domenica 17 agosto 2014

EVVIVA, ANCHE I TEDESCHI PIANGONO ! CONSOLAZIONE MOLTO PEREGRINA. LA TERAPIA CORAGGIOSA DI ALESINA E GIAVAZZI


Torniano dopo la breve pausa ferragostana (premiata da una bellissima mail di una lettrice, di idee politiche diverse e che pure apprezza il camerlengo per lo stimolo a riflessioni diverse... e so' cose belle ! ) .
Ci eravamo lasciati con la notizia che anche la grande Germania aveva battuto un colpo a vuoto, con un trimestrale di - 2%  preciso identico al nostro . Alleluia ha pensato e detto subito il nostro Premier (non solo lui), anche i tedeschi piangono ! Allora il problema non siamo noi italiani, ma è l'intera Europa !
Insomma, la storia del mal comune ecc. ecc. conserva la sua verità. Del resto, che l'area Euro mostri problemi intrinseci, è vero, lo dimostra il fatto che oltre ai paesi in più forte crisi, tra cui ci siamo NOI, grazie ad un debito pubblico mostruoso, "migliore" solo di quello greco, anche gli altri non è che se la passino benissimo.
Aveva fatto eccezione la Germania con pochi altri, che, grazie ad un sistema paese più solido, aveva retto meglio la botta della crisi mondiale del 2007. Adesso anche la Merkel soffre, e c'è chi pensa che sia la prova provata che l'austerità non sia ricetta giusta per uscire dalla crisi. In realtà i migliori osservatori dicono un'altra cosa e cioè che NON basta solo l'austerità, intesa come l'adozione di riforme che facciano cessare sprechi ed eccessi di generosità pubblica, è comunque necessario che la cura sia "accompagnata" da un adeguato sosegno di liquidità monetaria. In realtà Draghi ha fatto più di qualcosa in questo senso, e a chi li ha chiesti i soldi li ha dati (40 miliardi con cui la Spagna ha salvato le sue banche, però risistemandole anche, a quanto si legge). L'Italia, per non farsi guardare troppo dentro casa propria, ha finora sempre rifiutato questo tipo di sostegno, e anzi è una nazione che nonostante le sue difficoltà economiche ha partecipato copiosamente a finanziare il fondo salva stati, che ha sostenuto la Grecia (ma non solo) .
In realtà ritengo molto verosimile la tesi che il -2% tedesco sia ANCHE (non solo) dovuto al recente annacquamento delle coraggiose riforme di Schroeder , con concessioni in materia di pensioni e salario minimo garantito che comportano un aggravio della spesa pubblica tedesca. Insomma, anche loro stanno un po' cicaleggiando...
Alesina e GIavazzi propongono sull'editoriale di oggi del Corsera una "terapia coraggiosa"  incentrata su un sostanzioso abbassamento delle tasse. Lo propongono come ricetta europea, ma dubitando saggiamente che i tedeschi aderirebbero, immaginano qualcosa di circoscritto al nostro paese.

 TERAPIA CORAGGIOSA 
di ALBERTO ALESINA e FRANCESCO GIAVAZZI
 


Il rallentamento della crescita in molti Paesi dell’euro (con importanti eccezioni come Spagna e Portogallo) è stato accolto con sollievo dal presidente del Consiglio, la prova che non esiste un caso Italia. Purtroppo non è così. Fatto 100 il livello del Pil (prodotto interno lordo) nel secondo trimestre del 2008, quando iniziò la crisi, il livello in Italia oggi è 91, cioè in sei anni abbiamo perso il 9 per cento del reddito nazionale, un fatto straordinario; 93 in Spagna, nonostante l’esplosione di una grande bolla immobiliare e comunque dopo anni, prima del 2008, in cui la Spagna era cresciuta a tassi del 3-4% l’anno; 101 in Francia e 104 in Germania, cioè l’economia tedesca non solo ha annullato gli effetti della crisi ma si è espansa del 4% rispetto agli anni pre-crisi. L’economia italiana invece da tre anni si contrae. Il lievissimo miglioramento registrato alla fine dell’anno scorso (+0,1 nell’ultimo trimestre) è stato subito annullato da due trimestri negativi quest’anno. Il tasso di disoccupazione è fermo sopra il 12% (e sopra il 40% quello giovanile). In Germania è il 5,1%.
Che fare? Per contrastare un rallentamento generalizzato dell’economia dell’euro la soluzione migliore (come spiegato da Guido Tabellini sul Sole-24Ore del 25 luglio e come propone un numero crescente di voci) sarebbe un taglio simultaneo delle tasse in tutti i Paesi, finanziato dalla Bce, e accompagnato da corrispondenti, graduali, riduzioni di spesa. Senza l’aiuto della politica fiscale, infatti, la Banca centrale europea da sola non riuscirebbe a invertire la rotta. È possibile che Matteo Renzi, sfruttando la sua abilità politica e l’occasione della presidenza italiana dell’Ue, riesca a convincere gli altri Paesi e in primis la Germania. Ma non sarà facile. Occorre quindi predisporre una strategia alternativa. Cioè chiedersi che cosa potrebbe fare l’Italia se dovesse agire da sola.
Vi sono due strategie alternative. La prima è coraggiosa: tagliare subito, e in modo permanente, le tasse sul lavoro di almeno due punti di Pil (cioè circa 33 miliardi l’anno, l’ipotesi in questo momento più ragionevole anche se si potrebbe pretendere di più) e al tempo stesso approvare tagli di spesa della medesima entità. Questo dovrebbe essere accompagnato da una liberalizzazione del mercato del lavoro (attuando il progetto del senatore Pietro Ichino) affinché la maggior domanda che si creerebbe possa produrre posti di lavoro «veri» e non solo precari perché l’articolo 18 spaventa gli imprenditori.
Le idee su dove reperire risparmi di questa entità ormai abbondano. Dal lavoro del commissario Carlo Cottarelli, alle proposte di Roberto Perotti su www.lavoce.info , al rapporto consegnato due anni fa da uno di noi (F. G.) al governo Monti.
Questi tagli, tuttavia, anche se venissero approvati oggi, impiegherebbero un po’ di tempo per andare a regime, un paio d’anni almeno.

Ad esempio, molti sussidi alle imprese possono essere eliminati, ma non si possono cancellare contratti in atto. (Certo, se avessimo varato questi tagli due anni fa...). Con questa strategia quindi il deficit per qualche anno aumenterebbe, con la conseguenza che violeremmo le regole europee.
Come farlo senza apparire i soliti italiani che non rispettano mai gli impegni? Soprattutto dopo avere annunciato con grande enfasi, solo un anno fa, quando uscimmo dalla «procedura di infrazione», che eravamo ritornati virtuosi. Dobbiamo convincere che qualcosa di importante è cambiato. C’è un solo modo: varare finalmente quelle riforme di cui da anni si parla senza mai attuarle. La prima, cui abbiamo già accennato, è la sostituzione dello Statuto dei lavoratori (norme scritte 40 anni fa per il mondo di 40 anni fa) con regole adatte ad un mercato del lavoro moderno. E poi una riforma dalla giustizia civile che dia fiducia agli investitori esteri atterriti dal fatto che in Italia ci vogliono almeno 10 anni per chiudere una causa.
Certo, violare le regole significa che l’Italia tornerebbe ad essere «sorvegliata» dalla Commissione europea, come d’altronde lo è la Francia. Poco male se questo aiuterà ad accelerare le riforme. E comunque più riforme variamo prima di violare le regole, più tenue, o addirittura irrilevante, sarà la sorveglianza. Si tratta di riforme che fanno tutte parte del programma di questo governo. Renzi deve solo spendere un po’ della sua credibilità e del suo capitale politico per vararle rapidamente, così come ha fatto, sinora con successo, per la riforma della Costituzione.
La strategia alternativa è cercare di rimanere all’interno del 3% nel rapporto deficit-Pil, con tagli marginali e qualche aumento nascosto della pressione fiscale, ad esempio facendo crescere le accise, e sperare che l’economia si riprenda da sola. È molto probabile che questa strategia ci regalerebbe un altro anno di crescita negativa — sarebbe il quarto consecutivo — ed è forse questo il motivo per cui le previsioni di molti osservatori peggiorano di settimana in settimana.
La scelta tra queste due strategie dipende molto da come reagirebbero i mercati e dall’effetto che esse produrrebbero sullo spread e quindi sulle nostre tasse e sul costo del denaro per le imprese. Una violazione delle regole europee, senza alcun piano credibile di rientro e di riforme, spaventerebbe i mercati e farebbe alzare lo spread. D’altro canto, un altro anno di crescita negativa porterebbe il rapporto debito pubblico-Pil verso il 150%, sollevando dubbi sulla sostenibilità del nostro debito (del quale un terzo, circa 700 miliardi di euro, è posseduto da investitori internazionali).
Quale strada quindi? A noi pare che la situazione sia ormai così seria che i rischi della seconda strategia, cioè non contrastare con efficacia la recessione, siano maggiori della prima. Far ripartire la crescita abbassando con coraggio le tasse è oggi la nostra priorità. Ma Renzi deve usare tutta la sua abilità politica e la sua credibilità internazionale per far sì che nessuno possa mettere in dubbio la determinazione del suo governo a riformare l’economia. 

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