domenica 17 agosto 2014

I RENZIANI E LA SCOPERTA DELLA ZAVORRA DELL'INTELLIGHENZIA SINISTRESE



La riflessione di Pierluigi Battista pubblicata oggi sul Corriere, contiene molte verità, ricordando come oggi il favore della sinistra renziana per il decisionismo comporti come necessaria conseguenza l'insofferenza per l'intellighenzia capalbiese e professorale che ad ogni iniziativa volta ad aumentare i poteri dell'esecutivo grida all'attentato autoritario. Il già vicedirettore del giornale di via Solferino ricorda a questi signori come in passato anche loro erano intruppati con le pletore di ossessionati anti berlusconiani che pure, ad ogni tentativo di riforma del centrodestra, invocavano l'attentato alla costituzione, al nuovo tiranno. Ne citiamo alcune di riforme che in qualche modo il Cavaliere aveva partorito e che furono in questo modo affossate ? Una, nel 2005-2006 riguardò proprio il Senato ! Già allora era stato abolito il bicameralismo perfetto, e anzi l'impianto nuovo sembrava anche migliore di quello attuale. Eppure la sinisra riuscì a vincere il referendum e la riforma costituzionale abortì. La riforma delle pensioni di Monti e Fornero ? Anch'essa era stata già messa in rampa di lancio, con l'innalzamento della età pensionabile e il passaggio al sistema contributivo. Anche questa fu affossata. Sulla riforma del lavoro e l'abolizione dell'art. 18 Cofferati riuscì a portare milioni di persone al Circo Massimo per l'adunata oceanica sindacale più grande della storia. 
Ecco, adesso la medicina l'assaggiano i renziani, e ovviamente 'o presepe nun glie piace...
Auguro loro di riuscire ad andare avanti su certe cose, che sono uno convinto che il parlamentarismo nostrano sia da tempo deleterio e l'esecutivo sempre stato poco efficace anche per carenze istituzionali. Del resto, si sa, da noi le rfiorme si possono fare solo con la sinistra al governo, in modo che le piazze stiano buone.
Però ricordo. E anche Battista ricorda.
Speriamo ricordino in tanti.

Quell’Insofferenza per i Professoroni (nell’era dei 140 Caratteri)

Eppure in tanti anni mai una parola contro l’appellomania di chi vedeva tirannie dietro ogni legge berlusconiana

di PIERLUIGI BATTISTA

 

shadow
Ma davvero gli intellettuali sono lo spauracchio di chi teme che possano mettersi di traverso sulla strada luminosa delle riforme (annunciate)? Un pericolo il ceto polveroso e sgualcito degli intellettuali nell’era dei 140 caratteri non uno di più, della comunicazione sprint, dell’hashtag lapidario, della scattante giovinezza, dell’accelerazione universale? Addirittura il presidente del Consiglio invoca una resa dei conti con questa palla al piede di un’Italia che vorrebbe ripartire di slancio se non fosse frenata dai «professoroni» maestri di conservazione e di immobilismo. Loro, gli intellettuali, non contano granché. Ma nell’ansia di scovare il «gufo» anche dietro la cattedra, anche il «professorone» viene bene per identificare la figura del nuovo sabotatore, dell’intellettuale da establishment, dell’«editorialista» che piace alle élites che tramano nell’ombra.
E sarebbe pure un po’ strano questo accanirsi sugli intellettuali recalcitranti da parte di chi in tanti anni non ha mai speso un sospiro per contrastare l’appellomania di un ceto che si inventava tirannie dietro ogni legge berlusconiana. Di chi trattava come un fissato anticomunista chiunque osasse manifestare qualche perplessità sull’«egemonia culturale» di una sinistra dogmatica, ossificata, conservatrice, orgogliosamente antiriformista. Di chi lasciava correre quando nel suo mondo d’appartenenza si deplorava addirittura la «destra culturale» dell’Adelphi (anche questo è stato detto, e non era satira) per difendere la purezza ideologica del catalogo Einaudi. Ora i nuovi corifei del decisionismo di governo si impancano a fustigatori degli intellettuali così riottosi da eccepire nientemeno che sull’efficacia della riforma del Senato. Ora si sono svegliati da un torpore pluridecennale e scoprono, infiammati dallo zelo dei neofiti, che la cultura di sinistra è prigioniera di un tic oltranzista, di un umore poco incline ad accettare il riformismo come orizzonte e metodo della politica. Ora, improvvisamente, si sono accorti che agli intellettuali italiani non va giù una democrazia in grado di «decidere», insofferente ai sacri riti del discussionismo perenne e inconcludente. Ora lanciano i loro strali contro gli intellettuali nuova «clasa discutidora», come un brillante reazionario come Juan Donoso Cortés definiva una borghesia cavillosa, imbelle e schiava del vizio parlamentarista.
Che poi non è nemmeno tanto vero. Gli intellettuali «discutidori» hanno contrastato Craxi e Berlusconi, archetipi del decisionismo in guerra con la cultura mainstream della sinistra consociativa. Ma con pari ardore hanno contrastato a grande maggioranza, e lungo tutto l’arco del post-fascismo repubblicano, la Democrazia cristiana, che certo non si può eleggere a modello di una politica muscolare e decisionista. E nel ‘48 optarono in massa per il decisionismo brutale di Stalin anziché per il mite e democratico De Gasperi. Del resto gli intellettuali italiani hanno sempre amato l’uomo forte, il Partito forte, il leader forte. Detestarono Giolitti per il suo gradualismo così poco elettrizzante e persino Gobetti, per contrastare la nefasta azione dei «partiti del ventre», il socialista e il popolare, volle tessere un «elogio della ghigliottina». Si schierarono in massa con il Duce e se furono tentati dall’eresia era per rimproverare al fascismo di essere troppo poco fascista, radicale, rivoluzionario, risoluto. Poi videro nel disciplinatissimo Pci il faro che avrebbe condotto l’Italia lungo la strada delle magnifiche sorti e progressive, il nuovo «Principe» da servire «perinde ac cadaver», come imponeva il motto di Ignazio di Loyola, e certo non solidarizzarono con Elio Vittorini quando veniva insolentito dal leader decisionista Palmiro Togliatti per aver messo in discussione la linea del Partito. Però manifestavano il loro disprezzo per i molli democristiani, che pure condussero l’Italia a «cambiare verso» facendolo diventare da Paese sconfitto e stremato dalla guerra in una grande e prospera potenza industriale, conservando il suo carattere democratico.
Gli attuali cantori del decisionismo non ebbero mai nulla da dire. E ora, tutt’a un tratto, gli intellettuali sarebbero diventati i bastian contrari che fanno da ostacolo nella via delle riforme? Ora si può deplorare la mania degli appelli, l’allarmismo che vede orrende «svolte autoritarie» in ogni rafforzamento dei poteri del governo? Lo zelo dei neofiti gioca brutti scherzi. Un po’ di sana accettazione delle critiche può essere addirittura un corroborante, come hanno sempre sostenuto i (pochi) liberali della cultura italiana. I gufi, si possono lasciare alla zoologia.

Nessun commento:

Posta un commento