non è forse vero che l’Italia è ormai una
cellula dell’Unione Europea? E non è vero che il presidente assorbe
varie competenze in questo campo, sia in politica estera che in materia
di difesa?
Dopo di che c’è ancora qualche pezza da cucire.
Per esempio attribuendogli il potere di rinviare le leggi una seconda
volta, con un veto superabile soltanto a maggioranza assoluta.
Innalzando il quorum per eleggere il presidente della Camera, in modo da
affiancare all’arbitro un guardalinee più autorevole. Permettendo
l’accesso delle minoranze parlamentari alla Consulta. Disinnescando i
conflitti d’interesse, e quindi sottraendo ai deputati il potere di
decidere sulla validità della propria elezione, sulle immunità, sulla
paga di Stato. Potenziando gli istituti di democrazia diretta, l’unica
pistola che hanno in tasca i cittadini. Rendendo obbligatorio il
referendum confermativo su ogni riforma costituzionale, compresa quella
in cantiere. Del resto, proposte analoghe possono già leggersi fra i
7.850 emendamenti depositati in Senato, anche se è un po’ come cercare
l’ago nel pagliaio. Ma basta dotarsi d’una lente, e avere voglia di
guardare.
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