giovedì 3 luglio 2014

CI VOLEVA LA GALERA A DELL'UTRI PER SAPERE CHE CHE LA LETTURA E' UN PREMIO


Questa cosa dei libri che "si devono meritare" e che comunque sono centellinati in carcere non la sapevo e preferivo non saperla.
E' uscita fuori con Dell'Utri, che se non erro ha minacciato lo sciopero della fame se non gli consentiranno di avere più di due libri in cella. 
Questa cosa non la comprendo. Già uno è recluso, e troppo spesso in condizioni poco umane, perché non consentirgli di passare parte di quelle ore in costrizione leggendo ? Che male fa ?
Ah, deve essere che la lettura è una forma di evasione...
E' facile poi accanirsi con personaggi come Dell'Utri, non simpatici nemmeno in epoca di auge del Cavaliere, figuriamoci adesso, ma questa cosa dei libri è un bella vergogna del sistema penitenziario italiano che salta fuori e credo-spero si riveli un boomerang.
Così come l'allucinata iniziativa del CDR di quelli del Corriere della Sera, e poi del consiglio dell'ordine dei giornalisti lombardi, che sono saltati su contro il direttore de Bortoli per aver accettato di pubblicare una inserzione pubblicitaria nella quale viene espressa la  solidarietà nei  confronti del condannato, parlando addirittura di possibile "apologia di reato". MA a che punto può arrivare la demenza umana ??
Parenti, amici e familiari che pubblicano ciascuno poche righe in cui sostengono che per loro, per come lo hanno conosciuto, Dell'Utri è una brava persona. Questa sarebbe apologia di reato ?
O lo sarebbe sostenere la propria convinzione che, nonostante la condanna definitiva, quell'uomo è innocente ? Io la professione di giornalista la volevo fare, però so che avrei convissuto male con tanti minus habens. 
La mente mi è corsa, leggendo queste iniziative - che non so che fine abbiano fatto, spero carta per incartare il pesce - ad Adriano Sofri, il colpevole "definitivo", secondo la legge, e che ha il più grande numero di sostenitori della sua innocenza. E questi ultimi non si sono limitati a dirlo e scriverlo in libri e giornali, ma hanno firmato una petizione con migliaia di firme recapitate al Capo dello Stato chiedendo il suo intervento ! 
E Sofri è stato condannato per un omicidio vigliacco e odioso, quello del commissario Calabresi, non per un reato inventato dai giudici "il concorso esterno in banda mafiosa", che non esiste né in un codice né in una legge, che pure dovrebbero essere, in un sistema che NON è di common law, le UNICHE fonti di diritto.
Chi mi legge sa che sono un ammiratore di SOfri uomo e scrittore, e anche io credo nella sua innocenza.
Però scomodo sempre lui per paragoni che so essere sullo stomaco per la sinistra capalbiese e girotondina, che si scorda, nell'accanirsi contro i "pregiudicati", che uno di questi è un loro "eroe", o lo è stato.
Ebbene, proprio Sofri scrive un bellissimo articolo sui libri e sul carcere, che sarebbe bene i giornalisti del corsera firmatari di quella protesta leggessero.
Poi però mi viene un dubbio : lo capirebbero ?
No, in effetti no.


I libri in cella



Dovete andare in galera: abbracciate i vostri cari, mettete nel sacco spazzolino, biancheria di ricambio, e due libri –forse i due libri prima dello spazzolino?- un romanzo da rileggere, e un saggio recente, o forse un dizionario portatile. All’arrivo, vi lasciano lo spazzolino, vi tolgono i libri. Se eravate novellini, e credevate che davvero le arance fossero permesse, e anche i libri rilegati, dovrete rassegnarvi allo scempio delle copertine rigide strappate via, per regolamento –ragioni di sicurezza. Ogni tanto si ricomincia, con la questione dei libri in cella: se siano una concessione, o un diritto. In Inghilterra è appena successo con la breve detenzione di un ex-deputato laburista ed ex-ministro, Denis MacShane, condannato per aver falsificato i rimborsi (risonanza enorme, cifra modesta in confronto alle nostre) cui furono confiscati i libri che si era portato dietro. Caso che ha fatto esplodere uno scandalo tuttora non sopito. Il ministro della giustizia, Chris Grayling, ha fatto sapere che il divieto di portarsi dietro libri o riceverli per pacco o dai parenti è una misura tesa a far sì che i detenuti li meritino: in sostanza, i libri devono essere un premio alla buona condotta. Per fortuna, un’insurrezione ha accolto la pretesa: di spirito poetico dotata, la scrittrice Cathy Lette ha avvertito: “Lo impaleremo sui nostri pennini”. Altri hanno commentato che condannare a morire di fame di lettura è indegno della Gran Bretagna. Da noi, Marcello Dell’Utri ha minacciato lo sciopero della fame per il divieto (ora caduto) a tenere in cella più di due volumi: “Per me i libri sono come l’acqua”, ha detto. I libri sono come l’acqua per tutti i carcerati, o come una zattera. La prigione è un naufragio e non è un caso che all’inizio d’estate le pagine di varietà ricomincino con la domanda: “Che libro vi portereste su un’isola deserta?” Che libro vi portereste in carcere. Magari uno di quelli che in carcere sono stati dettati o concepiti, Il Milione, o il Don Chisciotte, o l’impressionante antologia raccolta da Daria Galateria, “Scritti galeotti. Narratori in catene dal Settecento a oggi” (Sellerio: ne mancano pochi). Ma la tradizione grandiosa della scrittura in carcere non è nemmeno paragonabile alla tradizione inaccertabile della lettura in carcere. In Inghilterra, avendola detta grossa, i responsabili delle carceri hanno ripiegato sulle ragioni di sicurezza: i pacchi vanno controllati, e il personale è poco, e i fondi sono tagliati… Come le copertine rigide. Sciocchezze. Poche cose sono facili da controllare come i libri. Ma il tema scatenato dall’ottusità penitenziaria porta lontanissimo. In Brasile, Dilma Roussef (ex-detenuta) sperimentò due anni fa la concessione di 4 giorni di riduzione della pena per ogni libro letto –per un massimo di 12 libri, 48 giorni. In ambedue i casi, quello che riduce la lettura a un premio alla buona condotta e quello che considera buona condotta la lettura, c’è un malinteso: che leggere libri renda migliori, e contribuisca a risocializzare. E’ vero per la gran parte delle persone, dentro e anche fuori del carcere: ma può anche non esserlo. Quello che conta è che la lettura –e il suo reciproco, la scrittura- è un’attività ormai connaturata all’homo sapiens sapiens, e lo è infinitamente di più dove è privato della libertà. I libri e i giornali sono, oltre che la radio e la tv, ciascuno a suo modo, il mondo surrogato che permette ai carcerati di tirare avanti. In galera l’aria guadagna un senso diverso e calcolato: l’ora d’aria. Nemmeno l’aria che respiri ti rende migliore: semplicemente, ti impedisce di soffocare. Così la lettura. In ogni carcere italiano dovrebbe esserci una biblioteca: c’è nella maggioranza. Spesso è ancora povera, specialmente di libri e giornali adatti alla popolazione straniera. Spessissimo non accoglie i detenuti in modo che possano guardare i libri, sfogliarli, sceglierli. Molto si fa, da volontari e enti locali (che hanno per legge la responsabilità delle biblioteche carcerarie) scontrandosi con gli impedimenti e a volte i boicottaggi quotidiani della vita carceraria. Perfino regalare libri alle biblioteche carcerarie è un’impresa, fra passaggi burocratici e questioni di catalogo e spazio. I detenuti chiedono soprattutto libri sulle questioni ultime, dicono gli esperti: filosofia, religione. Può darsi, i letti a castello propiziano la metafisica. Cercano soprattutto storie d’amore, su cui vagare, e imparare a scrivere lettere d’amore. La vecchia categoria degli “scrivani” ha questo grande privilegio, di fare da Cyrano di mille Rossane, e intanto imparare dagli altri, da quelli che non trovano le parole appropriate, che non sanno scrivere, le parole sorprendenti che loro non avrebbero immaginato. C’è un’ultima questione: per i liberi non solo la lettura dei libri è necessaria e naturale come l’aria e l’acqua, ma anche internet, e gli e-book, e il resto. Fino a quando penseremo che sia un lusso proibito per i detenuti, e che scrivere mail, per chi è autorizzato a scrivere e ricevere lettere senza censura, sia impensabile? I liberi si castigano spesso accontentandosi del mondo virtuale. I prigionieri sono mutilati anche di quello.

6 commenti:

  1. GIUDITTA MERISI

    beh con la carta ci possiamo sempre tagliare le vene... in verticale per giunta... chissà quelli che si laureano in carcere dove le terranno queste armi contundenti...

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  2. CATERINA SIMON

    Bravo Stefano hai fatto benissimo a stigmatizzare quest cosa! Che brutta immagine da di sé una Giustizia che s'ingegna in tutti i modi per rendere ancor più miserabile la vita di chi, privato della libertà, miserabile lo è già. Una Giustizia che non includa in sé stessa anche i concetti di pietà, e magnanimità, scivola nella vessazione meschina e nel manettarismo più becero.

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  3. GIANFRANCO ABENANTE

    Mi sia consentita qualche osservazione. La prima, di carattere tecnico: i libri sono fatti di materiali infiammabili. La seconda, parliamo di un mafioso stracarico di soldi, protetto da costosissimi e ferratissimi avvocati, non di un poveraccio qualsiasi; ignoro, e me ne rammarico, la produzione intellettuale di questo novello Gramsci. La terza, di chiarimento, collegata alla prima: lui può tenere al massimo due libri per volta, non due libri, gli stessi due libri, per tutto il periodo di carcerazione. Seccante, certo, ma non mi sembra la peggiore delle vessazioni, anche se capisco che da latitante in Libano sarebbe stato più a suo agio.

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    1. Gianfranco io sono sicuro che tu sei una persona che legge abitualmente. Pertanto, se è vero che la media nazionale è di 5 libri l'ANNO, le persone che leggono con assiduità normalmente ne possono leggere tranquiilamente uno o due a settimana. Se sei in carcere, e quindi con tanto tempo "libero", questa media inevitabilmente aumenta. Come avrai letto nel post di Sofri, c'è, in alcuni personaggi, anche non italiani, anche istituzionali, uno sfavore che nasce non dal timore che i libri siano infiammabili ma che siano di conforto al reo, che "ha da soffrì" il più possibile. Ora, si tratta di stabilire se si condivide o no questo principio, e questo PRESCINDENDO se ti chiami Dell'Utri o Mario Rossi.

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    2. GIANFRANCO

      Che i libri siano infiammabili è un fatto, mentre l'idea che il sistema carcerario sia teso ad aggravare la sofferenza del carcerato è una posizione che sa di ideologico (lo dico senza intenzioni polemiche) e se mi consenti non la condivido. Cioè io non credo che il sistema carcerario italiano sia improntato intenzionalmente a questo scopo. Se non mi chiarisci poi qual è il ritmo di cambio dei famosi due libri, cioè ogni quanti giorni posso restituirli alla biblioteca del carcere e richiederne altri due, non so nemmeno rispondere con precisione sull'argomento. Questo, immaginando che Dell'Utri non parli dei suoi libri di casa da portarsi in carcere, che, oltre ad essere infiammabili, richiederebbero un controllo molto attento, scientifico, per accertare l'eventuale presenza di pizzini o di messaggi sotto altra forma, cioè presenterebbero un problema di sicurezza non banale.
      En fin, come lettore appassionato che mantiene solo sul suo comodino una ventina di libri (nonostante le proteste di mia moglie), capisco la sofferenza di un altro lettore. Ma qui finiscono le mie limitatissime affinità con un colluso con la mafia.

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    3. Gianfranco, è la seconda volta che commentando dei miei post mi "accusi" di posizione ideologica. PUò darsi tu abbia ragione, anche se io non ho questa percezione. Piuttosto, molto forte, ce l'ho nei tuoi confronti. Siccome si tratta di mera sensazione - non ci conosciamo, che ne sappiamo l'uno dell'altro ? - , mi soffermo di più a riflettere e magari forse più che di ideologia si tratta di gusto polemico. Il nostro sistema carcerario, di FATTO, proprio per le sue carenze gravissime di spazio e di mezzi, si sta beccando una sieri di condanne dalla Corte Europea , con tanto di liquidazione ai detenuti che fanno ricorso (ore decine, immagino presto a migliaia ) NON per l'ingiusta detenzione - che quello è UN ALTRO capitolo doloroso - ma per le CONDIZIONI della stessa. Quindi, DI FATTO, ancorché non ci sia una volontà maramalda da parte del sistema ("solo" come sempre ottusamente rigido e burocratico), di direttori e guardie penitenziarie, le carcere italiane sono fuori della legge europea, perché degradate e degradanti, e come tali vengono sanzionate. Per curiosità Gianfranco : cosa ne pensi della protesta del CDR del Corriere e dell'Ordine lombardo dei giornalisti contro la pubblicazione sul giornale di de Bortoli dei messaggi di solidarietà personale a DEll'Utri ? Apologia di reato anche per te ? Mi sarebbe utile saperlo

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