Galli della Loggia, nel suo editoriale odierno, sembra prendere le difese del Premier, bistrattato un po' da ogni, sia in Italia che all'estero. Resta il consenso popolare, ma anche quello è un po' in flessione, come del resto è inevitabile se l'economia continua a stagnare, o peggio, come sta accadendo in questo 2014 che ci rivede in recessione. E' una difesa parziale, visto che da una parte il politologo ammette che certe obiezioni all'incipit renziano sono fondate : Squadra non all'altezza, troppe promesse, troppa carne al fuoco...
Allo stesso tempo contesta alla sinistra e ai grillini (di sinistra...) l'accusa di autoritarismo, infondata. Ha ragione Galli della Loggia, ma al contempo come stupirsi ? La sinistra elitaria e radicalchic è stata abituata per decenni ad essere omaggiata e tenuta in considerazione da chi governava, specie in determinati ambiti (negli altri, ci pensava il sindacato a esigere la "concertazione") e quindi ben può scambiare il "non cale" di Renzino nei loro confronti come un reato di lesa maestà, un eco di quel "me ne frego" sentito negli anni '30 del secolo scorso ! Le altre categorie invece hanno i loro giardini da difendere dal cambiamento...
E si ritorna sempre lì, come da tempo andiamo dicendo : questo è un paese irriformabile per la ferrea resistenza delle varie corporazioni - TUTTE, NESSUNA ESCLUSA - , le quali pretendono il cambiamento degli ALTRI e mai il proprio. Ai tempi di Monti si pensava che la drammaticità della situazione, il commissariamento dei partiti maggiori chiamati a sostenere comunque il governo tecnico voluto dal Colle su imput delle istituzioni europee, fossero condizioni eccezionali che avrebbero potuto sbloccare lo stallo di sempre. E infatti nel primissimo momento fu così, con una riforma delle pensioni che se ci si pensa ora sembra un miraggio ( e infatti ci si vuole mettere mano...). Inoltre fu mandato giù un salasso fiscale da levare la pelle, con l'introduzione dell'IMU, nel mentre aumentavano tutte le imposte aumentabili (all'Iva aveva già provveduto Tremonti, su diktat della BCE, e poi un altro punto lo ha aumentato Letta...).
Ma dopo i primi mesi la sindrome da nave che brucia è venuto meno, e si vide con la riforma del lavoro, un pasticcio inenarrabile grazie al cedimento della Fornero, e del suo Premier, ai rigurgiti sindacali, appoggiati da Bersani. Da quel momento si capì che l'agenda Monti era bella che arenata. Il segnale era chiaro : si poteva tornare a puntare i piedi come prima, e tutti lo hanno fatto e lo fanno.
Renzi vaneggia di avere la maggioranza più forte della storia repubblicana ...E' stato a Fatima o a San Rossore ?? L'abbiamo visto con il Job Act che maggioranza granitica che ha !! Per non parlare della riforma del Senato, che senza l'appoggio di Berlusconi se la sognava. Ma del resto, questo è il parlamento uscito fuori dalle elezioni del 2013, dove nessuno aveva vinto e nessuno era in grado di governare da solo. Tanto è vero che il governo Letta nacque con l'alleanza col PDL. Poi Berlusconi si è sfilato, la Alfano e i suoi sono restati, garantendo sì una maggioranza, ma che al Senato è appesa al filo (esattamente come accade a Prodi, nel 2006). Tutto questo lo ha dimenticato Renzino ?
Tornando a Galli della Loggia, scrive cose vere, non nuove, ma non spiega come Renzi possa piegare, con QUESTO Parlamento, il problema atavico italiano. Panebianco dice, con prudente ottimismo, che si possono fare piccole cose nella direzione giusta, mentre da altre parti si torna a invocare la mano europea per piegare il corporativismo ed egoismo italiano.
ÉLITE AVVELENATE
GUFI E ROSICONI
di ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA
Si può riformare l’Italia con il concorso delle élite? Si possono con il loro consenso cambiare le regole che ci stanno strangolando? È questo l’interrogativo che oggi il Paese si trova di fronte, e in particolare che si trova di fronte il presidente del Consiglio, stando anche a quello che si legge nel colloquio di ieri con La Stampa.
Le élite italiane non amano Matteo Renzi. Lo hanno guardato con crescente simpatia nella sua fase per così dire «retorica», quando combatteva per conquistare la leadership e si è subito segnalato per la novità del suo linguaggio, delle cose che diceva (alcune delle quali fino a poco tempo prima a sinistra inconcepibili) e per come le diceva. Ma quando dalle parole si è cominciato a passare ai fatti le cose sono mutate. Allora hanno preso a fioccare via via prima i distinguo («È giovane e simpatico ma ha troppa fretta e troppa ambizione»), poi le obiezioni («Non ha una squadra all’altezza», «Vuol mettere troppa carne al fuoco», «Conta eccessivamente sul potere delle parole»; tra parentesi: tutte cose in cui c’è del vero), infine le critiche vere e proprie.
Tra le quali bisogna distinguere. Da un lato ci sono le critiche di natura più spiccatamente politico-ideologica, il più delle volte assurdamente eccessive come quella di autoritarismo. Queste critiche come è ovvio vengono quasi esclusivamente dalle élite di sinistra, egemoni in settori importanti come la cultura, la comunicazione, lo spettacolo — che incarnano peraltro una peculiarità italiana: la forte simpatia-importanza-presenza che per ragioni storiche e/o di puro opportunismo opinioni e abiti mentali di sinistra, a volte anche radicaleggiante, hanno in tutti i piani alti della società —. Di Renzi tali élite di sinistra mettono ferocemente sotto accusa soprattutto un aspetto: la sua intesa con la Destra berlusconiana. Intesa certo anomala, ma che a pensarci bene può essere vista come la risposta a quella altrettanto anomala, tipica dell’Italia, tra la suddetta élite intellettuale di sinistra e il potere socio-economico tradizionale. In realtà soprattutto l’élite intellettuale si sente specialmente colpita, io credo, da altri aspetti del «renzismo»: per esempio dalla palese indifferenza del presidente del Consiglio per i «venerati maestri», dal suo mancato omaggio alla loro persona, nonché dalla sua evidente avversione per le pratiche di cogestione-lottizzazione-influenza tipiche di tale élite specie in istituzioni pubbliche come la Rai, l’Università e tante altre.
Ma accanto a queste ci sono le critiche provenienti dalle élite dell’economia, delle professioni, dell’amministrazione pubblica. Qui la forte ambizione riformatrice di Renzi e il suo piglio valgono a mettere il dito su una evidente contraddizione che da anni è al fondo del modo di pensare di questi gruppi sociali, ma che aveva potuto finora rimanere comodamente nascosta
In gran parte essi nutrono propositi di cambiamento anche radicali, ripetono più o meno da sempre che «così non si può andare avanti», sono a ogni momento pronti a mettere sotto accusa la politica per i suoi ritardi e incapacità. Ma della politica essi hanno vitalmente bisogno. Storicamente, infatti, lo status e i relativi privilegi grandi e piccoli di medici, avvocati, magistrati, alti dirigenti pubblici, professori universitari, giornalisti si sono costruiti in buona parte grazie per l’appunto alla protezione loro offerta dalla politica. Non parliamo dell’industria, della banca, del commercio. Qui sostegno statale diretto, legislazioni favorevoli, limitazioni alla concorrenza, regimi di volta in volta ad hoc nelle concessioni, negli appalti e nelle licenze — tutto dipendente dalla politica — hanno svolto e continuano a svolgere un ruolo decisivo.
Come meravigliarsi se questo poderoso complesso d’interessi — i cui vari settori per giunta sono generalmente dominati da gruppi di comando di età avanzata — sebbene possa talvolta esprimere opinioni e desideri di cambiamento, ne tema al tempo stesso moltissimo ogni reale ed effettiva avvisaglia? Come meravigliarsi se esso cerchi di esorcizzarla celando il proprio malumore dietro le critiche mascherate da una delusione di maniera?
In realtà la sessantennale vicenda della democrazia italiana ci ha lasciato un’eredità avvelenata: vale a dire una compagine sociale per la quale è oggi difficile immaginare una qualunque riforma, o quasi, che non colpisca in modo significativo interessi forti e ramificati. Capaci di agitare lo spauracchio, in termini di consenso, che è stato sempre fatto valere contro ogni governo riformatore: il prezzo delle riforme lo si paga subito, mentre i vantaggi si vedono solo dopo.
Manca in questa rassegna un ultimo protagonista: la stampa. I giornali amano Renzi? Ovviamente a seconda dei giornali, risponderei io. Per il presidente del Consiglio e i suoi seguaci — specie quelli della 24esima ora — ho l’impressione che invece la risposta sarebbe: no, per nulla; o comunque mai abbastanza. Ma il potere, qualunque potere, pensa sempre così a proposito dei giornali e di chi ci scrive. Questi però, sebbene facciano parte anch’essi di un’élite privilegiata, cercano, per lo più, in realtà, di fare solo il loro mestiere, che per sua natura è — giustamente! — un mestiere daltonico: abituato cioè a vedere più il nero che il bianco, e a scorgere sempre anche nel bianco qualche traccia di grigio. Renzi perciò se ne convinca: «i gufi e i rosiconi» veri, quelli che contano, usano strumenti diversi dalla carta dei giornali.
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